Convento S. Nicola
Tolentino (MC) Italia
Ordine di Sant'Agostino
- Roma, Tuesday, July 15, 2014 7:13 PM
- ·Segreteria
- ·Insediamenti
Introduzione
L’origine dell’insediamento agostiniano a Tolentino si fa risalire tradizionalmente allo scorcio della seconda metà del XIII secolo, circa al tempo della Grande Unione (1256) e prima dell’arrivo in città di Frate Nicola (1275). I fondatori provenivano da gruppi di frati eremitici presenti sul territorio sin dai primi decenni del secolo. Il primo nucleo del convento dovette collocarsi nell’ala a sud verso il Chienti e nel braccio capitolare del Cappellone, mentre la primitiva chiesa dedicata a sant’Agostino (dal 1354 compare anche dedicata a san Nicola, dal 1456 solo a quest’ultimo) doveva essere già in costruzione - o in ricostruzione e/o ampliamento - nel 1284 (donazione di Bionda de Francis «pro ecclesia ... Fabricanda»). Il 14 gennaio 1485 il complesso venne preso in consegna dai padri della Congregazione agostiniana lombarda, i quali lo rilasciarono alla Provincia Agostiniana Picena nel 1810.
Fabio Mariano
Denominazione | S. Nicola |
Denominazione alla fondazione | |
Varianti | |
Tipologia | Convento |
Categoria | |
Condizioni | |
Stato possesso | |
Monastero femminile | No |
Sito web | |
Collocazione | |
Indirizzo | |
Cap e Città | Tolentino (MC) |
Diocesi | |
Nazione | Italia |
Coordinate GPS |
Datazione erezione | |
Fondazione agostiniana | No |
Ordine di fondazione | Ordine degli Eremitani di Sant'Agostino |
Circoscrizione di fondazione | |
Altro ente di fondazione | |
Datazione fondazione agostiniana | |
Datazione chiusura | |
Motivo chiusura |
Attuale presenza agostiniana | Sì |
Ordine | Ordine di Sant'Agostino |
Circoscrizione | |
Altro ente presente |
Nome riferimento | |
Indirizzo | |
Cap e Città | (MC) |
Nazione | |
Telefono | |
Fax | |
Cellulare | |
Sito web | |
Non ci sono attualmente documenti a disposizione. Prova a cercare nella sezione Documenti
Fabio Mariano (cur.), Gli Agostiniani nelle Marche. Architettura, arte, spiritualità, Federico Motta Editore, Milano 2004, pp. 204-208; Torelli 1659-1686, IV, p. 449; «Sesto Centenario» 1906, passim; Lopez 1941, pp. 68-94, 199-237, 392-402; Cecchi 1975, pp. 131-147; Gentili s.d., passim; Zazzeri 1987, pp. 373-389; Gli Agostiniani e le Marche 1989, p. 48; Dellwing 1992, pp. 279-283; Pistilli 1992, pp 205-212; Raponi 1992, pp. 155-168; Cicconi 1994, pp. 264-268; Mariano 1995a, pp. 36-55, 58-59, 63-65; Pistilli 1995, pp. 28-35; Cucco 1996, pp. 273-277; Markham Schulz 1997, passim; Semmoloni 2001, pp. 1-26; Montevecchi 2001, pp. 51-58.
Denominazione | |
Denominazione alla fondazione | |
Varianti | |
Tipologia |
Originariamente un primo piccolo portico del XIII secolo esisteva probabilmente solo di fronte al Cappellone (braccio orientale), cui corrispondeva in asse il pozzo di san Nicola (resti di capitelli duecenteschi nell’Antiquarium della basilica). La forma definitiva di quello ampliato successivamente (ancora in vita san Nicola) - rettangolare su pilastri misti alternati (quadri, cilindrici, poligonali e polilobati), chiusa da ambulacri su almeno tre lati - venne raggiunta soltanto nella seconda metà del XIV secolo (1360-1370 ca.) e realizzata in fasi successive pur nello stesso secolo. Infatti il 13 ottobre 1370, tenendosi il Capitolo nel convento, si cita espressamente il luogo: «iuxta ... Reclaustrum», confermando a quella data la chiusura completa dello spazio del chiostro, se non del quadriportico. Le fasi successive sono testimoniate sia da alcune etereogeneità nel trattamento scultoreo e materico (calcare, pietra rosa, arenaria) dei trenta capitelli fitomorfi dei pilastri del chiostro (solo quello sull’angolo sud-ovest presenta pròtomi antropomorfe) - i sette del lato sud mostrano caratteri considerati più spiccatamente tardogotici rispetto agli altri tre filari, verosimilmente di cronologia precedente - sia da sottili differenze nella monta delle archeggiature: in particolare appaiono più rialzate quelle sul lato ovest. Il lato nord del quadriportico mostra caratteri eterogenei: pur sostenuto da simili pilastrature e capitelli, esibisce delle archeggiature ellittiche che parlano evidentemente un linguaggio barocco. Qui infatti i bracci est e ovest del chiostro, a partire dal 1630, vennero accorciati di una campata (da nove a otto) per far posto al progettato avanzamento (m 2.70 ca.) della fiancata meridionale della chiesa, alla quale si aggiungevano allora nuove cinque profonde cappelle estradossate. Due pilastri vennero abbattuti (passando così da trentadue agli attuali trenta) e, con notevole perizia, vennero traslati in avanti (o in parte rifatti?) i rimanenti otto del filare nord di sette campate, sui quali vennero gettate le nuove centine barocche a sostegno del nuovo muro del loggiato superiore. La sua diversità rispetto agli altri tre lati è testimoniata anche dall'assenza del fregio medievale corrente, in cotto ad archetti pensili e scodelle invetriate (d’epoche diverse), che venne sostituito da un semplice toro laterizio. Seppure si parli nei documenti di prime spese per tale intervento sin dal 1° aprile 1609, anche questo lavoro si protrasse a lungo negli anni. Dal 1630, al 1634 e dal 1636 al 1640 si hanno, infatti, specifiche di spese per la creazione delle nuove cappelle della chiesa e per il restringimento del braccio nord del vecchio chiostro verso il pozzo di san Nicola; nel 1667 1669 si annotano, in più partite, spese per la fabbrica dell’ala del chiostro: «[...] ex parte cappellae sancti Nicolai pro quinque columnis». La modifica si concluse con l'erezione su questo lato di un secondo ordine (dal 1645), costituito dall’aereo loggiato di collegamento interno del convento, ad ampia volta ribassata lunettata con quindici campate centinate sostenute da sedici colonne (le due terminali sono murate) che incornicia il fianco destro della chiesa. L’esame stilistico delle suddette colonne e dei loro capitelli compositi ci fa però dubitare di una loro datazione seicentesca, portandoci ad assegnar loro l’epoca rinascimentale, coeva ai reperti superstiti del secondo chiostro orientale, costruito tra la fine del XV e gli inizi del XVI secolo (1485-1510) dalla subentrata Congregazione di Lombardia e oggi parzialmente scomparso, del quale anzi è possibile ipotizzare un probabile parziale riuso delle strutture in questa loggia. L’ipotesi sarebbe confermata - a mio avviso - anche dal fatto che alcuni capitelli in arenaria mostrano un evidente e incongruo degrado nelle loro facce rivolte all’interno della loggia, il che farebbe appunto supporre un loro riuso ed eventuale rotazione in epoca successiva, mentre gli altri aggiunti di nuovo ne ripresero le forme. Così anche il quarto lato del chiostro venne a pareggiare la sua altezza rispetto agli altri tre già precedentemente innalzati. Di questi, probabilmente, quello meridionale (il più antico di preesistenze) fu il primo - sin dalla seconda metà del XIV secolo - a crescere di un secondo piano fuori terra. La sopraelevazione rese anche possibile la creazione, al piano terreno, di un refettorio, corrispondente probabilmente all’attuale ampio locale diviso da una fila centrale di pilastri, dove una tradizione non confermata vuole sussistesse un’antico «Oratorio di San Giorgio» (forse memoria di un eremo extraurbano d’origine). Tali interventi si rendevano generalmente necessari per l’ampliamento dei dormitori e dei servizi residenziali per i religiosi come per eventuali ospiti illustri di passaggio per Tolentino, in particolare dopo l’esplosione del culto del santo, avvenuta sia dopo l’apertura del processo di canonizzazione (1325) che con la conferma definitiva della sua santificazione per volere di Eugenio IV, il 5 giugno del 1446. Inoltre, era necessario poter ospitare il notevole numero di religiosi che convenivano in eventi speciali, quali i Capitoli quadriennali dell’Ordine, ai quali ad esempio nel 1451 Tolentino era stata costretta a rinunciare verosimilmente proprio per l’inadeguatezza delle sue strutture ricettive. Subito dopo l’apertura del processo di canonizzazione i frati pensarono di convertire l’ambiente nel braccio monastico orientale, collegato a sud con la chiesa, da oratorio-sacrestia a mausoleo del santo (Cappellone). Lo splendido ciclo di affreschi con le storie della sua vita, che lo completa - opera di maestri riminesi -, viene datato intorno al terzo decennio del XIV secolo. Al XIV secolo va anche assegnata l’edificazione del sovrapposto dormitorio, realizzato con una camerata unica coperta a travatura lignea, con finestre finemente decorate con ghiere laterizie a raggiera e a dente di lupo (recentemente messe in luce) rivolte al chiostro. Almeno dal 1459 doveva esser stato già sopraelevato anche il lato ovest, con la rettifica delle antiche proprietà comunali lungo la via Bezzi, stante la scoperta - sopra l’attuale soffitto - di un’iscrizione affrescata che ricorda la data del 13 maggio di quell’anno come chiusura del Capitolo agostiniano. Questa era l’area della portineria e della foresteria, presso l’ingresso al convento. Una ristrutturazione del braccio sud verso il Chienti e gli orti, è documentata nel 1502 quando, al 12 novembre, si ha notizia di un incarico a un Maestro Antonio da Como per la sistemazione di quante possibili celle per il dormitorio dei frati, sopra le volte del refettorio trecentesco e della contigua foresteria, suddivise da un corridoio centrale di distribuzione. Le tre facciate avanzate del primo piano prospicienti il chiostro (est, ovest, sud) furono allora tamponate e unificate con prospetti finestrati di estrema semplicità, come attualmente si vede. L’antico pozzo di san Nicola, fatto scavare dallo stesso santo nel 1302, era posto simmetricamente all’asse del Cappellone: funzionalmente fronteggiava allora l’unico medievale braccio monastico, ospitante sia la sala capitolare sia la limitrofa sacrestia tardoduecentesche e altri servizi. Esso fu sostituito (fra il 1646 e il 1650) dall’odierno nuovo pozzo, canonicamente baricentrico al chiostro, per la cui iscrizione sulla bocca lapidea furono pagati quattro scudi il 25 maggio del 1647. L’arrivo a Tolentino e la controversa presa di possesso del convento da parte dei padri Agostiniani della Congregazione di Lombardia, nel primo pomeriggio del 14 gennaio 1485, dietro sollecitazione del breve di Innocenzo VIII (11 dicembre 1484), costituisce un evento decisivo nello sviluppo architettonico del complesso. Dai nuovi padri si progettò la sopraelevazione del chiostro con nuove stanze sui deambulatori. Le originarie trasannae, in altre parole i tralicci in legno che sostenevano la tettoia degli ambulacri appoggiandosi sui pilastri laterizi, furono sostituite da volte reali a botte su peducci, tese da «claves ferrae» fornite da un Maestro Berardino lombardo e peducci lapidei scolpiti da Maestro Zanino e Maestro Giovanni. Si segnala, dalla primavera del 1490, l’inizio di pagamenti a maestri comacini per le spese di costruzione di un nuovo chiostro da realizzarsi nelle aree libere orientali, addossate al fronte est del medievale primo braccio monastico del convento. La costruzione del secondo chiostro, iniziata da questo lato contiguo, proseguì lungo il lato sud, per poi interrompersi qui, nel 1500, con il completamento di due soli ambulacri (e un terzo solo iniziato) nel quadriportico. Sugli altri due lati (est e nord) probabilmente non furono mai completati gli ambulacri, poi tamponati con corpi di fabbrica chiusi. Dal novembre 1497 fu appaltata la costruzione di un nuovo refettorio (attuale Auditorium), sul lato sud addossato al nuovo portico, terminato nell’agosto 1498. I nomi ricorrenti nel cantiere rinascimentale - tutti lombardi - sono quelli del già citato Maestro Antonio da Como (muratore e verosimilmente appaltatore), Maestro Berardino (fabbro), Maestro Bernardino (fornaciaio), Maestro Giovanni lombardo, Maestro Andrea, ecc. Tutti gli interventi, attuati dai frati della Congregazione di Lombardia, sono ancora ben identificabili nei vari locali dall’uso ripetuto di ben costruite volte lunettate sorrette da peducci rinascimentali. Le pareti dei deambulatori vennero poi affrescate a opera del pittore senigalliese G. Anastasi e del quadraturista bolognese A. Orsoni, dal 1690 al 1703.
Fabio Mariano
Fabio Mariano (cur.), Gli Agostiniani nelle Marche. Architettura,arte, spiritualità, Federico Motta Editore, Mialno 2004, pp. 204-208; Torelli 1659-1686, IV, p. 449; «Sesto Centenario» 1906, passim; Lopez 1941, pp. 68-94, 199-237, 392-402; Cecchi 1975, pp. 131-147; Gentili s.d., passim; Zazzeri 1987, pp. 373-389; Gli Agostiniani e le Marche 1989, p. 48; Dellwing 1992, pp. 279-283; Pistilli 1992, pp 205-212; Raponi 1992, pp. 155-168; Cicconi 1994, pp. 264-268; Mariano 1995a, pp. 36-55, 58-59, 63-65; Pistilli 1995, pp. 28-35; Cucco 1996, pp. 273-277; Markham Schulz 1997, passim; Semmoloni 2001, pp. 1-26; Montevecchi 2001, pp. 51-58.
Denominazione | |
Denominazione alla fondazione | |
Varianti | |
Titolo |
La citata donazione del luglio 1284 «pro fabrica et edificio ecclesie» è il punto di riferimento per la costruzione della chiesa, ma potrebbe anche trattarsi di una ricostruzione o ampliamento di edificio minore preesistente. L’edificio tardoduecenteseo doveva essere a navata unica con capriate lignee a vista, presbiterio rettangolo voltato a crociera, abside piatta: un tipico esempio quindi di chiesa mendicante. Officiata almeno dal 1317, tuttavia la chiesa medievale mantenne a lungo il cantiere aperto, almeno ben oltre la metà del XIV secolo, stanti i numerosi documenti di lasciti e donazioni «pro hedifitio» esistenti nell’Archivio del convento. Nel 1383 un Francesco Lucarelli fa legati: «[...] pro laborerio et constructione porte dicte ecclesie Sancti Nicole», nel 1384 si ha il testamento di Rodolfo Varano che vuole essere sepolto in San Nicola e lascia una somma pro hedifitio, ecc. Di questo edificio medievale rimangono visibili soltanto parte del muro del cleristorio nel fronte sud, con eleganti archetti pensili a ghiere concentriche, riscontrabili anche nei resti della parete nord del vecchio presbiterio, e scarsi resti mutati nel basamento della torre campanaria. Nel maggio 1459 il Generale agostiniano Alessandro Oliva firma un contratto per la costruzione degli stalli del coro. La chiesa antica, finalmente completata, venne consacrata il 31 ottobre del 1465 dal vescovo di Camerino, col titolo definitivo di San Nicola. Ma - come successo per il convento - un nuovo impulso ai lavori venne con l’insediamento della Congregazione Osservante di Lombardia. Nel 1485 si parla subito del disegno e del preventivo di spese per la nuova chiesa, nel 1503 è terminata la costruzione della navata centrale se, dal 30 luglio al 29 settembre, si realizzano le nuove cappelle laterali e le sepolture lungo il fianco sinistro a nord, per mano del comacino Maestro Antoniolo. Si tratta qui, evidentemente, di un rinnovamento complessivo dell’assetto parietale della navata poiché nella chiesa esistevano già altre cappelle delle quali si ha notizia certa: ad esempio quella della Madonna del Parto, citata nella bolla di indulgenza di Alessandro VI del 5 novembre 1494; oppure quella di Sant’Ambrogio, citata in un atto del 20 gennaio 1505 fra la comunità dei Lombardi che l’avevano eretta e il priore di San Nicola; quella dell’Annunziata, voluta da un certo Giulio e citata nel 1509; quella della Santissima Vergine, citata in un’atto di donazione di un Francesco Armellini del 19 settembre 1510, ecc. Particolarmente interessante ci sembra un atto del 3 giugno 1510, nel quale il priore stipula un contratto per la costruzione della cappella maggiore, sia nei muri sia nelle volte, affidata ai comacini Maestro Pietro e Maestro Antonio di Bartolomeo: si tratta evidentemente della ricostruzione dell’abside, come meglio specificato in uno dei patti di stipulazione: «Item debano far uno bello pedocho [sic] longo in sino a la quantità et longitudine de la Sagrestia cum sette facciate nel qual siano quattro fenestre, de le quali siano tre aperte et una serrata et uno ochio grande al mezzo del dicto pedocho». La descrizione del lavoro non lascia dubbi che si tratti del prolungamento del complesso absidale, poligonale a sette facce e archeggiato a tutto sesto tuttora visibile, seppur parzialmente per il progressivo avanzamento della cappella delle Sante Braccia, e che originariamente giungeva esattamente alla radice della sacrestia quattrocentesca voltata a crociera, dove effettivamente allora terminava la fabbrica. Al fianco nord dell’antico presbiterio si incastonava il campanile dalle chiare forme tardogotiche, leggibili nelle finestrature ogivali trilobate della cella. Nel 1433 esso risultava all’inizio della sua costruzione, mentre un documento nel 1492 ce lo dà come esistente. Nel 1519 ne fu ricostruito il pinnacolo, danneggiato dal fulmine. L’ultimo ordine oltre il cornicione e la copertura a cuspide mistilinea, con la sfera metallica, ci suggeriscono invece che il suo attuale coronamento sia opera del XVIII secolo. Non conosciamo il sistema di copertura della chiesa ristrutturata dalla Congregazione di Lombardia, ma è probabile vi fossero mantenute, per ragioni di opportunità statica, le capriate lignee su navata unica, d’'altronde consone allo stile dell’Ordine, mentre nel presbiterio si mantenne sino al XIX secolo il voltone a crociera. Per quanto consta alla zona del transetto, un’ipotesi di una copertura a cupola viene sollecitata da un disegno del 1631 (Archivio del convento) relativo al progetto di ristrutturazione delle cappelle laterali della navata, nel quale compare evidente il segno di proiezione di una cupola emisferica con lanternino. Ma, dato l’ingente impegno tecnico e finanziario che una tale opera avrebbe comportato, parrebbe poco credibile non trovarne traccia nei documenti di archivio, si deve quindi ripiegare sull’ipotesi di una idea progettuale mai attuata. Intanto, nel 1510 si appaltò la costruzione di una cantoria in legno a cornu epistolae per l’alloggiamento di un organo, installato nel 1514. Seguono lungo tutto il secolo XVII vari lavori di abbellimento e decorazione del tempio. A partire dall’aprile 1608, su istanza e a spese del Comune di Tolentino, si iniziò la costruzione di una nuova ricca e ampia cappella sul lato nord del transetto rinascimentale, con l’intenzione iniziale di collocarvi le Sante Braccia di san Nicola, ma che fu poi dedicata al Santissimo Sacramento quando si preferì collocare le reliquie sull’altro lato della chiesa ampliando la sacrestia quattrocentesca. Si iniziò abbattendo quattro cappelle e ventotto sepolture a cornu evangelii. I lavori alla Cappella - realizzata poi con cupola sferica e lanternino su tiburio ottagono - furono interrotti, quindi ripresi nel 1642 per poi dilungarsi nel tempo per inadempienze finanziarie del Comune. Nel 1631 si iniziò la nuova sacrestia ristrutturando la stanza a pianta quadrata nel braccio monastico, già destinata a sala capitolare medievale, e allargandone la porta di comunicazione verso la chiesa, che avveniva attraversando il confinante Cappellone di San Nicola. La Sacrestia venne voltata a lunette, poi dipinte, inglobando il soffitto piano già affrescato nel XV secolo. Vennero poi ampliate due luci nella parete rivolta verso il retrostante secondo chiostro rinascimentale, quindi fu attrezzata con nuove armadiature, tabernacolo e con l’altare per la vestizione, in noce massiccio, spartiti a paraste d’ordine corinzio e realizzati in due fasi: nel 1650 (lati est e sud) da un anonimo intagliatore e nel 1730-1734 (lati nord e ovest) per opera di Vincenzo (agostiniano) e Filippo Rossi di Fermo, coadiuvati da Michele Andreotti. Questi fratelli Rossi furono anche gli autori degli stalli del coro nella chiesa. La sacrestia quattrocentesca, posta sul lato destro del presbiterio, era stata sin dalla canonizzazione di san Nicola (1446) destinata a contenere le reliquie delle Sante Braccia e convertita in Cappella. L’afflusso crescente dei devoti pellegrini suggerì, nel XVI secolo, l’apertura verso est di un nuovo vano a pianta quadrata, voltato a cupola su pennacchi sferici e separato dal precedente da un’elegante serliana in colonne di marmo, con ricca trabeazione corinzia. Ricche decorazioni, pitture, affreschi, stucchi e incrostazioni marmoree pregiate, abbellirono nel tempo questa cappella. Nel XVII secolo, abbandonata definitivamente l’idea di trasferire la cappella delle Sante Braccia nella nuova cappella di giuspatronato comunale posta a cornu evangelii nel transetto, si preferì, nel 1670, ingrandire ulteriormente verso est il santuario creando un terzo e ultimo vano a pianta ottagona, con volta ribassata, dotandolo di un nuovo altare contenente il forziere delle reliquie, completato con un’abside a decori marmorei, terminato nel 1697. L’effetto finale di spazio espanso a cannocchiale, filtrato dalle trasparenze della serliana e ridondante di rimandi cromatici dai ricchissimi e variati decori, rende la cappella delle Sante Braccia uno degli spazi più suggestivi del complesso basilicale agostiniano. Abbandonato il citato progetto del 1631 che pretendeva di ricavare le nuove cappelle all’interno, sul lato destro della chiesa, restringendo di molto la luce della navata, gli Agostiniani decisero invece di estradossarle allargandone il fianco destro, come sopra descritto. Elemento definitivamente qualificante, l’intero spazio della navata della chiesa è costituito dal ricchissimo soffitto ligneo a lacunari cassettonati, il cui caldo riflesso aureo rende unica la suggestione luministica del tempio. Voluto anch’esso dalla munifica volontà del vescovo agostiniano G.B. Visconti - che vi profuse l’enorme somma di 40.000 scudi - fu realizzato dal 1605 al 1628 dall’intagliatore Maestro Filippo da Firenze, coadiuvato dal figlio Piero. Questo capolavoro di ebanisteria barocca - unico nelle Marche - si sviluppa per una lunghezza di più di 38 metri, spartito in ventuno cassettoni per file di tre e perimetrato da una ricca trabeazione a ovoli e dentelli sorretta da mensole con modiglioni a gola dritta, alternatamente intercalate da rosoncini e da biscioni viscontei, stemma del vescovo. Nel fondo dei lacunari - alcuni scorniciati a ottagono - su di un tappeto a scacchiera rosso e bianco, risaltano alternativamente ora lo stemma vescovile ora diciannove statue di santi, a grandezza più che naturale, oltre a quelle del Cristo Redentore e della Madonna. Tutte le superfici sono indorate a zecchino mentre le parti raffiguranti la pelle umana nelle statue sono trattate a mecca. L’odierna immagine architettonica dell’interno della chiesa è il frutto dei significativi interventi di restauro e di riforma condotti dal 1856 al 1859 dall’architetto fermano G.B. Carducci (1806-1878). Sulla base di disegni elaborati già dal 1855 l’architetto stipulava un contratto di cinque anni per la progettazione e la conduzione lavori, per un importo di 5900 scudi. Sostanzialmente il suo intervento consistette nella demolizione della antica volta a crociera del presbiterio e la sua sostituzione con una nuova cupola a vela, sopraelevata di circa 6 metri; la chiusura delle due finestre a targa rettangolari ai lati del presbiterio e la riapertura nel muro della sopraelevazione di tre nuovi finestroni a tutto sesto; venne riprogettato un nuovo elegante altare marmoreo (poi sostituito); l’architetto ridisegnò anche la spartizione architettonica dei fornici della navata in sette nuovi archi per lato, sobriamente unificati con le loro nuove centine, pilastri crociati, specchiature e piedistalli, il che comportò la riduzione delle cappelle laterali da dieci a otto; riallineò poi il fregio corrente dell’aula con quello del presbiterio e dell’abside; riaprì quattordici ritmati finestroni centinati nel cleristorio per fornire adeguata e omogenea illuminazione allo splendido lacunare del soffitto. Infine, nel 1858 fu affidato a Carducci anche l’incarico della ristrutturazione architettonica e decorativa della cappella del Sacramento, quindi di progettarvi le due targhe artistiche coi bassorilievi commemorativi di Nicolò Mauruzi e di Francesco Filelfo. L’opera di sapiente restauro di Carducci, pur nei limiti dell’ideologia eclettica e dell’interpretazione stilistica dell’Ottocento, seppe rimodellare con sobrio equilibrio, senza stravolgerlo, lo spazio antico del tempio, distribuendovi la luce sulle superfici con elegante morbidezza, e - abolendo e mitigando con nuove armonie di linee le dissonanze e le incongruenze accumulatesi nel tempo - diede chiarezza comunicativa alla forma tipologica, fornendo nuova visibilità e intelligenza prospettica alla navata e alla sua precipua funzione liturgica.
Il fortunato ritrovamento nel 1926 del corpo di san Nicola, a lungo perseguito nei secoli dai padri Agostiniani, permise il completamento dello schema tipologico di un tempio dedicatorio a un santo, con la creazione della cripta sotterranea. Questa - il cui accesso avviene attraverso un’ampia scalea a doppia rampa direttamente dalla sacrestia quattrocentesca - fu edificata nel 1932, esattamente sotto il pavimento del superiore Cappellone, dove insiste l’elegante arca quattrocentesca con la statua del santo, attribuibile a Nicolò di Giovanni Fiorentino, dove effettivamente fu ritrovato il sacro corpo. Il progetto si deve all’architetto Arnolfo Bizzarri, della Soprintendenza all’Arte Medievale e Moderna dell’Umbria, il quale, riferendosi all’epoca della morte del santo (1305), non volle discostarsi dallo schema gotico della cripta con volte a crociera costolonate su pilastri a fascio polistili, le cui basi e i capitelli richiamano direttamente quelli del chiostro medievale.
Non ci è nota la composizione architettonica del primitivo prospetto della chiesa medievale dedicata a sant’Agostino. In un ex voto del XVII secolo esso ci appare prima del suo completamento seicentesco ma dopo l’aggiunta del portale quattrocentesco, mostrandoci una semplicissima facciata capannata con un piccolo oculo sotto la cuspide. Il portale in stile gotico fiorito che campeggia nel prospetto fu eretto in pietra d’Istria, scolpita a Venezia dallo scultore fiorentino Nanni di Bartolo fra il 1432 e il 1435, su commissione del condottiero tolentinate Niccolò Mauruzi. Il portale quattrocentesco rimase a campeggiare nella nuda facciata laterizia per circa due secoli, sino a che la munificenza del vescovo di Teramo, monsignor G. B. Visconti, non permise di riprenderne i lavori di completamento. Il 5 febbraio 1630 fu stipulato il contratto con lo scalpellino Florido Orlandi di Cagli, il quale inquadrò il portale quattrocentesco in un plastico prospetto tardomanierista in travertino, conducendolo sino al cornicione del primo ordine. Sopra le due porte secondarie d’accesso due alti finestroni, con timpano centinato su mensole, denunciano il secolo del barocco soltanto per due timide coppie d’orecchioni laterali appena pronunciati.
L’impatto della nuova monumentale facciata ebbe un’evidente influenza urbanistica sulla città: nel 1630, infatti, gli Agostiniani acquistarono una casa di fronte alla chiesa per demolirla e allargare la piazza; nell’agosto 1721 è documentata la costruzione di una gradinata, posta a rispetto davanti alla nuova facciata. Per il completamento della facciata bisognerà attendere il 4 giugno 1757, quando sarà stipulato un contratto con lo scalpellino Giovanni Andrea Ascani da Sant’Ippolito, il quale s’impegnò al restauro del preesistente e al completamento dell’ordine superiore incompiuto del prospetto. I primi lavori proseguirono con qualche intervallo sino al 25 agosto 1759. Vi fu un nuovo fermo sino al 16 settembre 1765, quando si demolì il muro del vecchio timpano medievale, che ancora sovrastava la facciata, e se ne eresse uno nuovo, portato a termine nel settembre 1767 con una spartizione a tre campate, strette da volute esterne, con cornicione e paraste in opera ionica che dividono i due nicchioni laterali dal gran rosone centrale, formato da un originale sole raggiato: il simbolo di san Nicola. Il coronamento retto dell’attico, con una balaustra, si conclude con quattro candelabri marmorei e un trimonte sormontato dalla croce (ricordo forse della visita pontificale di Pio VII nel 1814?).
La facciata, pericolante in alcune parti, fu restaurata in concomitanza con le celebrazioni del VI Centenario di San Nicola (1905), sotto la direzione dell’architetto Viviani.
Fabio Mariano
Fabio Mariano (cur.), Gli Agostiniani nelle Marche. Architettura, arte, spiritualità, Federico Motta Editore, Milano 2004, pp. 204-208; Torelli 1659-1686, IV, p. 449; «Sesto Centenario» 1906, passim; Lopez 1941, pp. 68-94, 199-237, 392-402; Cecchi 1975, pp. 131-147; Gentili s.d., passim; Zazzeri 1987, pp. 373-389; Gli Agostiniani e le Marche 1989, p. 48; Dellwing 1992, pp. 279-283; Pistilli 1992, pp 205-212; Raponi 1992, pp. 155-168; Cicconi 1994, pp. 264-268; Mariano 1995a, pp. 36-55, 58-59, 63-65; Pistilli 1995, pp. 28-35; Cucco 1996, pp. 273-277; Markham Schulz 1997, passim; Semmoloni 2001, pp. 1-26; Montevecchi 2001, pp. 51-58.
Denominazione | |
Denominazione alla fondazione | |
Varianti | |
Tipologia | |
Titolo |