Scheda di approfondimento
“Farò l’usciere di Gesù Cristo”. Con questa battuta Giovanni Battista Jossa, napoletano “verace” di 33 anni, commentava la sua decisione di abbandonare il posto di usciere presso il Tribunale di Napoli. Fu una scelta di coscienza e di coerenza la sua. Non poteva accettare la presenza dei giacobini francesi che, occupato il regno di Napoli, pretendevano dai pubblici impiegati il giuramento di fedeltà alle leggi francesi, contrarie alla libertà e ai diritti della fede cattolica. Così, rinunciando al posto, evitò di dover giurare. Una scelta che gli permise di dedicarsi alla sua occupazione preferita: aiutare i poveri, assistere i malati e i carcerati, provvedere agli orfani.
Nato a Napoli nel 1767, primo di sette fratelli, all’età di 13 anni, alla morte del padre, usciere presso il Supremo tribunale del regno, gli subentrò nell’ufficio, conquistandosi la fiducia dei superiori e dei colleghi per la sua onestà e rettitudine.
La Napoli dei Borboni di fine 700 e inizio 800, dietro la facciata elegante di splendidi palazzi e ampie vie, che ne facevano una tra le più belle e decantate capitali d’Europa, nascondeva un mondo di estrema miseria e di degrado materiale e morale. Fu l’ambiente in cui il Jossa, volontario della carità, svolse la sua attività sociale e cristiana. Non volle sposarsi, per potersi dedicare a tempo pieno ai poveri. Volle rimanere semplice laico, per poter accedere in ogni luogo, anche a quelli malfamati. Si legò con profonda amicizia spirituale alla comunità agostiniana della chiesa di S. Agostino alla Zecca, e alla comunità delle Suore Agostiniane Oblate.
Organizzò un efficiente servizio di carità, con depositi e recapiti a domicilio. “Date con generosità - diceva - la carità non ha impoverito nessuno”. Lui stesso visse povero, di carità, senza neanche una casa propria. Per 28 anni le strette e povere strade di Napoli furono il teatro della sua instancabile disponibilità verso tutti. La sua carità verso i poveri e i malati fu la conseguenza del suo profondo amore a Cristo. “Se veniste con me negli ospedali e nelle carceri - era solito dire - trovereste la stessa persona di Gesù Cristo”.
Morì nel 1828, a 61 anni, dopo alcuni mesi di dolorosa malattia sopportata con edificante pazienza e amore. Fino alla fine si preoccupò dei suoi assistiti e ad essi destinò le poche cose che gli rimanevano, compreso il letto su cui giaceva: “a me basta giacere per terra”. Volle essere sepolto nella chiesa di S. Agostino, dove tuttora i suoi resti riposano. Il 22 giugno 1972 il papa Paolo VI ne ha decretato l’eroicità delle virtù.
Pietro Bellini, o.s.a.
Cfr. AA.VV., “Il fascino di Dio”, Pubblicazioni Agostiniane, Roma 2001


