Il monastero di Pennabilli fu fondato e costruito nel 1518 tra i ruderi del castello millenario di Billi, da un certo Giovanni de Lucis, il quale impegnò tutto il suo patrimonio perché Billi avesse questo monastero, sotto il titolo di S. Antonio di Padova. Giovanni affidò la fondazione alle Umiliate del monastero di S. Matteo a Rimini, e ottenne che i due monasteri avessero un’unica abbadessa e formassero un’unica comunità. Con la soppressione degli Umiliati nel 1571, il monastero rimase senza regola e senza direzione e le monache furono aggregate ad altri ordini religiosi. Nel 1624 il monastero, con le sei monache rimaste, dietro proposta di P. Marco da Urbino, OP, con il consenso del vescovo e il benestare della S. Congregazione, divenne domenicano. Il monastero riprese vita e in soli due anni 14 ragazze chiesero di entrare. La loro vita trascorse serena per 192 anni, fino alla bufera napoleonica. Un editto del 25 aprile di 1810 sciolse gli Ordini religiosi e obbligò le monache a lasciare il convento e i beni furono incamerati dallo Stato. La comunità di Pennabilli si disperse. Dopo il 1814 il vescovo di Pennabilli si adoperò a ristabilire la vita claustrale nella sua diocesi. Venti Agostiniane di S. Giovanni Battista di Pietrarubbia, che non potevano rientrare nel loro monastero, furono unite con quelle di Pennabilli. Con il consenso unanime delle monache e con licenza della S. Congregazione, abbracciarono la Regola di S. Agostino, professando nelle mani del vescovo il 28 agosto 1816. La tranquillità della nuova sistemazione durò esattamente 50 anni, quando il 3 gennaio 1861 il commissario governativo per le Marche decretò la soppressione degli Ordini religiosi e la confisca dei loro beni, e tale provvedimento fu confermato dalle leggi del Parlamento in Firenze promulgate il 22 giugno e il 7 luglio 1866. Così il monastero, allora retto dall’Abbadessa Maria Antonia Begni, fu spogliato di tutti i suoi beni. La comunità si ridusse ad uno stato di estremo bisogno, costretta a vivere quasi esclusivamente con le miserevoli pensioni assegnate alle monache già professe. Inoltre il fabbricato stesso del Monastero, confiscato nel 1861, potè essere abitato solo dalle monache già professe e soppresso alla morte dell’ultima religiosa. Più tardi l’Intendenza di Finanza di Pesaro, viventi ancora sei monache professe, volle concentrarle con le Francescane, il 16 gennaio 1891, nel convento di S. Chiara di S. Agata Feltria. Per ben 10 anni il pericolo del concentramento in S. Agata minacciava le monache, mentre il comune di Pennabilli negoziava la conservazione del monastero col Fondo Culto e con l’Intendenza di Finanza. Altro colpo doloroso giunse col decreto reale del 20 maggio 1897, che imponeva la chiusura della chiesa, provocata dal locale tenente dei carabinieri che la riteneva non necessaria per la popolazione. Suggerì poi che per la riapertura si facesse un’istanza popolare ma, una volta fatta, fu respinta il 5 Gennaio 1900 per il Prefetto di Pesaro. In più, avendo saputo che il comune permetteva ad alcune monache di rimanere nel monastero, ne ordinava lo sfratto esecutivo. Fu provvidenziale, in tale frangente, l’oculatezza ed il favore del sindaco G. B. Valentini e delle altre autorità che, in perfetto accordo, informando la Prefettura della necessità che la chiesa fosse riaperta al culto, ne ottennero l’immediata autorizzazione. Il sindaco suddetto, inoltre, concluse con le monache il contratto di vendita del monastero per 1.500 lire, di cui 1200 erano state offerte dal padre Salvatore Mazza, fratello della badessa e commissario generale dei Francescani della Repubblica Argentina. Per la festa di S. Agostino quello stesso anno fu pertanto possibile vestire sei novizie, le quali ebbero la pazienza e il coraggio di aspettare il recupero del monastero, condizione richiesta dal vescovo per procedere alla vestizione. La comunità languiva da anni: erano rimaste solo due coriste e tre converse. Nel 1950 c’erano 25 religiose. Durante la Seconda Guerra Mondiale il monastero diventò rifugio e salvezza per tanti bambini e bambine della Romagna e delle Marche. Nel 2003, quando dopo più di 50 anni di assenza di nuove vocazioni le monache erano ridotte di nuovo a cinque, entrarono due giovani provenienti dal Libano. Oggi la comunità è fiorita di nuove vocazioni ed una nuova vita ripopola l'antico Monastero sulla Rocca.
Scheda di approfondimento
Insediamento
Complesso conventuale
Edificio di culto
Dipendenza



