Introduzione
Frate agostiniano, fu maestro in teologia e si distinse nelle discipline umanistiche e nelle arti liberali. Per la sua dottrina gli furono affidati incarichi di responsabilità in seno all'Ordine: fu professore presso lo Studio agostiniano di Pavia (1557-60), compagno del visitatore generale Agostino da Corneto, priore del convento di Pesaro (1564) e segretario del generale dell'Ordine Cristoforo Patavino (1568-69). Nel 1574 gli fu "dalla Città [di Pesaro] offerta la Lettura delle Lettere humane, quale egli di buona voglia accettò, e fu poi da esso esercitata per alcuni anni con sua molta lode, e con gran frutto della gioventù di quella sua Patria" (Torelli). Nel 1582 fu chiamato dal vescovo di Pesaro R. Sassatelli come consigliere particolare per le questioni teologiche. Dopo aver partecipato al capitolo generale tenutosi in Roma nel 1587, come provinciale della provincia abruzzese, nel 1588 fu eletto provinciale della Marca d'Ancona, come risulta anche dal frontespizio dei Due brevi ragionamenti, uno del modo del parlare senza errare, et l'altro del consigliarsi bene (Urbino, B. Ragusii, 1588), prima opera del L. data alle stampe e dedicata "per tanti segnalati favori ricevuti" a Francesco Maria II Della Rovere, duca di Urbino, che lo apprezzò molto come predicatore e lo volle più volte alla sua corte.
Trascorse l'ultimo periodo di vita nell'eremo di Valmanente (o S. Nicola), dipendente dal convento agostiniano di Pesaro e non lontano dalla città. Lì si ritirava periodicamente per dedicarsi alla preghiera e agli studi, come risulta da un passo del primo dei dialoghi dell'Eptamerone, seconda e ultima sua opera, data alle stampe postuma per cura del confratello N. Zacconi e dedicata al "Cardinal Montelbaro", l'agostiniano G. Petrocchini. L'ultimo incarico documentato ricoperto dal L. nell'Ordine fu quello di "definitore" per la Marca d'Ancona, nel 1592.
Nacque quasi certamente a Pesaro intorno al 1535, ma nulla di preciso è noto sulle sue origini.
Egli stesso dice di aver ideato per sé una simbolica "arma", poi adottata dalla famiglia: un bue rampante alato, emblema dell'evangelista Luca e allusione al proprio cognome che, legato con una corda a un masso, tenta di spiccare il volo verso una stella (Eptamerone, overo Eptalogi della nobiltà mondana, Pesaro, G. Concordia, 1599, pp. 365-367).
Frate agostiniano, fu maestro in teologia e si distinse nelle discipline umanistiche e nelle arti liberali. Per la sua dottrina gli furono affidati incarichi di responsabilità in seno all'Ordine: fu professore presso lo Studio agostiniano di Pavia (1557-60), compagno del visitatore generale Agostino da Corneto, priore del convento di Pesaro (1564) e segretario del generale dell'Ordine Cristoforo Patavino (1568-69). Nel 1574 gli fu "dalla Città [di Pesaro] offerta la Lettura delle Lettere humane, quale egli di buona voglia accettò, e fu poi da esso esercitata per alcuni anni con sua molta lode, e con gran frutto della gioventù di quella sua Patria" (Torelli). Nel 1582 fu chiamato dal vescovo di Pesaro R. Sassatelli come consigliere particolare per le questioni teologiche. Dopo aver partecipato al capitolo generale tenutosi in Roma nel 1587, come provinciale della provincia abruzzese, nel 1588 fu eletto provinciale della Marca d'Ancona, come risulta anche dal frontespizio dei Due brevi ragionamenti, uno del modo del parlare senza errare, et l'altro del consigliarsi bene (Urbino, B. Ragusii, 1588), prima opera del L. data alle stampe e dedicata "per tanti segnalati favori ricevuti" a Francesco Maria II Della Rovere, duca di Urbino, che lo apprezzò molto come predicatore e lo volle più volte alla sua corte.
Trascorse l'ultimo periodo di vita nell'eremo di Valmanente (o S. Nicola), dipendente dal convento agostiniano di Pesaro e non lontano dalla città. Lì si ritirava periodicamente per dedicarsi alla preghiera e agli studi, come risulta da un passo del primo dei dialoghi dell'Eptamerone, seconda e ultima sua opera, data alle stampe postuma per cura del confratello N. Zacconi e dedicata al "Cardinal Montelbaro", l'agostiniano G. Petrocchini. L'ultimo incarico documentato ricoperto dal L. nell'Ordine fu quello di "definitore" per la Marca d'Ancona, nel 1592.
Secondo quanto scrive il confratello musicista e teorico musicale L. Zacconi, il L. morì nel 1598 (Le agostiniane glorie, Pesaro, Biblioteca Oliveriana, Mss., 548, c. 163r), quasi certamente presso l'eremo di Valmanente.
Da lì, infatti, il L. aveva indirizzato una lunga epistola latina al letterato e umanista S. Macci di Casteldurante (Urbania), che questi pubblicò in apertura del suoSoteridos, seu De redemptionis humanae mysterio (Firenze 1601). Nella lettera, contenente apprezzamenti sull'opera di Macci, il L. si scusa con l'amico "quod mea manu non scripserim, quoniam languor quidam virium mihi impedimento est quominus id faciam" (ibid., p. [XX]). A sua volta Macci aveva dedicato al L. due dotti carmina latini in lode del destinatario: "Paulle decus Musae coelestis, Paulle Pisauri / gloria, cui grates mille Metaurus agit" (Dimitrisymphonia et carmina[1582]; Pesaro, Biblioteca Oliveriana, Mss., 1004, cc. 91-99r: in partic. c. 94r).
A Valmanente, con ogni probabilità, il L. scrisse anche il trattato sulla musica, unica sua opera del genere conosciuta e giunta fino a noi. Ne dà notizia lo stesso autore nel primo dialogo dell'Eptamerone (protagonisti dei sette colloqui sulla nobiltà, distribuiti in altrettante giornate, sono il L. e suo nipote Terenzio Valli, cortigiano del duca urbinate): alla domanda del giovane "Havete mai compito quel volume, che mi mostraste della Musica, Theorica, e Pratica?", lo zio risponde evasivamente: "Quanto poi al volume della Musica, non ne feci altro, se non quanto vi mostrai, il che a mio giudicio può anco benissimo bastare" (p. 4). È probabile che il L. si riferisse al trattato manoscritto conservato nella Biblioteca Oliveriana di Pesaro, che alcuni studiosi ritengono un autografo, mentre altri un'accurata copia redatta forse sotto dettatura. La questione rimane comunque aperta, in mancanza di autografi del L. con cui instaurare confronti.
La storia esterna del manoscritto è nota solo negli ultimi esiti: appartenuto all'erudito G. Vanzolini (Pesaro 1824-97), il codice fu venduto al tenore E. Ronconi (1841-83); dopo la morte del cantante fu acquistato dal Municipio di Pesaro per il liceo musicale Rossini e, nel 1886, provvisoriamente depositato presso la Biblioteca Oliveriana, dove tutt'oggi si conserva sotto la segnatura Mss., 2004, attribuitagli solo nel secondo dopoguerra.
In qualità di possessore del manoscritto, fu Vanzolini a segnalare per primo l'esistenza del trattato musicale, nella sua Guida di Pesaro del 1864; ma il primo a considerarlo dal punto di vista storico-musicologico fu, nello stesso anno, A. Catelani, le cui conclusioni riguardano innanzitutto la datazione del manoscritto, ritenuto non anteriore al 1588 (anno della pubblicazione del Ragionamento di musica di P. Ponzio, opera più volte citata dal L.), né posteriore al 1595 (data di pubblicazione del Dialogo( della theorica e prattica di musica dello stesso Ponzio, invece mai menzionato); quale termine medio viene proposto il 1591. Inoltre, poiché nell'avviso ai lettori il L. sostiene di essere vicino ai 56 anni di età mentre stilava il trattato, Catelani pone la nascita del L. intorno al 1535, con la possibilità di risalire indietro al massimo di tre anni. Catelani espresse anche un giudizio fin troppo entusiastico sul contenuto del trattato, dichiarato superiore a tutte le opere cinquecentesche del genere scritte prima e dopo Zarlino, valutazione condivisa anche dal musicologo marchigiano G. Radiciotti.
Al principio del Novecento, tale giudizio fu ridimensionato da F. Vatielli che, pur riconoscendo l'importanza del trattato del L., dedicò le sue maggiori attenzioni a L. Zacconi. Dopo che, nel 1942, E. Paolone scrisse poche pagine riassuntive dellostatus quaestionis sul L., aggiungendo ben poco di originale, sarebbero passati quasi quaranta anni prima di avere nuovi contributi scientifici. Si deve al musicologo A.W. Atlas il più approfondito contributo dedicato a uno degli argomenti più interessanti dell'opera del L.: le regole per la disposizione del testo sotto la musica, contenute nel terzo libro.
Il manoscritto è costituito da cc. 173+[1] originariamente numerate, più 19 carte iniziali, non numerate, riservate alla sezione preliminare e comprendenti l'avvisoAlli lettori (cc. [I-VIII]), la Tavola degli autori (cc. [IXv-XIII]), gli indici generale dei capitoli (cc. [X-XI) e delle "cose notabili" (cc. [XII-XIXr]); infine, un'ulteriore nota senza titolo in cui l'autore manifesta propositi di concisione e chiarezza espositiva: "dovendo ragionare della musica theorica, et pratica, mi è paruto bene discostarmi totalmente dalle superflue digressioni" (c. [XIXv]). Il volume è privo di titolo e frontespizio: l'indicazione d'autore si ha solo in testa al Libro primo della musica del R.P.M. in Theologia, Pred.re et cantore ecc.imo Fra Paolo Luchini da Pesaro. L'uso del superlativo "eccellentissimo" fa dubitare dell'autografia dell'intestazione, estendendo il dubbio all'intero trattato, scritto tutto dalla stessa mano; inoltre, il termine "cantore" potrebbe indicare non solo un generico ruolo vocale, come finora è stato inteso, ma anche un incarico di maestro di cappella (cantor), forse ricoperto dal L. nel convento di Pesaro.
La materia musicale, nei suoi contenuti tecnici, è divisa in tre libri: I (cc. 1-59r; 38 capitoli: invenzione, divisione e generi della musica, numero e proporzioni, chiavi, proprietà e mutazioni, consonanze e dissonanze, ecc.); II: Del valore delle figure, e delle proportioni (cc. 59v-85; 14 capitoli: qualità e quantità delle note, modo, tempo e prolazione, pause, "ligature" e punti, sincope, emiolia e sesquialtera, ecc.); III: Della pratica (cc. 86-[174r]; 30 capitoli: contrappunto semplice e figurato, trattazione delle singole consonanze, cadenze, fughe "sciolte" e "ligate", canoni, contrappunti doppi, cancrizzanti e "alla mente", ecc.).
Nella Tavola degli autori sono elencate tutte le fonti bibliografiche cui il L. fa riferimento, altresì indicate a margine nel corso della trattazione. Accanto agli autori più antichi (Aristotele, s. Agostino, Boezio, Isidoro di Siviglia), figurano soprattutto teorici del sec. XVI: F. Gaffurio, P. Aaron, L. Foiano, G. Spataro, G.M. Lanfranco, S. Vanni, S. Zappa, V. Lusitano, N. Vicentino, G. Zarlino, P. Ponzio; ci si riferisce anche alla Margarita philosophica di G. Reisch, un'enciclopedia pubblicata in più edizioni durante il Cinquecento.
Non sono stati ancora del tutto chiariti i rapporti tra il L. e L. Zacconi, musici e teorici agostiniani di generazioni diverse ma in contatto tra loro, conterranei e vissuti per vari anni nello stesso convento.
Il fatto che nell'opera del L. non sia citata la prima parte della Prattica di musica di Zacconi, stampata a Venezia nel 1592 (anno in cui l'autore tornò a Pesaro), non significa necessariamente che il trattato del L. sia stato scritto prima: forse il L. non ritenne di doversi riferire all'opera dell'ex allievo divenuto maestro; d'altra parte è vero anche il contrario, che cioè il trattato del L. non è citato da Zacconi, che avrebbe pur potuto conoscerlo benché manoscritto.
Che il giovane Zacconi abbia avuto contatti con il L. è invece certo, non solo per la contestuale presenza dei due nel convento di Pesaro tra il 1569 e il 1575, ma anche per quanto narra lo stesso Zacconi nella sua autobiografia: "Un altro caso simile m'intravenne dopo l'esser uscito di noviziato circa il cantar canto figurato, e fu che in noviziato, perché non s'essercitava, nell'uscir ch'io feci fuori, ne sapevo anco troppo poco, che la fel. mem. del P. M.ro Paolo nostro da Pesaro una mattina doppo desnare volendo provar un suo falso bordon musicale, dandomi una parte in mano io non la seppi cantare: e così togliendomi di mano detta parte per darla a un altro, mi disse. Levamiti dinanzi. Tu farai un cogo [cuoco]. Che cosa hai tu imparato in noviziato? Et io prendendolo a gran vergogna, da quella volta in qua m'ingegnavo d'impararne più che fosse possibile che però, sempre che si cantava in qualche luogo, io mi facevo innanzi, e procuravo di tenere il libro, etiam ch'io non avessi cantato" (Pesaro, Biblioteca Oliveriana, Mss., 563: Vita con le cose avvenute al p. Bacc.r Lodovico Zacconi, cc. 51v-52r). Limitando la citazione a questo racconto aneddotico, sembra che Zacconi voglia sminuire l'apporto del L. alla sua prima formazione musicale; è vero che poi egli ebbe contatti con altri importanti maestri in Italia e all'estero (A. Gabrieli, I. Baccusi, T. Massaino, Orlando di Lasso), ma forse la lezione del L. a Pesaro non fu per lui così elementare.
Comunque siano andate le cose, lo stesso trattato dimostra nel L. un valente didatta: la sua esposizione mira alla concisione e alla chiarezza, e quando dichiaratamente riassume passi paralleli di qualche altro teorico (cosa che avviene spesso), risulta sfrondata dei più artificiosi ragionamenti; a volte il L. effettua una sorta di collazione tra varie fonti su un determinato argomento o addirittura invita il lettore a riandare a qualcuno dei teorici menzionati, con atteggiamento tutt'altro che dogmatico. Del resto, una propensione del L. per gli autori più moderni rispetto agli "antichi", a volte accusati di essere oscuri, è evidente in vari luoghi dell'opera, che tuttavia si mantiene nel solco della tradizione teorica cinquecentesca. Il trattato è corredato di numerosi esempi musicali, verosimilmente originali (sarebbero le uniche cose che restano del L. compositore), mentre alcune figure e tabelle sono derivate - a volte con qualche modifica - da opere altrui. Con questa complessa fisionomia, il compendio del L. si inserisce armoniosamente nella migliore trattatistica musicale della sua epoca e conferma la notevole cultura musicale agostiniana marchigiana, collegandosi idealmente ai trattati pubblicati da S. Vanni e L. Zacconi.
Recentemente, grazie allo stemma, è stato identificato in un Luchini l'anonimo religioso ritratto in una tela conservata presso la Pinacoteca comunale di Pesaro (n. 1064). Il quadro, in cui nel 1926 Maria Fiorenza Ferrari riconobbe senz'altro il L., e che è stato poi dimenticato, potrebbe però raffigurare un secondo Paolo Luchini (morto nel 1664), anch'egli pesarese e agostiniano, che fu generale del suo Ordine.
Paolo Peretti in Dizionario Biografico degli Italiani - Treccani