Scheda di approfondimento
Le persecuzioni non solo creano martiri, ma sovente anche “avventurieri per Cristo”. Così fu Tommaso Jihyoe, agostiniano giapponese che, con il nome di battaglia Kintsuba, durante la persecuzione anticristiana del sec. XVII, per 5 anni tenne in scacco i soldati dell’imperatore che cercavano di catturarlo, perché sacerdote cattolico.
Nacque a Omura, presso Nagasaki, intorno al 1600. I suoi genitori, catechisti, moriranno ambedue martiri per la fede. Da bambino frequentò la scuola dei Gesuiti ad Arima. Chiusa la scuola a motivo della persecuzione, passò a Macao, per terminare gli studi. Consigliato da un missionario agostiniano, nel 1622 si trasferì a Manila nelle Filippine professando nel convento di S. Agostino Intramuros nel 1624, quindi si recò a Cebú per gli studi di teologia. E fu consacrato sacerdote.
Nel frattempo in Giappone infieriva la persecuzione e uno ad uno i missionari cadevano sotto i colpi implacabili dei persecutori, lasciando abbandonate le comunità cristiane. Tommaso sentì che il suo posto era nel suo paese. Dopo diversi tentativi seguiti da altrettanti naufragi, nel 1631 riuscì a tornare a Nagasaki. Essendo giapponese, gli fu facile mascherare la sua condizione di sacerdote cattolico. Era coraggioso, e soprattutto animato da grande spirito di fede. Si fece assumere al servizio del governatore di Nagasaki, col nome di Kintsuba, elsa d’oro. In questa veste poté assistere P. Bartolomeo Gutiérrez in carcere, fino al suo martirio, e in seguito prendere il suo posto nell’assistere e incoraggiare i cristiani carcerati. Il ritrovato coraggio di questi fece intuire al governatore la presenza di un sacerdote nascosto. Scoperto, Tommaso si ritirò presso una grotta vicino la città. Si aprì allora la famosa “caccia” alla sua persona viva ancora oggi nella memoria popolare.
Normalmente usciva di notte per incontrare i cristiani e amministrare i sacramenti, mimetizzandosi e cambiando continuamente abitudini e aspetto. Alla fine, nel 1637, venne acciuffato per puro caso. Fu lui a rivelare la sua identità ai catturatori che pensavano fosse un semplice cristiano fuggiasco.
Fu inutilmente sottoposto per vari mesi ad ogni sorta di raffinati tormenti perché apostatasse. Il 6 novembre 1637 venne condotto al luogo del supplizio, chiamato poi la “Collina dei martiri”, e sottoposto, finché non morì, alla classica condanna della fossa, sospeso per i piedi con la testa dentro una buca scavata per terra.
Nel novembre del 1982 il suo nome è stato incluso nella lista di altri 187 martiri per i quali l’episcopato giapponese istruì il processo di canonizzazione, poi affidato alla Postulazione dell’Ordine e ora già a Roma presso la Congregazione dei Santi.
Pietro Bellini, o.s.a.
Cfr. AA.VV., “Il fascino di Dio”, Pubblicazioni Agostiniane, Roma 2001