Nasce a Trento, in una famiglia benestante. A 18 anni veste l’abito agostiniano nel convento di S. Marco. Passa poi a Bologna per il noviziato, in seguito a Roma e di nuovo a Bologna per lo studio della filosofia e della teologia. Costretto dalle truppe napoleoniche ad abbandonare lo Stato pontificio ritorna a Trento, dove viene ordinato sacerdote. E’ l’anno 1797. Vive nel convento di S. Marco fino al 1809, anno della sua soppressione. Rientrato in famiglia si dedica all’assistenza dei ragazzi, aprendo nella propria casa una scuola gratuita. Continua questa attività al ritorno del governo austriaco, acquistandosi in breve tempo la stima e la fiducia della gente e della stessa autorità civile che lo nomina ispettore generale delle scuole del Trentino. Se all’inizio i suoi alunni non arrivavano al centinaio, ora sono migliaia. P. Stefano desidera però rimanere fedele alla sua professione religiosa. Vista l’impossibilità di realizzare questo desiderio nella sua città, poiché il governo non permette di riaprire il convento di S. Marco, nel 1817 abbandona la carriera scolastica e, di nascosto, si rifugia a Bologna, nello Stato Pontificio, dove nel frattempo era stata ristabilita la vita religiosa. All’autorità civile di Trento, che pressantemente lo invita a ritornare, risponde risoluto che il legame che lo tiene unito a Dio attraverso i voti religiosi e “all’amatissima mia Madre, che è la Religione da me professata solennemente” è di gran lunga più vincolante di qualunque altro. Chiamato dal Generale dell’Ordine a Roma, per alcuni anni svolge il compito di maestro dei novizi. Nel 1826 viene mandato a Genazzano, nel santuario della Madonna del Buon Consiglio. Qui dedica gli ultimi anni della vita al ministero parrocchiale, attendendo con sollecitudine ai poveri e ai fanciulli, suo ormai vecchio ma ancora grande amore. Muore il 2 febbraio del 1840 colpito dalla peste che aveva contratto assistendo i suoi parrocchiani. I suoi resti riposano nel Santuario del Buon Consiglio a Genazzano. Fu proclamato beato da S. Pio X nel 1904. Tra la folla che assistette alla cerimonia “c’erano moltissimi suoi scolari, ormai vecchi signori la cui vita era trascorsa serena grazie al loro buon maestro. E i genazzanesi erano quelli stessi che, da ragazzi, gli tiravano la tonaca o gli facevano lo sgambetto”.
Fernando Rojo, o.s.a. Cfr. AA.VV., “Il fascino di Dio”, Pubblicazioni Agostiniane, Roma 2001