Libro III
LIBRO TERZO
Nel qual si tratta della Communion de i Beni Temporali, che deve esser fra i professori
della Vita monastica.
Cap. I.
Della communion della possession temporale, quando cominciasse, et come si derivi dalla creatione dell’huomo fino à i tempi di sant’Agostino.
Beati pauperes spiritu : dice Christo in san Matteo, al quinto capitolo, cioè. Beati i poveri di spirito. Sopra le quali parole dice la Glosa. Poveri di spirito son quelli, c’hanno ogni cosa in lor potere, ne tengon cosa alcuna, come propria. Così facevan quelli, de i quali si dice ne gl’Atti de gli Apostoli. Nec quisquam eorum quæ possidebat, aliquid suum esse dicebat, sed erant illis omnia communia. cioè. Ne era alcuno, che dicesse esser sua cosa alcuna di quelle, ch’egli possedeva, ma tutte eran communi fra loro. Et percio questa santa povertà; che consiste nella communion de i beni temporali; ci vien lodata per molte cause, essendo stata piantata in noi per legge di Natura; figurata nella legge vecchia; predetta da i Profeti; investigata da i Filosofi; favorita da i Principi Gentili; et consacrata dal proprio Signore, et Salvator nostro in se stesso, et raccommandata à noi; osservata, et predicata da gl’Apostoli, et discepoli suoi, confermata dalle scritture da gl’Evangelisti; accettata, et riverita da i fedeli Christiani della primitiva Chiesa; et finalmente restaurata da sant’Agostino maestro nostro con la sua Regola.
Fu piantata, (dico,) primieramente in noi questa santa povertà per legge di Natura, perche quand’hebbe principio la creatura rationale, tutte le cose eran communi à tutti per legge naturale, et divina, ma per legge humana fu introdotto la proprietà, per la qual si dice: Questo è mio: Quello è tuo: come si legge nel primo cap. del Decreto all’ottava Distintione. Di questa parlando sant’Agostino sopra san Giovanni, dice così. Per la legge divina la terra, et tutto quello, ch’è in essa, è del Signore. Ha fatto Iddio i poveri, e i ricchi d’un medesimo fango; et d’una medesima terra sostenta i poveri, e i ricchi, ma per la legge humana si dice. Questa è la mia casa: Questa è la mia villa. Et soggiunge. Tolte via le leggi Imperiali, chi ardirà di dire. Questa è la mia villa? Pero dice san Clemente Papa nell’Epistola quarta, et è registrato nel Decreto, al cap. Dilectissimis. I2. q. I. La vita commune, fratelli, è necessaria à tutti, et à quelli più de gl’altri, che desiderano di viver senza riprensione nella militia d’Iddio, et imitar la vita de gl’Apostoli, et de i lor discepoli. Percio che l’uso di tutte le cose, che son nel mondo doveva esser commune à tutti gl’huomini, ma altri per la mala consuetudine delle genti ha detto, che quello è suo, et altri questo, et così è nata la division fra gl’huomini. Seguita poi, et allega Platone, dicendo. Si come non si puo divider l’aere, ne lo splendor del Sole, così non si deveno divider l’altre cose, che son date communemente in servitio di tutti, ma s’hanno à possedere communemente. Per tanto havendo havuto origine questa communione dalla legge naturale, et divina, et essendo introdotta la proprietà dalla legge humana, si vede chiaramente, ch’è cosa molto più perfetta haver le cose in commune, che possederle in privato, et tanto più, quanto la divina institutione si deve antiporre alle humane inventioni, et di quà nasce, ch’è necessario, che qualunque vuole indirizzarsi allo stato della giustitia originale, si spogli affatto della proprietà de i beni temporali.
Fu parimenti figurata la povertà nella legge vecchia, essendo stato commandato à i Leviti, che non dovessero posseder cosa alcuna ne i paesi loro, come si legge al nono cap. de i Numeri, ma che vivessero delle Decime dell’altre Tribù, il che figurava lo stato delle persone Ecclesiastiche; le quali non deveno haver cosa alcuna, se non in commune.
Fu detta da i Profeti, dicendo Isaia nel cap. 29. Pauperes homines in sancto Israel exultabunt. cioè. Gl’huomini poveri faranno allegrezza nel santo Israele. Et nel c. 66. Ad quem respiciam nisi ad pauperem? cioe. A chi mi voltaro io, se non al povero? E’l Salmo dice. Parasti in dulcedine tua pauperi Deus. cioè. Hai satiato il povero nella dolcezza tua. Et altrove. Desiderium pauperum exaudivit Dominus. cioè. Il Signore ha esaudito il desiderio de i poveri. Ne certamente si deveno intender queste, et simili auttorità, quanto à quelli, che son poveri per necessità, i quali, (come dice sant’Agostino in un Sermone,) mormorano, toglion la fama, et hanno invidia à quelli, c’hanno: rapiscono, et rubano, et se nol fanno con l’opere, non lasciano di farlo con la volontà: ne questi son chiamati beati dal Salvatore, perche non son riputati poveri, ma miseri: Là onde le parole de gl’allegati Profeti, s’intendon di quelli, che vogliono esser poveri per amor di Dio, de i quali è il Regno de i Cieli, come fu colui, di cui profeto Zacaria al cap. nono, dicendo. Exulta filia Sion: Iubila filia Hierusalem: Ecce Rex tuus venit iustus, salvator, et pauper, sedens super asinam. cioè. Rallegrati, figliuola di Sion: Giubila, figliuola di Gierusalem: Ecco, che viene il tuo Rè giusto, salvatore, et povero, sedendo sù l’asina.
Fu parimente investigata da i Filosofi la povertà, percioche quella città si puo dir, che sia giustissimamente ordinata, secondo Platone, dove i cittadini non hanno proprie passioni, pero egli finge una Republica, nella qual vuole, ch’ogni cosa sia publica, et commune, come si legge nel Decreto al cap. primo dell’ottava Distintione, et nel cap. Dilectissimis 12. q. I. Onde, dice Marco Tullio. Dolcissima è la commune possesion delle cose. Il medesimo voleva Socrate Filosofo, come fa fede il cap. *Socrates I2. q. 2. Così Crate, et Diogene, et molt’altri Filosofi sprezzorono le ricchezze. Pero san Gieronimo, scrivendo contra Gioviniano, dice, che Diogene habitava in un doglio, ne usava altra tazza per bevere, che le proprie mani, non volendo cosa alcuna superflua: Et di lui recita Valerio Massimo nel libro quarto, ch’essendo andato Alessandro Magno à trovarlo una volta, ch’egli sedeva al Sole, et invitandolo à chiedergli qualche cosa, rispose. Di questo trattaremo poi: ma hora vorrei, che tu non m’impedissi il Sole.
Fu oltra di cio favorita la povertà da i Principi Gentili, perche la tenevano molto cara, onde il detto Valerio Massimo narra nel libro citato di sopra, che Fabritio rifiuto l’oro, l’argento, et gl’altri pretiosi doni, che gli mandorono i Sanniti, et Pirro Rè de gl’Epiroti; et conclude, ch’egli per beneficio della sua continenza, era ricchissimo senza denari, era accompagnato senza famiglia, et ricco più tosto per desiderar poco, che per posseder molto. Si fa mentione nel medesimo libro di molt’altri huomini principali, c’hanno non solo sprezzate, ma quasi sdegnate le ricchezze, pero anco Seneca nel libro, De providentia, dice, che Demetrio getto via le ricchezze, perche gli pareva, che fossero un peso ad una buona mente. Et soggiunge. Non havere à schifo la povertà, non essendo niuno così povero, come è, quando nasce. Et seguita, parlando pur di lui. Si come prohibì à se stesso l’havere, così prohibì il dimandarne; quasi che volesse dire. Non volse haver, ne dimandar nulla. Di questo se ne ha un’esempio ne libro precedente, al cap. 26. verso il fine. Pero questi huomini famosi, et Filosofi Gentili, se ben lasciorono ogni cosa, non havendo seguitato Christo, furon molto discosti dalla perfettion della povertà, et ne hebbero solamente qualche notitia, come in sogno, o quasi odorandola da lontano, come s’è detto della castità nel cap. penultimo del libro precedente.
Fu poi consacrata questa volontaria povertà dal Signore, et Salvator nostro GIESU Christo in se stesso, havendola egli sofferta per tutto il tempo della vita sua dal nascimento infino alla morte, come colui, che venendo nuovo huomo nel mondo, si come fu conceputo, et nacque con l’integrità della giustitia originale, così converso nel mondo senza violar la legge naturale, et divina, pero la legge di Natura si conservo intiera in lui solo, quantunque esso non fosse in modo alcuno sottoposto alle leggi humane, se non quando si degno di sottoporvisi egli medesimo, et così tutte le cose gl’eran veramente communi, essendo la terra del Signore, et tutto quello, ch’in essa si contiene, come ho detto, ne esso doveva appropriarsi cosa alcuna da tutta l’università de i beni temporali, perche questa division di cose, per la qual si distingue il mio dal tuo, ha havuto principio dalla malitia humana, della quale egli fu totalmente, et tutto libero.
Da questa consideratione adunque si comprende chiaramente, che la povertà di Christo fosse perfettissima, et nobilissima, come quella, che gli fu connaturale, et fu tale, c’huomo alcuno non puote, ne potrà mai possederla così pienamente, come egli fece. Possiam ben parteciparne, et debbiam farlo, se vogliam esser suoi veri discepoli, et pero egli ce l’ha molto raccommandata, et ci ha invitati ad abbracciarla, dicendo in san Matteo, al citato cap. quinto. Beati i poveri di spirito: Et in san Luca, al 14. Qui non renuntiaverit omnibus, quæ possidet, non potest meus esse discipulus. cioè. Chi non rinontiarà à tutto quello, che possiede, non puo esser mio discepolo. Et à quel giovanetto, che gli dimando, che cosa gli mancava per giungere alla perfettione, rispose, come si legge in san Matteo al 19. cap. Si vis perfectus esse, vade, et vende omnia, quæ habes, et da pauperibus, et veni sequere me. cioè. Se tu vuoi esser perfetto, va, et vendi tutte le tue sostanze, et distribuiscile à i poveri, et vieni, et seguitami.
Fu ancora osservata, et predicata la povertà da gl’Apostoli, et da gl’altri discepoli di Christo, pero si legge, che san Pietro, et sant’Andrea abandonate le reti, et la barca, cioè tutto quello, c’havevano, lo seguitorono, come fecero anco gl’altri: onde san Pietro gli disse confidentemente in nome di tutti, nell’allegato cap.19. di san Matteo. Ecce nos reliquimus omia, et secuti sumus te. cioè. Ecco, che noi habbiamo abandonato ogni cosa, et t’habbiam seguitato. Et questo medesimo predicorono, et insegnorono à gl’altri, perche seguitassero Christo.
Fu per consequenza accettata, et riverita da i Christiani della primitiva Chiesa, pecioche i fedeli, ch’erano in Gierusalem in grandissimo numero, poi che’l Signore era asceso in Cielo, vendevano le possessioni, et sostanze loro, et mettevano i prezzi, che ne trahevano à i piedi de gli Apostoli, ne era alcuno, che dicesse esser sua cosa alcuna, che possedesse, ma eran tutte communi fra loro, come si legge nel quarto cap. de gl’Atti: Et mettevano i prezzi inanzi à i piedi, non nelle mani de gl’Apostoli, particolarmente à questo fine, perche à quei santi discepoli, et servi di Dio pareva indegnità toccar con le proprie mani così fatti denari, come dice sant’Agostino nel Sermone, De triplici genere monachorum. Finalmente desiderando sant’Agostino di rinovare, et restaurare con la sua Regola quella santissima povertà Apostolica, già per la lunghezza del tempo, et per la tepidezza de gl’huomini quasi distrutta, et corrotta, come s’è detto nel secondo cap. del primo libro, dice così à i suoi discepoli. NON DICATIS aliquid proprium, sed sint vobis omina communia. cioè. Non dite, che cosa alcuna sia vostra propria, ma tenete il tutto commune.
Ce ne diede oltra di cio il medesimo maestro nostro l’esempio in se stesso, leggendosi di lui, che poi che fu tornato alla patria, vendette, et diede à i poveri la casa propria, le possessioni, et tutti i suoi beni particolari, et così diventato povero, comincio à servire à Dio insieme con quei poveri Canonici, et frati, che lo seguitavano, meditando nella legge del Signore il giorno, et la notte. Et benche fosse fatto Vescovo, non volse abandonar mai la povertà: onde nel Sermone citato di sopra, dice. Non debbiamo haver beni temporali, per possedergli, ne io, che son Vescovo, debbo tenergli, se non per dispensargli. Et più à basso. Io godo adunque, fratelli, benche mi vediate nella sedia Episcopale, d’haver la povertà per mia sposa, essendo essa sposa anco di Christo, possessione de i santi, vita de i beati, sicurezza de i fedeli, ornamento de i chierici, honestà de i monaci, et bellezza de i nobili. Questa è la santa povertà, che non lascia haver bisogno di cosa alcuna à chi la tiene, et ama. Nè è meraviglia, essendole stato conceduto il dominio di tutte le cose: Soggiunge poi. Siate adunque poveri, fratelli miei, perche’l Signore ha esaudito i poveri, et l’orecchie sue udiranno le lor dimande.
Cap.II.
Di diversi modi di vivere, osservati secondo diversi tempi, in questa communione, nella qual si tengono
tutte le cose communi.
Diversi sono stati i modi d’osservar questa communione dal tempo, c’hebbe principio la Religion Christiana.
Il primo fu quello, che s’osservo nella santissima communanza di GIESU CHRISTO, et di quelli, che lo seguitavano, che furono gl’Apostoli, et gl’altri discepoli suoi. Percioche il proprio Signor nostro, essendo stato il primo fondator della povertà evangelica, non volse posseder cosa alcuna in questo mondo, come suonan quelle parole di san Luca al cap.9. Vulpes foveas habent, et volucres cœli nidos, filius autem huominis non habet, ubi reclinet caput suum. cioè. Le volpi hanno le tane, et gl’uccelli hanno i lor nidi, ma il figliuol dell’huomo non ha luoco, dove possa appoggiar la testa. Pero san Pietro in persona di tutti gl’altri dice arditamente. Ecce nos reliquimus omnia, et secuti sumus te. cioè. Ecco, che noi habbiamo abandonato ogni cosa, et t’habbiam seguitato. Vivevano questi in commune dell’elemosine de i fedeli, onde si legge in san Luca all’ottavo cap. ch’alcune donne seguitavano Christo, et gli porgevano aiuto con le lor facoltà, fra le quali era Maria Maddalena, Giovanna moglie di Cusa, procurator d’Herode, Susanna, et molte altre liberate da Christo da gli spiriti maligni, et da diverse altre infermità.
Il secondo modo fu conforme all’institutione Apostolica, et era questo, che niun Christiano tenesse cosa alcuna, come propria, ma ch’il tutto fosse fatto commune, per il che non si potevano tener poderi, ne possessioni, ne heredità, ne rendite di sorte alcuna, ma si vendeva ogni cosa, et del prezzo de i beni venduti, et d’altri donati da i fedeli di viveva in commune, come si legge ne gl’Atti de gl’Apostoli; del qual modo si parla nel cap. Dilectissimis. 12. q. I. et duro sin’a i tempi di sant’Urbano Papa, che fiorì circa gl’anni del Signore CCXXV. et fu il Sestodecimo dopo san Pietro.
Il terzo modo di viver della Religion Christiana comincio sotto il detto Urbano, et fu questo; che la Chiesa potesse tener poderi, possessioni, et heredità in commune solamente, ma non in privato, dovendo sentir maggior beneficio da i beni stabili, che da i prezzi di essi, perche si poteva de i lor frutti sovvenire à i fedeli più lungamente. I dispensatori de i frutti erano i Vescovi, i quali durando ancor la vita commune tra i fedeli, havevano ad impiegargli ne i lor bisogni, come s’era fatto prima de i prezzi delle possessioni vendute: Del qual modo si fa mentione ne i cap. Videntes, et Scimus.12. q. I. Ma s’alcuno mi dimandasse, come Papa Urbano s’assicurasse d’alterar l’institutione Apostolica, gli risponderei, che prevedendo gl’Apostoli col lume dello Spirito Santo, che la Chiesa di Gierusalem haveva à dispergersi per la persecutione, che dovevano haver i Giudei per la propinqua destruttione della città, et nation loro, et ch’era per passare à i Gentili, et fra essi stabilirsi, et durar lungamente, lasciorono, che le possessioni si vendessero, come s’è detto, perche non era util suo tenerle nella Giudea à quel tempo. Essendosi poi ne i tempi di Papa Urbano stabilita la Chiesa in diversi luochi de i Gentili, fu fatta questa mutatione di commun consiglio de i Vescovi, e de gl’altri fedeli per le predette cause, come si legge nel cap. Futuram, alla detta 12. q. I.
Il quarto modo fu trovato nei i tempi di san Silvestro Papa, et di Costantino Imperatore, li quali furon circa gli anni di Christo CCCXIII. quando fu data la pace universale alla Chiesa: Perche all’hora Costantino volse, che le chiese havessero beni stabili, et ordino insieme, che pigliassero le decime, et egli medesimo fece loro grandissimi doni, come si legge nel cap. Constantinus. 96. Distinctione, et nell’allegato cap. Futuram: et da quel tempo inanzi la Chiesa accetto liberamente le possessioni stabili, e’l dominio de i beni temporali. Fattesi poi ricche le chiese, et crescendo il popolo Christiano, tanto ch’i Vescovi eran troppo occupati nella distributione di quello, che bisognava ad ogn’uno; si venne ad intepidir pian piano questa santa communione, e i laici cominciorono à provedersi di beni in particolare, et specialmente quelli, che non havevano ancor lasciate le proprie facoltà, anzi furon lasciati tener di proprio, vivendo pero i chierici tuttavia in commune. Di che parlano i cap. Duo. Nolo. et Non dicatis. nella citata 12. q. I.
Da questo quarto modo hebbe origine il quinto, perche havendo già acquistato i laici molti beni in particolare nello spatio d’ottant’anni, che corsero fra san Silvestro, et sant’Agostino, i chierici ancor volsero haver di proprio, ma egli, come fu Vescovo, lo vieto, ordinando ch’i chierici suoi sudditi osservassero questa communione, ne potessero tener di proprio: nondimeno, perche quest’ordine s’osservava negligentemente, et se ne scoprivano molti trasgressori; egli lo rivoco, concedendo, ch’i chierici, che volessero tener di proprio, non fossero pero privati del chiericato, specialmente non essendo promossi à gl’ordini. Confermo poi il primo statuto di consentimento del suo clero, dechiarando, che niun chierico potesse tener di proprio, et facendo altramente, fosse cancellato del libro de i chierici. Così è scritto ne i cap. Nolo. et Certè. 12. q. I. et se ne parla di sopra nel cap.14. del libro precedente. Duro questo modo molto tempo, o almeno mentre visse sant’Agostino, il qual poi che’l clero consentì al detto statuto non volse mai, ch’i suoi chierici tenessero cosa alcuna di proprio. Successe à questo il sesto modo di vivere, et fu di questa maniera.
Abondando già la maggior parte de i laici de i beni proprij, et dividendo i chierici i beni delle chiese, restorono molti laici in bisogno, o per havere lasciato le proprie facoltà, o per esser veramente poveri, come quelli, che non erano sovvenuti de i beni delle chiese, che dovevano esser communi, per il che ne i tempi di Papa Gelasio, il qual fiorì intorno à gl’anni della salute nostra CCCCXCVIII. s’ordino, che le rendite delle chiese si dividessero in quattro parti. La prima delle quali si desse al Vescovo per sostentamento della persona, et famiglia sua, et per alloggiare, et ricevere i peregrini. La seconda à i chierici, perche fossero assidui, et diligenti ne i loro officij. La terza alla fabrica della chiesa. La quarta si distribuisse fra i poveri, et peregrini, come si legge ne i cap. Concesso vobis. et Mos.12. quæst. 2. et per questo sesto modo i beni delle chiese eran communi almeno fra i chierici.
Ci è stato anco un settimo modo derivato da i precedenti, et fu questo. Perche l’osservanza della predetta divisione si veniva à poco, à poco raffreddando, i beni delle chiese furon divisi in Prebende, le quali s’assignavano à i Canonici, et à gl’altri chierici, che servivano alla chiesa, accioche di quelle, non come proprie, ma come communi si provedessero à i bisogni loro, et de i suoi, et avanzando qualche cosa dalla provisione delle proprie necessità, dovessero impiegarla alle communi occorrenze della chiesa, et in questa maniera restava ancor qualche vestigio, (benche picciolo,) della prima communione. Di questo modo di viver si fa mentione nel cap. Si ergo res Ecclesiæ. 12. q. I.
Fu introdotto finalmente un’ottavo modo, il qual s’osserva hoggi ancora, et è questo, ch’i chierici possedono le Prebende, e i Beneficij non come proprij, ne appropriati, ma come communi, et deputati all’uso loro, et questi son dispensati, secondo la conscienza d’ogn’uno. Et s’alcuno ha altri beni oltra questi, o di patrimonio, o d’industria, che non dependano punto da acquisti di chiesa, gli possede, come proprij, se pero non gl’ha rinontiati per professione, o per voto, et secondo quest’ultimo modo espongono i Dottori leggisti tutti i canoni antichi, che dicono i chierici non poter tener i beni proprij, dechiarando cio doversi inteder di quelli, che gl’hanno rinontiati, et di quelli, che non hanno altri beni, che gl’Ecclesiastici, et così s’intende il cap. Manifestè. 12. q. 1. et tutto il Titolo extr. De peculio clericorum.
Dalle cose predette, si vede espressamente, che questa santissima communione della regola Apostolica s’è venuta sempre allargando di tempo in tempo, perche da principio abbracciava tutti i Christiani, ma poi pian piano s’è tanto ristretta, ch’à pena se ne puo trovar qualche vero vestigio ne i chierici beneficiati. Et percio sant’Agostino scrive una Regola conforme al secondo modo, accioche questa communion restasse almeno in alcune persone religiose, et questo si potrà chiamare il nono modo, del quale continuaremo à ragionare.
Cap.III.
Che sant’Agostino fu il primo, che rinovasse la communione Apostolica con la sua Regola.
Vedendo sant’Agostino, ch’à i suoi tempi l’osservanza della communione Apostolica era quasi sbandita da i confini dell’obedienza, et che in corso di qualche tempo poteva molto più allontanarsene, et desiderando di ricuperarla, rinovarla, restaurarla, et conservarla; scrisse una discretissima Regola, fondata sopra gl’Atti de gli Apostoli, trattando copiosamente della communione Apostolica, et commandando à i suoi discepoli, che la seguitassero; con la qual par ch’egli fosse il primo, che la richiamasse, et restaurasse, benche inanzi à lui molti religiosi, et santi padri, et monaci fossero vivuti ne i monasterij. Pero egli nel Sermone à gl’Eremiti, che comincia: Ut nobis per litteras, dice così. Vedete, fratelli, ch’inanzi à me sono stati molti, che noi debbiamo imitare, ma pero non insegnorono à vivere à gl’altri, secondo la vita Apostolica, come ho fatt’io. Et soggiunge. Havendo intentione d’havere, et possedere ogni cosa in commune, perche quelli, che vivon nell’altezza della povertà, deveno havere un cuore, et un’anima sola insieme, et possedere ogni cosa in commune.
Si sa chiaramente, che fra le tre Regole di sant’Agostino, di san Basilio, et di san Benedetto, anticamente approvate, et canonizate ne i Decreti, l’ultima di lungo tempo fu quella di san Benedetto. Dell’altre due qual fosse la prima non si puo sapere, essendo stati san Basilio, et sant’Agostino in un tempo istesso, se ben san Basilio era maggior d’età: sant’Agostino fece la sua Regola, ch’era ancor giovane di trentasei anni, ma san Basilio mise in luce la sua, essendo vecchio, et sant’Agostino la fece, perche non haveva havuto ancor notitia di quella di san Basilio, come si vede dalle predette sue parole.
Oltra le tre Regole sopradette, fu anco accettata quella di san Francesco, la quale uscì fuori circa ottocent’anni dapoi. Si sa anco, ch’inanzi à i tempi di sant’Agostino, molti religiosi son vivuti ne i monasterij con certi modi, et regole instituite da quei padri, sotto i quali militavano, per il che san Gieronimo scrive nelle Vite de i Padri, che sotto la cura del beato Serapione vivevano diece millia monaci, et che’l monasterio di sant’Isidoro vicino alla Provincia di Tebaide, era cinto di mura, et haveva mille monaci, alla cui porta sedeva il Superiore, et accettava quelli, che volevano entrarvi con patto di non havere ad uscirne mai più: Et dice à questo proposito, che niun di quei monaci hebbe mai infermità alcuna, ma che antivedendo ogn’un d’essi il suo fine, lo manifestava à gl’altri, et dopo un breve saluto allegramente mandava fuori la spirito. Pero non so, come senza l’indirizzo di qualche Regola si fosse potuta governare una così gran moltitudine di monaci, benche tali Regole non sian poi state solennizate dalla Chiesa.
San Pacomio ancora scrisse una Regola, accommodata all’una, et all’altra sorte di monaci, la quale egli haveva havuta per bocca dell’Angelo, come si legge nella cronica di Sigeberto, et nella vita sua, et ne habbiam parlato noi ne i cap. 18. et 25. del libro precedente, come faremo anco nell’ottavo del seguente. Et questa è la Regola, ch’alcuni attribuiscono à san Basilio. Ma benche la Regola di san Basilio, o di san Pacomio fosse anteriore à quella di sant’Agostino essa è pero tutta monastica, et non è tanto fondata sopra gl’Atti Apostolici, come è questa. Pero ho detto particolarmente, che sant’Agostino è stato il primo, c’habbia rinovato la vita Apostolica, con la sua Regola.
Cap. IV.
Che la Regola di sant’Agostino è fondata sopra gl’Atti de gl’Apostoli
Ma per intender come la Regola di sant’Agostino sia fondata sopra la communione Apostolica, bisogna saper, che se ben tutte le Regole de i Religiosi commandano la vita commune, et prohibiscono la proprietà; non potendo monaco alcuno, ne religioso cenobita secondo la legge commune, tener cosa alcuna come propria; nondimeno le Regole di San Basilio, et di san Benedetto son fondate sopra le possessioni, e i terreni. Quella di san Francesco non solamente vieta affatto i beni stabili, ma non vuol pure, che si tengano i prezzi di essi. Ma la Regola di sant’Agostino tiene il luoco di mezo, percioche concede, che si possedano i beni in commune, et gli prohibisce in particolare, dicendo. NON dicatis aliquid proprium, sed sint vobis omnia communia. cioè. Non dite, che cosa alcuna sia vostra propria, ma tenete il tutto commune. Et soggiunge. SIC ENIM legitis in Actibus Apostolorum, quod erant illis omnia communia, et distribuebatur unicuique, prout cuique opus erat. cioè. Perche così leggete ne gl’Atti de gl’Apostoli, ch’ogni cosa era commune fra loro, et si distribuiva à tutti, secondo il bisogno d’ogn’uno. Ecco come la Regola sua è fondata sopra gl’Atti de gl’Apostoli, et bench’egli non reciti distintamente in essa quest’altre parole, che si leggon nel medesimo luoco. Quot quot autem possessores agrorum, aut domorum erant, vendentes afferebant pretia eorum, quæ vendebant, et ponebant ante pedes Apostolorum. cioè. Et tutti quelli, che possedevano campi, o case le vendevano, et portando i prezzi, che ne pigliavano, gli mettevano à i piedi de gl’Apostoli; dice pero in sostanza il medesimo con altre parole, soggiungendo subito. QUI ALIQUID habebant in seculo, quando ingressi sunt monasterium, libenter velint illud esse commune. cioè. Quelli, c’havevano qualche facoltà al secolo, quando entrorono nel monasterio, si contentino di farla prontamente commune. Et perche introducendosi quel modo Apostolico, non saria durato, come habbiam detto, ne si saria potuto continuar lungamente à sostentar così gran moltitudine di monaci de i prezzi delle possessioni, perche consumati quelli difficilmente si sariano trovati altri, c’havessero havuto copiose facoltà da contribuire; sant’Agostino, lasciando quel modo, come instituito solamente per quel breve spatio di tempo, ne introdusse un’altro equivalente, et accommodato à quell’età, et à i tempi, che dovevano venire, et secondo questo modo non è necessario, che quelli, ch’entrano nella Religione, vendano le facoltà, et portino i prezzi à i piedi de i lor Prelati, ma basta, che donino al monasterio i beni, c’havevano al secolo, et gli godano in commune, et val questo modo, come quello, che si teneva sotto gl’Apostoli, per il che Ugone sopra le dette parole della Regola, dice. Questo fecero i fratelli della primitiva Chiesa, giudicando esser conveniente, che quelli godessero la robba in commune, c’havevano la gratia in commune, et facessero una sola spesa quelli, c’havevano un’istesso spirito. Ma altramente fanno quelli, che lasciano ogni cosa à i parenti, et heredi loro, et senza portar nulla entrano nel monasterio. Non facevano così quelli, che si convertivano alla Fede Christiana sotto gl’Apostoli, perche mettevano ogni cosa à i piedi loro: Ne il maestro nostro, sant’Agostino insegna questo, perche dice, che debbano contentarsi di communicar le loro facoltà al monasterio, ne meno è conforme alla dottrina del Salvator nostro, il qual disse nell’Evangelio. Si vis perfectus esse, vade, et vende omnia, quæ habes, et da pauperibus. cioè. Se tu vuoi esser perfetto, va, et vendi tutto cio, che tu possedi, et dallo à i poveri. Così fece sant’Agostino padre nostro, il qual, come si legge, poi che fu tornato alla patria, vendute, et dispensate tutte le sue sostanze à i poveri, secondo l’institutione Apostolica, et diventato povero; comincio à servire à Dio co i poveri, che lo seguitavano. Ecco adunque, ch’egli fece questa distributione, secondo il modo Apostolico. Ma s’alcun dimandasse qual fosse questo modo, si deve risponder, che gl’Apostoli distribuivano i beni communi fra i fedeli della lor communanza, ch’eran poveri, per non si esser serbata cosa niuna in particolare: Potevan forse darne qualche parte à gl’altri poveri, ma attendevano principalmente à provedere à quelli, che vivevano seco in commune, de i quali è scritto particolarmente. Si distribuiva à tutti, secondo il bisogno d’ogn’uno. Così fece sant’Agostino padre nostro, del qual benche si legga, che desse tutte le tue sostanze à i poveri, si legge anco, che del suo patrimonio edifico un monasterio nell’Eremo, per il che; havendole date alla sua congregatione in commune, dove ogn’uno era povero, non havendo nulla di proprio; s’intende, che l’habbia date à i poveri. Et che la principale intention sua s’indrizzasse à i poveri, che facevano seco vita commune; (quantunque esso gl’amasse universalmente tutti;) lo accenna egli medesimo, soggiungendo. NEC EXTOLLANTUR, si communi vita de suis facultatibus aliquid contulerint. cioè. Ne s’inalzino, s’haveranno posto qualche cosa delle lor facoltà nella vita commune. Et più abasso. QUID PRODEST, dispergendo dare pauperibus, et pauperem fieri, cùm anima misera, miserior efficitur, divitias contemnendo, quam fuerat possidendo? cioe. Che giova sparger quà, et là il suo, et dandolo à i poveri, diventar povero, se l’infelice anima diventa più superba, sprezzando le ricchezze, che non era stata, che non era stata, mentre le possedeva? Ecco, ch’egli chiama poveri quelli, che vivono in commune nel monasterio, dicendo: nella vita commune, et poi, à i poveri, nel qual senso, parlando di Valente Diacono nel Sermone, De communi vita clericorum, che comincia. Charitati vestræ; dice d’haver donato alla sua chiesa i proprij terreni, perche se ne havessero à sostentar quelli, che perseverano nel proposito di santità, mentre fossero vivuti, dicendo l’Apostolo. Si quis suorum, et maximè domesticorum curam non habet, fidem negavit, et est infedeli deterior. cioè. Chi non ha cura de i suoi, et specialmente de i domestici; ha negato la fede, et è peggior d’un’infedele. Per queste parole poi, ch’egli dice nella Regola, Sparger quà, et là il suo, et darlo à i poveri, accenna, che quando alcuno entra nella Religione, non sol deve distribuir le sue facoltà à i poveri del suo monasterio, ma anco à gl’altri bisognosi, et pero usa questa parola, Sparger quà, et là, la quale è conforme a quello, che dice il Salmo. Dispersit, dedit pauperibus. cioè. Ha sparso quà, et là, et dato à i poveri. Per tanto parlando egli nel libro, De opere monachorum, di quelli, che s’eleggono una povertà volontaria, et dispensano tutte le lor facoltà per amor di Dio, dice così. Non si deve guardar di qual monasterio, o di qual luoco siano i frati poveri, à i quali s’habbia à donare il suo, essendo una sola la Republica di tutti i Christiani.
Cap.V.
Che la Regola di sant’Agostino è commune, così à quelli, che tengono i poderi, et le possessioni, come à quelli, che non le tengono.
Per quello, che s’è detto, forse potria parer à qualcheduno, che quelli, che fanno professione in questa Regola, non possano tener i poderi, et le possessioni ad imitation de gl’Apostoli, i quali più tosto commandavano, che i lor possessori le vendessero, et pigliavano i prezzi de i ben venduti, onde essendo fondata la Regola sopra gl’Atti loro, pare, ch’à quelli, che la professano, non sia lecito potergli tenere, nondimeno si risponde, che se ben la Regola di sant’Agostino non concede la proprietà, non percio la vieta, intendendosi conceduto, secondo Brocardo, quello, che non è prohibito. Pero egli medesimo nel detto Sermone, che comincia. Charitati vestræ; parlando del sopradetto Valente diacono, et di molt’altri chierici della sua chiesa, dice, che diedero le lor possessioni alla chiesa, la quale ritenne con saputa, et consenso suo, benche fosse regolare, essendo governata da lui. Ne s’oppone à questo, ch’i santi Apostoli non havessero beni stabili, et non permettessero, che quelli, che si convertivano alla fede, gli potessero tenere, perche non era servitio de i fedeli posseder cosa alcuna per quel breve tempo, che vissero insieme in Gierusalem, come habbiam detto più di sopra.
Si risponde parimente à quello, che si potria dire; che la Regola di sant’Agostino sia fondata sopra gl’Atti de gl’Apostoli; questo doversi intender, quanto alla parte espressa in essa, non quanto al tutto, perche gl’Apostoli facevano molte cose, che non s’appartengono à tutti i professori di questa Regola. Si dividevano per il mondo, predicavano, caminavano separatamente l’un dall’altro, battizavano, facevano miracoli, non passavano da una casa all’altra, non portavano un’istesso habito, non tenevano due vesti, non scarpe, non borsa, non bisacca, non bastone, non pane, non denari nelle cinture: Non salutavano alcuno nel camino, mangiavano quello, ch’era lor posto inanzi, et facevano altre sì fatte cose, alle quali non son tenuti i professori della nostra Regola. Per la qual cosa tenendosi i poderi, et le possessioni stabili, non si contrafarà alla Regola di sant’Agostino, si come non sarà cosa essentiale tenerle, essendo essa commune così à quelli, che le hanno, come à quelli, che non le hanno. Di quà nasce, ch’i Canonici Regolari, i *Norbentini, i Premonstratensi, e i Vittorini, tengono grandissime possessioni, et poderi, et è approbato dalla Santa Chiesa Romana, et all’incontro i Frati Eremiti di sant’Agostino, che vivon sotto l’istessa Regola, non ne tengono, et son computati dalle leggi fra i mendicanti, come anco i Frati Predicatori. Per il che è cosa certa, che la Regola così è commune à chi ha, come à chi non ha i beni stabili. Ne poco importa in questo proposito quello, che dice sant’Agostino nella Regola, dove parla di quelli, ch’entrano nel monasterio, perche non gl’obliga à vendere i poderi, ne à dargli à i monasterij, ma senza altra specificatione dice. QUI ALIQUID habebant in seculo, quando ingressi sunt monasterium, libenter velin illud esse commune. cioè. Quelli, c’havevano qualche facoltà al secolo; quand’entrorono nel monasterio; si contentino di farla prontamente commune; volendo inferire, che siano o possessioni, o altri beni, di che qualità si vogliano, si contentino di mettergli in commune.
Cap. VI.
Ch’è più conforme alla Regola di sant’Agostino non haver poderi, et possessioni, c’haverle.
Ma se alcuno dubitasse quali vivano più secondo l’intention della Regola, o quelli, che tengono le possessioni, o quelli, che non le tengono, per certo pare, che le parole di sant’Agostino nella detta Regola s’accommodin più à quelli, che le tengono, che le tengono, ch’à gl’altri, commandando, che la dispenssa, e’l vestiario sian communi, et che si proveda ad ogn’uno, secondo il suo bisogno, i quali precetti non pare, che possano haver luoco fra i mendicanti, et fra quelli, che non hanno cosa alcuna. Io nondimeno; (salva ogn’altra migliore opinione;) giudico, che la Regola si confaccia, et s’accommodi più à quelli, che non hanno beni stabili, ch’à quelli, che gl’hanno, principalmente per esser fondata sopra gl’Atti de gl’Apostoli, li quali non havevano, ne volevano, ch’i fedeli havessero possessioni stabili di sorte alcuna, come habbiam predetto, pero Ugone nell’esposition della Regola sopra quelle parole. Quelli, c’havevano qualche facoltà al secolo, etc. dice, ch’i fratelli della primitiva Chiesa, facevano così, perche non tenevano le possessioni, ma le vendevano, et mettevano i prezzi a i piedi de gl’Apostoli. Questo si comprende pur dall’istessa Regola, nel progresso della quale sant’Agostino tratta de i luochi, et de i ministri, che s’appartengono alla necessità de i frati, com’è il preposito, il presbitero, la dispensa, il vestiario, l’oratorio, l’infermaria, la libraria: tratta del modo d’uscir del monasterio, et sin del lavare, et scuotere i vestimenti, ma de i luochi, et ministri, che si ricercano à i poderi, et alle possessioni, non dice cosa alcuna, non del maestro della corte, non de i granari, non de gl’aratri, non de i mietitori, non de i pastori di pecore, ne d’altri simili officiali: Là onde havend’egli trattato di tant’altre cose, et così minute, sarebbe meraviglia, che non havesse parlato anco di queste così notabili, dalle quali depende il vivere, e’l sostentamento de i frati. Et s’altri dicesse. Come adunque s’intenderà, che la dispensa debba esser commune, et che si proveda ad ogn’uno, secondo il suo bisogno? Si deve risponder, che ne i tempi di sant’Agostino le rendite delle chiese, et le decime eran communi à tutti quelli, che servivano all’altare, di maniera che con queste si provedeva così à i chierici, come à gli altri Religiosi, che s’applicavano à così fatto servitio, overo à Dio in povertà. Ne questa era così difficil cosa, essedo all’hora pochi i monasterij, che vivessero in questo modo. Si puo anco dir, ch’in quei tempi si provedeva facilmente à i religiosi di questa sorte, perche si contentavano di poco, et dove dice la Regola, che si provedeva à tutti, secondo il bisogno, come si legge ne gl’Atti predetti, non si deve intender ch’i fedeli; (et specialmente i religiosi;) havessero sì fatte provisioni così largamente, ma come discorre Ugone nell’esposition della Regola, sopra quelle parole. SIC enim legitis in Actibus Apostolorum, quod erant illis omnia communia, et distribuebatur unicuique, sicut cuique opus erat. Dove dice così. Per queste parole non si deve intender, che fosse così abondantemente proveduto alle necessità d’og’uno, che non havessero bisogno di tutti qualche cosa, perche; se bene è scritto, che fra loro non era alcun bisogno; leggiamo anco, ch’è scritto, che gl’Apostoli medesimi servivano à Dio in fame, et sete, et freddo, et nudità. Et soggiunge. Nella primitiva Chiesa abondava tanto la gratia spirituale, ch’i fedeli, non solamente eran contenti di poco, ma riputavano grandissime delitie non haver nulla, et questi; (come dice l’Apostolo;) non hanno niente, et possedono ogni cosa. Di che parlaremo più copiosamente nel capit. 4. del seguente libro. Pero anco sant’Agostino non fondo il monasterio, che fece nell’Eremo, sopra gran possessioni, perche tutto il patrimonio suo non saria bastato pure à fabricarlo, se non fosse stato aiutato da san Valerio, poi che quei frati vivevano seco in grand’astinenza, com’egli afferma nel Sermone, De prudentia, dicendo. Non habbiam lasciato il secolo, per viver delicatamente nell’Eremo, dove se ben non mangiate sempre latte, butiro, cavoli, et legumi, anzi solamente ne i giorni solenni, et quando sete visitati dal santo vecchio, il Vescovo Valerio, et se ben mangiate tutti gl’altri giorni herbe crude, pan d’orzo, et acqua, non basta pero, che si faccia astinenza col corpo, perche bisogna conservare anco la mente senza peccato. Et in un’altro Sermone che comincia, Ut nobis per litteras; dice così. Bench’io fossi Vescovo, non percio pensai di spezzar la povertà, per esser nel numero di quelli, che non hanno nulla; (come dice l’Apostolo;) et possedono ogni cosa. Et più à basso nel medesimo Sermone dice. Ho cominciato à viver co i medesimi chierici nel monasterio del Vescovato poverissimamente, non mangiando carne, se non quando giungono i forastieri, ma herbe, et legumi senza oglio, et butiro, come soleva fare allegramente, quando viveva con voi. Et in un’altro Sermone intitolato, De oratione, à i detti frati dice così. Non siate pigri nell’oratione, et perche possiate orare, et cantare senza molto impedimento nel corpo, ho commesso, ch’à voi miei fratelli sian portati de i beni del Vescovato della chiesa d’Hippona cento cinquanta habiti per vestirvi, et calzarvi, accioche ogn’uno ne i tempi freddi possa servirsene, quando gli bisognarà, et serbargli, et custodirgli nel commune vestiario con ogni diligenza, et carità, sapendo voi, che la carità non cerca quello, ch’è suo, ma quello, ch’è di Dio: et così facendo non mancarete. Si vede adunque, che quei frati eran contenti di poco, et ch’eran sovvenuti de i beni della chiesa d’Hippona, oltra che lavoravano di propria mano, come habbiamo veduto di sopra nel cap.23. del libro precedente. Et in questa guisa potevano bastevolmente provedere alla vita loro senza poderi, ne altre possessioni stabili.
Cap. VII.
Se i frati Eremiti di sant’Agostino possano tener poderi, et possessioni.
Et perche essendo connumerato l’Ordine de i frati Eremiti di sant’Agostino fra i mendicanti, così nelle leggi Canoniche, come nelle lettere Apostoliche, si potria dubitar, se essi, secondo il presente stato, possano posseder terreni, o altri beni stabili; si deve sapere, che l’haver poderi, o entrate, o altre possessioni non è lor vietato, quanto alla Regola, la qual; (come habbiam mostrato;) così è commune à chi le ha; come à chi non le ha; Non, quanto al voto, o professione, che fanno, perche questa non gl’astringe ad altro intorno à quest’articolo, ch’à viver senza proprietà: Non, quanto al primo stato di quelli, che cominciorono ad habitar nell’Eremo, permettendo la legge commune, che gl’Eremiti possan tener beni proprij, come Anacoreti, o almeno in commune, come Cenobiti; Non, quanto allo stato della mendicità; (di cui forse si potria haver maggior dubbio;) come quello, che non si contiene tanto a i frati Eremiti, che siano obligati à mendicare à porta, à porta, ma solamente, perche non hanno possessioni, ne rendite da viver d’una commune dispensa, et vestirsi d’un commune vestiario, onde, se da i Principi, o da altri pietosi Christiani fosse proveduto à i lor bisogni di giorno in giorno, o di settimana in settimana, overo una volta l’anno, non repugnarebbe al loro stato, ch’essi accettassero sì fatte provisioni, et cio perche un tal modo non vien loro prohibito, ne dalla Regola, ne dalle Constitutioni, ne dalla professione, et per consequenza non sariano sforzati à mendicare attualmente, benche per l’officio della predicatione restassero obligati habitualmente, come ho detto di sopra, non havendo da se le cose necessarie alla vita, ch’in tempo di necessità s’hanno à procurar mendicando, over si potrebbe dire, come dice sant’Agostino nel libro, De bono coniugali; dove parla del merito della castità, et del martirio, le cui parole son queste. Abraam visse habitualmente nel celibato, come fece Giovanni attualmente, e’l martirio, che patì Pietro in atto, fu sentito da Giovanni in habito. Lo stato loro non fu eguale, ma dall’una, et dall’altra parte fu merito di castità, et di martirio. Il medesimo si puo dire nel proposito della mendicità: percioche, se bene i frati lasciassero di mendicare in atto, conservarebbeno tuttavia la mendicità in habito, ne sarebbe differente il merito della povertà. Et cio si deve intender secondo la limitatione del capit. 9. del presente libro. Pero s’hanno à far tre conclusioni.
La prima è, ch’è lecito à i frati predetti tener poderi, entrate, et possessioni per permission della legge commune.
La seconda, che posson tenerle per privilegio particolare.
La terza, che non è utile, ne conveniente, che le tengano per la qualità del loro stato essentiale.
La prima si prova facilmente, poi che non essendo lor vietato questo, ne dalla legge commune, ne dalla Regola, ne dalla professione, ne dalla prima institution dell’Ordine, ne dallo stato della mendicità; s’intende esser conceduto dalle leggi, il qual argomento si prova per il cap. Qui spirituale. 30. q. 4. et per il cap. Post cessionem. De probationibus. Ne contradice à questo il cap. Religionum. extra De Religiosis domibus. lib. 6. dove parlando de i Religiosi mendicanti, dice, ch’essi soglion viver cercando publicamente, d’una incerta mendicità, percioche quelle parole non fanno una legge, ma recitano un fatto, et son tolte dalla ragion civile nella legge unica. Cod. de mendicantibus validis, libro decimo, dove è reprobata la mendicità ne i gagliardi, ma in questo luoco non fanno legge, come ho detto, ma narrano un fatto, ne dice il cap. Religionum, che, deveno, ma che, sogliono, perche molte cose facciamo per consuetudine, che non siamo tenuti à far per obligo, et benche quelle parole, havessero virtù di legge, si doveriano applicar solamente à i Religiosi nominati in quel luoco, à i quali la Regola, et la professione prohibiscono le rendite, et le possessioni anco per sostentarsi convenientemente, il che non harebbe luoco ne frati di questa Religione, che non sentono così fatto impedimento, ne per la professione, ne per la Regola; (come ho mostrato;) et tanto più, che l’alienatione delle possessioni, et delle rendite acquistate è vietata strettissimamente, et sotto gravissime pene da gli satuti dell’Ordine nostro. Per il che la Decretale allegata, sarà considerata strettamente, non toccarà in modo alcuno al nostro Ordine, quanto al punto dell’incerta mendicità, ma si bene, quanto alla principal communione, di che essa tratta particolarmente, connumerandosi l’Ordine fra i mendicanti, come si dirà di sotto nel cap. seguente.
La seconda conclusione si prova per un Privilegio, conceduto già da Papa Alessandro Quarto alla Religione, per le cause, che si diranno. Percioche, quando fu fatta l’unione dell’Ordine, (di che parlammo di sopra nel cap. 14. del primo libro;) alcuni di quei frati, havendo una devota inclinatione alla povertà, et desiderando di restar privi d’ogni proprietà di possessioni terrene, secondo il volontario voto di povertà, c’havevano già conceputo, nell’animo, procurorono, et ottennero dalla Sedia Apostolica nel Pontificato del predetto Papa Alessandro un Privilegio intorno à cio con una espressa clausola; ch’i frati non fossero sforzati ad accettare, o tenere alcuna possessione; sopra la qual nacque discordia tra i frati di diversi Ordini, che dovevano unirsi insieme per commandamento della Sedia Apostolica, perche il Privilegio piaceva ad alcuni, ch’erano avezzi à viver solamente d’elemosine, et mendicar continuamente. Alcuni, che quantunque havessero terreni, et possessioni à bastanza, non lasciavano di mendicare, dicevano non esser compresi fra i mendicanti, et per consequenza, che’l precetto dell’unione non si stendeva à loro: Et altri, che tenevano alcune picciole possessioni, ne potevano viver senza l’elemosine, dicevano, c’havendo i lor monasterij lontani dalla frequenza, et abitation de i popoli, non sapevano, come poter sostentarsi d’elemosine senza l’aiuto delle proprie possessioni. Dalle quali controversie mosso il predetto Papa, et all’intercessione di Ricardo, Diacono Cardinal di sant’Angelo, et protettor dell’Ordine, volendo pacificare, et accordare i frati di tutte le Religioni, alle quali s’apparteneva la predetta unione, spedì una bolla di questo tenore.
ALESSANDRO VESCOVO, SERVO DE I SERVI
di Dio, manda salute, et Apostolica benedittione al Prior
Generale, et à tutti i Frati Eremiti dell’Ordine di
sant’Agostino, diletti figliuoli suoi.
Le cose che son commandate per auttorità nostra, et hanno il desiderato effetto deveno esser stabilite con la confermatione Apostolica, che possano conservarsi inviolate. Pertanto essendo voi congregati in Roma per celebrare il Capitolo Generale, et unirvi tutti sotto un’istessa osservanza, et forma di vivere, et scoprendovi una certa difficoltà fra alcuni intorno ad un’articolo d’un Privilegio concedutovi in altri tempi dalla Sedia Apostolica, etc. E più à basso. Perche essendo lontani alcuni conventi, et luochi vostri dalla frequnza, et habitation de i popoli sì, che non possan bastevolmente supplire alle continue necessità di quelli, che vivono, et habitano in essi, et vedendosi, che, se non havessero qualche rendita delle possessioni, et terreni loro, sentirebbono un grande, et intolerabil mancamento di tutte le cose temporali, per satisfar così à quelli, che desiderano di viver senza possesso alcuno di beni stabili, et son sovvenuti dalla pietosa provvision de i fedeli ne i lor bisogni, come à quelli, che vogliono ritenersi le possessioni terrene, etc. Et poco più di sotto. Et per non derogare, così à quelli, che si ritengono, et vogliono, come à quelli, che non vogliono poter da quì inanzi acquistar beni stabili; accioche dal tenor di quel primo Privilegio non nasca intorno à cio danno ad alcuno, o infamia nell’opere spirituali, o dubbio d’animo per l’avenire; accioche quelli, che vogliono le possessioni, possedano lecitamente quelle, c’hanno, et possano apertamente, et giustamente acquistar quelle, che non hanno; perche non siano sforzati à gir quà, et là vagando faticosamente con Marta, per sostentare il corpo, et provedersi delle cose necessarie, et accioche quelli, che vogliono perseverar nel voto di spontanea povertà, ne siano compiaciuti, come quelli, che non hanno niente, et possedono ogni cosa; Per tenor delle presenti habbiam giudicato doversi conceder piena licenza, et libera potestà, come nel vostro Capitolo Generale celebrato in Roma alle passate Calende di Maggio, è stato da voi unitamente definito, et prudentemente deliberato, essendo specialmente stata questa l’intentione, et volontà di tutti voi, quando vi fu conceduto il predetto Privilegio, ancor che in esso non se ne faccia mentione, etc. Et più oltra. A niun’huomo adunque, etc. Dato in Viterbo, il terz’anno del nostro Pontificato, etc. Et che questo Privilegio sia commune à tutti i luochi dell’Ordine, si vede da un’altro Privilegio del medesimo Papa Alessandro, che comincia. Oblata nobis, etc.
Cap. VIII.
Che non è cosa convenevole, ne utile all’Ordine de i frati Eremiti di sant’Agostino tenere in generale
poderi, et possessioni.
Ma perche; come dice l’Apostolo; Omnia mihi licent, sed non oima expediunt. cioè. Tutte le cose mi son lecite, ma non tutte mi giovano. La terza conclusione, che non sia utile, ne conveniente à i frati nostri tener poderi, et possessioni, si dechiara in questo modo. Essendo fondato il presente stato dell’Ordine sopra la predicatione, per la quale i frati furon chiamati alle città; (come habbiam detto nel cap.16. del primo libro;) deveno i predicatori esser liberi da ogni cura di cose temporali, et specialmente da quella, che si ricerca nel governo delle possessioni, et de i poderi, dicendo l’Apostolo nella prima à i Corintij, al settimo cap. Volo vos sine solicitudine esse. Non voglio, c’habbiate alcun pensiero, dove parla della cura famigliare, che tocca à quelli, c’hanno moglie, et tanto più, potendo viver giustamente alle spese de i fedeli per l’officio della predicatione, la quale in questo modo viene accompagnata dalla mendicità, come dice il cap. Apostolicis.16. q. 1. Pero la mendicità è communemente essentiale allo stato dell’Ordine, non meno che la predicatione, se non sempre in atto, almeno in habito, oltra ch’essendo connumerato quest’Ordine fra i mendicanti, et per legge, et per consuetudine, come si vede nel cap. Quorundam. extra, De electione. Et nel cap. Religionum. De religiosis domibus. lib. sexto; si deve giudicar, che questi frati, quant’al loro stato, non tengano, ne possano tener possessioni, ne poderi, come si giudica communemente de i Frati Predicatori, et de i Minori nella Chiesa di Dio, et specialmente, perche; (lasciando stare al presente i Minori;) son pareggiati, quanto allo stato di povertà nell’opinion del clero, et del volgo all’Ordine de i frati Predicatori, tenendo una medesima Regola, et un rito simile al loro. Per tanto, si come i Predicatori non tengono sì fatti beni; (ancor che, quanto alla Religione, et profession loro possan tenergli; come possiam noi ancora; anzi si son privati di questa potestà da se stessi con particolari Constitutioni, per conservar l’honestà, et purità dell’Ordine, et per fuggir l’inconvenienza, et lo scandalo, che saria potuto nascer nel popolo, et nel clero;) per la medesima ragione non si convien tenergli à i frati della nostra Religione. Et come sarebbe conveniente, che colui, che predica la povertà, fosse ricco? Molto si disdice predicar Christo povero col ventre pieno, et con le guancie rosse, come ben dice il cap. Ecclesiæ. 35. Distinct. Per le quali ragioni si conclude, che quantunque fosse lecito à i frati tener in qual si voglia modo le possessioni, e i poderi, non è pero utile, ne si conviene, che gli tengano. Il che si conferma più fortemente per quest’altra causa, che per antica consuetudine, et per deliberatione stabilita da i santi padri nostri, s’è venuto derivando un’ordine à noi frati di questa Religione, che non possiamo occuparsi intorno à sì fatte possessioni, pero il cap.44. delle nostre Constitutioni dice così. Non essendo conveniente, che quelli, che son venuti da gl’intrichi del mondo à servire à Dio, s’occupino contra l’osservanza della Religione in negotij, c’hanno felicemente rinontiati al secolo, quanto all’humana sollecitudine; per la presente Constitutione deliberiamo, et commandiamo, che s’osservi inviolabilmente, che non possa frate alcuno della Religion nostra posseder fuori del luoco, dove habitarà, o in nome suo, o d’altra persona, possessioni di sorte alcuna, ma che contento dell’elemosine, che gli saranno date da i fedeli, et separato dalle occupationi secolari, attenda continuamente con messe, orationi, prediche, et sacre lettioni à servire humilmente à Dio, che non s’honora, se non in pace. Ecco, come i santi Padri nostri determinorono, che non solamente non si convenga, ma che non sia lecito à i frati posseder beni stabili.
Et questa potrebbe esser la quarta conclusione, essendo confermata per la prohibition delle Constitutioni dell’Ordine. Fu fatto questo statuto dopo il predetto Privilegio di Papa Alessandro Quarto, et è stato confermato per una dechiaratione di papa Bonifacio ottavo nel Privilegio De mensura cannarum, che comincia. Ad consequendam gloriam cœlestis patriæ; dove egli dice così. Vogliamo, che quegl’Ordini s’intendano esser fondati in povertà, à i quali dalla Regola, et dalle proprie loro Constitutioni è prohibito tener possessioni fuori del circuito, et clausure de i monasterij, et officine loro. Si conosce adunque manifestamente, che se l’Ordine nostro vuole esser computato fra gl’Ordini mendicanti, et son dati in povertà, come è tenuto dalla Corte di Roma, et nell’opinion del volgo, non deve tener possessioni, se non per altro, almeno, perche così se gli conviene, ancor che non sia strettamente obligato à farlo per legge, al qual senso s’accommodano le parole del citato cap. Religionum, là, dove esso dice. A i quali suol dare il viver l’incerta medicità, et benche quella parola, suole, non voglia inferir necessità di legge, mostra nondimeno la convenienza del fatto, overo una certa ragionevole equità, essendo degna, giusta, et convenevol cosa, che quelli, che voglion godere i privilegij de i mendicanti ne i favori, et ne i commodi, sian lor conformi anco ne i pesi, et ne gl’incommodi. Et s’alcuno mi dimandasse. Che vale adunque il predetto Privilegio? Io gli risponderei, ch’esso, durando quella Constitutione, non puo fare effetto alcuno, quanto à cio, perche par, che l’Ordine, facendo la Constitutione predetta, habbia rinontiato il favor del Privilegio, et ha potuto farlo, essendo rimesso dal Papa nella disposition de i frati, o tener possessioni, o viver in nuda povertà: Per la qual cosa, havendo poi eletto tutto l’Ordine la povertà di commun consenso, et rinontiato alle possessioni con la predetta Constitutione, il Privilegio non puo esser d’alcun valore. E ben vero, c’havendo l’Ordine l’auttorità di rivocarla: (come ho detto nel cap.14. del libro precedente;) in quel caso il Privilegio starebbe nel suo vigore, se ben forse la revocatione sarebbe valida, quanto alle leggi humane solamente, ma non quanto alle divine, cioè, quanto alla Chiesa militante, ma non quanto à Dio. Prima, perche pare, che quel Privilegio fosse ottenuto quasi con violenza, o per la malitia, o per l’importunità, o per la discordia di quei frati, che forse non si sarian potuti condurre all’unione in altro modo; onde anco l’istesso Ordine, facendo un volontario decreto dopo le controversie contra il detto Privilegio, confesso tacitamente quella essere stata un’estorsione, benche’l Papa la chiami licenza, la qual tuttavia essendo procurata malamente, non merita nome di licenza, come ho detto nel secondo cap. del precedente libro: Et poi, perche volendo il Papa fondar l’Ordine à simiglianza de gl’altri mendicanti, haveva ordinato nel primo Privilegio, ch’i frati nostri fossero privi in perpetuo delle possessioni terrene, come si conviene al lor voto di spontanea povertà, per il che quantunque il secondo Privilegio, che sopravenne poi, dispensando gli liberasse dall’obligo del primo, (non essendo dispensare altro, che liberar dall’obligo, che si ha alla legge,) nondimeno, perche non è dispensa quella, ch’è fatta senza guisa, et ragionevol causa, ma come dice san Bernardo, è dissipatione, non giova quant’à Dio, secondo l’opinion de i Dottori, se ben vale, quanto alla Chiesa militante: come la dispensa conceduta senza causa leggitima dal Papa ad alcuno, che possa tener molti beneficij curati, difenderebbe colui da ogni molestia, che gli potesse esser data intorno à i beneficij, et frutti dispensati, et dall’infamia di furto, et di rapina, ch’egli potesse partire, pigliandosi quei frutti, ma non l’assicurarebbe dalla perdita dell’anima: Et come s’un’altro, non havendo, ne sperando haver figliuoli, donasse tutte le sue facoltà alla chiesa, ritenendosi solamente l’usufrutto, et poi havesse prole, il Vescovo non sarebbe obligato à restituirgli cosa alcuna per legge humana, ma sì ben per legge divina, come dice sant’Agostino nel Sermone, De communi vita clericorum, e’l cap. Quicunque vult.17. q. 4. Il medesimo si deve dir nel proposito nostro. Possono i frati nostri tener le possessioni, se vogliono, in virtù della licenza, et dispensa del Privilegio predetto, quant’al mondo, ma non quant’à Dio: Parlo di quei frati, che s’eran trovati inanzi à quel Privilegio, et obligati per voto à rinontiare i beni stabili, perche il primo Privilegio parlava di loro. L’istesso dico de i frati moderni, c’habitan nelle città grosse, et posson sostentarsi d’elemosine, perche non hanno giusta, ne ragionevol causa di farlo. Altramente direi di quelli, c’habitano ne i paesi de gl’Heretici, o ne i luochi lontani dalla frequenza delle genti, overo in piccioli castelletti, dove non posson provedere alle proprie necessità con le sole elemosine, poi che havendo giusta, et leggitima causa; toccata nel predetto privilegio, possono assicurarsene in conscienza sopra quella concessione, supposta pero la dispensa della sopradetta Constitutione dell’Ordine.
Ne questa distintione fra le membra; (per la qual diciamo, ch’alcuni luochi posson tener le possessioni, et alcuni non;) separa il corpo dell’Ordine dallo stato di povertà, secondo la determinatione di Papa Bonifacio Ottavo nel sopradetto Privilegio, dove dice così. Per la qual cosa, se ben si dice, ch’alcuni de i detti Ordini in alcuni lor conventi non tengono le possessioni, et si sa, ch’alcuni altri le tengono, vogliamo nondimeno, che sian computati fra gl’Ordini fondati in povertà. E questo basti, quan’à i poderi, et alle possessioni stabili.
cap. IX.
Se i Frati Eremiti di sant’Agostino possano tener le rendite, o i monasterij in commune,
o le persone in particolare.
Quanto alle rendite poi si deve discorrere altramente: Percioche, se ben considerato l’essential modo del viver de i frati, le ragioni allegate intorno alle possessioni, et à i poderi, doveriano haver luoco anco nelle rendite, nondimeno per accidente, et in alcuni casi par, ch’i frati potriano posseder delle rendite in commune, ancor c’habitassero nelle città grandi, non essendo queste così espressamente vietate nelle Constitutioni, come sono i beni stabili. E i casi potriano esser tali. Se una persona devota deputasse qualche entrata certa ad un’anniversario, ch’i frati havessero à far nella lor chiesa per l’anima sua, o de i suoi, et perche essi non potessero esser defraudati, gli mettesse nell’attuale, et leggitimo possesso di pigliarsi quell’entrata, o, s’un Principe, o Signore dedicasse alcune rendite ad un luoco dell’Ordine, perche vi si mantenesse perpetuamente uno studio generale, sì che quel convento potesse farlo senza sua gravezza, o s’altri per accrescere il culto divino dotasse un monasterio; (che non potesse mantener d’elemosine più che dodici frati;) di tante rendite, che bastassero à sostentarne altri sei. In questi, et simili casi par, ch’i frati possano giustamente, et con ragione pigliar delle rendite in commune, et haver attione di riscuoterle d’anno in anno, poi che questo non contraviene allo stato essentiale di povertà, et se quel monasterio potrebbe pigliar ogni giorno la vettovaglia, o l’elemosina per quelli sei frati, perche non potrà pigliarla per tutto l’anno in una volta sola? Ma se mi fosse detto, che si come il convento piglia la provisione per i sei frati, così potrebbe tener le rendite, che son necessarie à tutti gl’altri, et ch’in questo modo l’habito della mendicità si verrebbe annichilando, come quello, che mai non saria condotto all’atto, et per consequenza i frati sarian mendicanti, et terrebbono il titolo di povertà solamente in parole, et non in effetto; io, cedendo ad ogni miglior giudicio; risponderei, ch’essendo stabilito l’Ordine sopra la mendicità, secondo lo stato di questi tempi, et connumerato fra gl’Ordini mendicanti, come s’è mostrato di sopra, se si tenessero entrate bastanti per il vivere, et per tutte le necessità de i frati, si contrafarebbe allo stato della mendicità, perche l’abito suo si verebbe distruggendo; (come ben s’è detto nell’argomento contrario;) et lo stato, et titolo di povertà rimarrebbe senza effetto, (il che è contra l’intentione del maestro nostro sant’Agostino, il qual nel Sermone, De triplici genere monachorum, à gl’Eremiti, dice così. Sù adunque, fratelli, siate poveri, non solamente in parole, ma in effetti, et veramente, et considerate le parole di colui, che si fece prezzo nostro sù l’altar della Croce, quando disse: Beati i poveri di spirito: Dice i poveri di spirito, non quelli, che fingon d’esser poveri, come fanno gl’hipocriti, che predican la povertà à gl’altri, ne pero voglion sentir disagio alcuno;) ma tenendosi le picciole entrate, et particolarmente destinate à qualche uso determinato, come sarebbe in servitio della sacristia, della libraria, del vestiario, et di sì fatti luochi, non mi par, che si contrafaccia alla povertà dell’Ordine, pur ch’i frati siano essentialmente poveri, sì che siano sforzati à mendicare, et cercando publicamente vivano di quell’incerta mendicità, et questo dico in commune. Perche quanto al privato, non puo in modo alcuno, qual si voglia frate posseder rendite in suo nome particolare, se non vi concorron queste due circonstanze. La communione della cosa posseduta: et l’auttorità del superiore, secondo il precetto della Regola, che dice così. CONSEQUENS ergo est, ut cùm quis suis filijs, aut aliqua necessitudine ad se pertinentibus, in monasterio constitutis, aliquam contulerit vestem, sine quodlibet aliud, inter necessaria deputandum, non occultè accipiatur, sed sit in potestate Præpositi, ut in rem communem redactum, cui necesse fuerit, præbeatur. cioè. Seguita adunque, che s’alcun donasse anco à i proprij figliuoli, o à qual si sia altro suo parente, che stesse nel monasterio, qualche vestimento, o altra cosa, che si potesse computar fra le necessarie, essa non sia accettata occultamente, ma essendo già fatta commune; sia data à chi ne haverà bisogno ad arbitrio del Preposito. Per il che, s’alcuna persona dell’ordine acquistasse sotto qual si voglia titolo alcuna entrata, deve prima, secondo il tenor della Regola, ridurla in poter del commune, sì che sia appropriata al convento, et ch’in persona del Priore se ne facciano gl’instrumenti necessarij, et sia riscossa, et ricevuta per nome del convento, et all’hora poi sia in poter del Superiore applicarla al servitio di quel frate, il quale, se’l suo Prelato volesse dispensarla ad altri, o metterla in uso della communanza, deve disporsi, et prepararsi con l’animo à contentarsene volontieri. Si conviene pero alla discretione del buon Prelato dare à quel frate particolar satisfattione, et questo, quanto alla seconda circonstanza.
Per tanto procuri ogn’uno, c’haverà entrate, d’incorporarle al suo convento, più tosto che tenerle in persona propria, o sian donate da i padri, o dalle madri, o da i parenti, o da gl’amici, o siano acquistate per se, o per altra persona anco de i beni conceduti dall’Ordine, accioche poi ch’egli le haverà godute con licenza de i Superiori nel modo sopradetto, restino dopo la sua morte perpetuamente al suo monasterio: Et ne nasceranno tre buoni effetti.
Il primo è, che si provederà alle necessità di quel frate in vita sua, quanto quell’entrata potrà servir per uso suo.
Il secondo, ch’egli si liberarà dalla fatica di riscuoterla con violenza, come occorre molto spesso, ch’essendo pagate le rendite con difficoltà, bisogna procurarle con forza inanzi à i tribunali giuridici, il che si puo far meglio, con maggior efficacia, et più convenevolmente in nome del convento, che d’una persona particolare.
Il terzo, che restarà eterna memoria di lui dopo la morte. Era venuta in man d’un frate lettor della nostra Religione una notabil somma di denari, il qual volendo provedere à i suoi bisogni d’una parte d’essi, et acquistar con l’altra un perpetuo tesoro all’Ordine; con licenza del suo Provinciale, ne spese una gran somma in buoni libri, et gli cedette al convento per la donatione, che si chiama, inter vivos: Del restante compero con la medesima licenza alcune entrate in nome parimente del convento, consignando, et dando in poter suo liberamente, et senza conditione, ne patto alcuno l’instrumento, et l’altre scritture appartenenti à quel negotio. Pero il Provinciale per l’auttorità dell’officio suo, et col consenso del Priore, et de i frati di quel monasterio ordino, che’l Procurator del convento riscuotesse ogn’anno, et desse in man del detto Lettor quelle rendite in vita sua, accioche potesse valersene ne i suoi bisogni, et che dapoi la sua morte dovessero restar perpetuamente applicate in servitio della libraria di quel convento, per accrescerla di libri, et volse il detto Provinciale, che sopra questa deliberatione se ne spedissero lettere patenti, et stabilite col sigillo suo, et con quello del Priore, et del convento, si dessero al predetto Lettore.
Et perche mi par, ch’un modo sì fatto sia molto ragionevole, et conforme alla Regola di sant’Agostino, havendo veduto, che molti nel comprare, nel possedere, nel riscuotere, et nello spender l’entrate personali hanno errato, non senza pericolo dell’anime loro, non ho voluto lasciar di mettere in questo luoco la forma di questa ordinatione, la qual si deve fare in nome del Prior Generale, se ci sarà, et non ci essendo, in nome del Prior Provinciale in questo modo.
Noi tale, Prior Generale, o Provinciale della tal Provincia dell’Ordine de i Frati Eremiti di sant’Agostino, facciam sapere à tutti quelli, che vederanno, o udiranno la presente scrittura, c’havendo comprato Frate tale de i beni pervenuti in lui, o nell’Ordine per ragion d’hereditaria successione, o de i beni concedutigli dall’Ordine con licenza nostra per il tal convento le tali entrate, che si riscuoton nel tal luoco, da i tali, ogn’anno, a tal tempo; et havendo consignato, et dato tutti gl’instrumenti, contratti, et altre scritture fatte, et celebrate sopra le dette entrate nelle mani del Priore del predetto convento alla presenza nostra liberamente, et assolutamente, noi considerando al purità del zelo del detto frate, et la fedeltà, da lui confermata più volte verso la Religione, e’l convento predetto, così in questa, come in altre sue devote attioni, et attesa la necessità sua, per auttorità dell’officio nostro, et col consenso, et buona volontà del sopradetto Priore, et de i frati del nominato convento, habbiam deliberato così: Che i frutti delle dette entrate debbano servire in tutte le occasioni di necessità, et di commodità per la persona del predetto frate per tutto il tempo della vita sua, dandogli anco licenza per le presenti di poter maneggiarle, dovendo pero esse, o i frutti d’esse servir dopo la morte sua ogn’anno alla libraria in perpetuo, per accrescerla di libri, alla quale gli deputiamo per tenor delle presenti adesso, per all’hora, per l’auttorità, c’habbiamo sopra le dette rendite, interponendoci il decreto nostro, perche esse non siano alienate, ne impiegate in qual si voglia altro uso, et quelli, che contrafaranno, s’intendano esser subito incorsi nelle pene statuite nell’Additioni delle Constitutioni dell’Ordine contra gl’alienatori de i libri. Per la qual cosa habbiam voluto, per fermezza, et fede di questa nostra ordinatione, che le sia posto il sigillo pendente dell’officio nostro, et del Priore, et de i frati presenti del sopradetto convento. Furon fatte, et date le presenti l’anno del Signore, etc.
Si potranno anco deputare i frutti à qualch’altro uso, o della sacristia, o del sostentamento de i frati. Ma si deve avvertire, che se ben pare, che questo modo si possa tener senza carico di conscienza, et senza peccato di proprietà, non è pero utile à certi frati, et specialmente à giovani leggieri haver rendite particolari per molti disordini, che ne posson nascere. Percioche huomini simili, confidandosi nelle lor ricchezze, ne dubitando d’alcun bisogno, sogliono abondare in vanità, ne si curano di studiare, ne d’imparare, ne di predicare, non si degnano di mendicare, et pigramente s’adoperano per l’Ordine. Cercano le compagnie private, et le nocive conversationi, si danno all’otio, ne pensano ad altro, ch’alle commodità, et à satisfar à i proprij desiderij, non si curano d’obedire à i Superiori, non hanno rispetto à gli statuti dell’Ordine, attendono alle ribellioni, et alle discordie, spendono molte volte le sostanze malamente, s’inalzano sopra i poveri, sprezzano la vita commune, et voti di vero affetto di Religione, finalmente si perdono.
Io conosceva un frate, c’haveva alcune rendite in persona sua in vita, et essendo esortato molte volte da i maggiori à procurar d’incorporarle all’Ordine, trovando sempre qualche scusa, non si curo mai di mandarlo ad effetto, ma si diede talmente in preda à queste vanità, ch’alienate di nascosto l’entrate, come fece il figliuol prodigo, et dissipate scioccamente tutte le sue facoltà, et pazzamente, divenne il più povero, anzi il più infelice frate, che si trovasse al tempo suo, non men d’honor, che di robba. Et piaccia à Dio, ch’egli si salvi almeno il dì dell’universal Giudicio. Un simil esempio ho veduto in molt’altri, c’hanno tenuto si fatta vita.
Cap. X.
Di che qualità sia la povertà de i Frati Eremiti di sant’Agostino, secondo lo stato, in che si trovano
al presente nella Chiesa di Dio.
Habbiamo hora à considerar, qual sia la povertà de i Frati Eremiti di sant’Agostino, secondo lo stato, che’l loro Ordine tiene al presente nella Chiesa di Dio: Percioche essendo fondata la sua Regola sopra gl’Atti de gl’Apostoli; (come s’è detto più volte;) non è dubbio, che la povertà de i detti frati, quanto alla parte della Regola, è conforme alla vita instituita da gl’Apostoli, quand’habitavano in Gierusalem, prima che si separassero l’un dall’altro, et questo è il secondo modo d’osservar la vita commune, del qual s’è parlato nel secondo cap. di questo libro. Ma essendo poi stati depurati i frati dalla Sedia Apostolica à predicar la parola di Dio ad imitation de gl’Apostoli, et discepoli di Christo, s’accommodano, quanto à cio, al primo modo, nel qual Christo, et gl’Apostoli vivevano in commune dell’elemosine de i fedeli, et in questa maniera la povertà di quei frati abbraccia l’uno et l’altro de i doi modi predetti. Ne questo deve parer punto sconvenevole ad alcuno, perche anco i proprij Apostoli vivessero nell’uno, et nell’altro modo.
Nel primo, mentre vivessero in compagnia di Christo, et poi ch’egli fu asceso al Cielo, instituirono il secondo, quand’habitorono insieme in Gierusalem, et l’osservorono con gl’altri fedeli, del qual si dice al quarto cap. de gl’Atti. La moltitudine de i fedeli, haveva un cuor solo, etc. Ma poi che si sparsero per il mondo, ripigliorono il primo per commandamento, o più tosto, come vuol sant’Agostino, con permission di Christo, il qual disse loro. Euntes prædicate, quia appropinquavit Regnum Cœlorum: Nolite possidere aurum, neque argentum, neque pecuniam in zonis vestris, non peram in via, neque duas tunicas, neque calciamenta, neque virgam, dignus est enim operarius mercede sua. cioè. Andate predicando, che s’è avvicinato il Regno de i Cieli: Non vi curate di posseder, oro, ne argento, ne denari nelle cinte vostre, ne bisacca per la strada, ne due vesti, ne scarpe, ne bastone, perche l’operario è degno della sua mercede. Et da quel tempo inanzi; (come dice sant’Agostino nel libro, De opere monachorum;) anco gl’istessi Apostoli erano seguitati da alcune donne fedeli, et devote, che gli soccorrevano delle proprie sostanze, talmente che non havevano bisogno di cosa alcuna necessaria alla vita, il che dimostra san Paolo essere stato lecito à se, come à gl’altri Apostoli, là dove, parlando di se, et di Barnaba, dice. Nunquid non habemus potestatem mulierem sororem circunducendi, sicut et cæteri Apostoli, et fratres Domini, et Cephas? cioè. Non habbiam forse libertà noi ancora di menar intorno con noi qualche nostra sorella, come fanno gl’altri Apostoli, e i fratelli del Signore, et Cefas? Dove soggiunge sant’Agostino. Là onde, s’alcun pensasse, che gl’Apostoli non habbian potuto menar seco, dove andavano predicando, alcune donne di santa vita, perche havessero ad aiutargli delle proprie sostanze nelle loro necessità, oda l’Evangelio, et veda, che questo era fatto con l’esempio dell’istesso Christo, il quale havendo compassione à i più debili secondo il costume della sua misericordia, se ben poteva esser servito da gl’Angeli, nondimeno teneva la borsa da riporre i denari, ch’eran portati da i buoni fedeli per i bisogni del vivere, raccommandandola à Giuda, et voleva, che le donne lo seguitassero per preparargli, et servirlo delle cose necessarie, et mostrando, ch’i popoli di Dio, come i Provinciali, deveno provedere à i predicatori, et ministri di Dio, come à i soldati suoi. Pero dice la Glosa sopra quelle parole di san Luca, al cap. ottavo; dove egli parla di molte donne, che seguitavano Christo, et lo sovvenivano delle loro facoltà; ch’era antico costume fra i Giudei, che le donne pascessero, et vestissero i Dottori con le lor sostanze, ne cio era imputato à mancamento alcuno: Ma perche questo poteva generar qualche scandalo fra i Gentili, san Paolo se ne astenne.
Il medesimo fanno i frati di quest’Ordine, vivendo di quello, che portano essi, o che vien portato da altri, venga da qual luoco si voglia, pur che sia lecito, o di quello, che si porta, quando s’entra nel monasterio, come facevano i fedeli al tempo de gl’Apostoli, o di quello, che le buone persone danno per propria devotione, offerendo all’altare, o donando in altro modo per amor di Dio, come facevano quelle sante donne, che servivano à Christo, et à gl’Apostoli, o di quello, ch’i frati acquistano lavorando, o trovano mendicando; Et di così fatti proventi; che si chiamano generalmente elemosine; è cosa manifesta, ch’i frati vivono, secondo il lor moderno stato nel modo predetto, se ben non hanno le sante donne, che vadano seco, come havevan gl’Apostoli: Ne sarebbe espediente, ch’andassero, così per la malitia di questi tempi; ne i quali si darebbe sospetto alle cattive persone; come per dubbio dell’humana fragilità, percioche i santi Apostoli, essendo perfettissimi per vera santità, et molto chiari per esempij di buona vita, et per dottrina, toglievano ogni sospetto, et superavano ogni inclination di concupiscenza carnale, et quelle donne non erano giovanette lascive, ma honestissime, et devotissime matrone, come era Maria Maddalena, Marta, Giovanna moglie di Cusa, procurator d’Herode, et Susanna, che seguitavano il Salvatore, come dice san Luca nell’allegato cap. ottavo: et parimente tutte l’altre, ch’andavan con loro, eran donne di santissima vita. Ma io diro quì quello, che dice sant’Agostino nel Sermone, De communi vita clericorum: cioè, che quelli, che vorrebbon licenza di far male, cercano in favor loro gl’esempij di quelli, che vivon male. Ma dirà forse un frate. Io sono imitator de gl’Apostoli, et voglio menar seco qualche donna, come essi facevano. Tu frate, che dici questo, mostra d’imitar veramente gl’Apostoli nella vita, nella dottrina, et ne i miracoli, et all’hora potrai haver licenza di condur teco le donne simili à quelle, che servivano à gl’Apostoli. Pero essendo tu lontano dalla lor santità, considera, che dei anco allontanarti dal confortio delle donne per tuo beneficio, come hai inteso di sopra nel cap.30. del libro precedente, alla seconda cautela. Non è pero il ministerio delle dette donne del tutto fuor d’uso co i frati in qualche Provincia, perche alcune honeste donne, et talvolta alcuni huomini, sogliono per devotione andare intorno con loro per le ville, et castella, quand’essi vanno cercando l’elemosine. In alcuni altri luochi altre matrone di buona vita fanno l’officio di santa Marta ne gl’alberghi de i frati, pero sono anco chiamate volgarmente, Marte, essendo diligenti ne i frequenti servitij, che bisognano à i frati, molte delle quali ho conosciut’io tanto caste, et tanto obedienti à i precetti di Dio, che si puo dir, che l’Ordine nostro habbia ricevuto dall’opere loro non picciolo honore, et buon’esempio.
Cap. XI.
Che si deve lasciare ogni cosa, quando s’entra nella Religione.
Tenendo adunque il nostro Ordine à simiglianza di quello de gl’Apostoli l’uno, et l’altro modo di povertà, così l’Evangelica, come Apostolica, deve ogni frate, quando entra nella Religione, abbracciar la povertà Evangelica, et abandonar tutto quello, che possiede, come fecero gl’Apostoli, dicendo il padre nostro sant’Agostino nel decreto dell’osservanza regolare. Si quis venire desiderat ad congregationem fratrum, non ignoret Evangelij dictum, quod dixit. Vendat omnia sua, et eroget egenis, et pauperibus. Et iterum. Abneget semetipsum, tollat crucem suam, et sequatur me. cioè. Se qualcheduno desidera d’entrar nella congregation de i frati, sappia quello, ch’insegna l’Evangelio, quando dice. Venda, et dispensi tutto il suo à i bisognosi, et à i poveri. Et altrove. Rinontij se medesimo, pigli la sua croce, et mi seguiti. Di che parlaremo di sotto nel cap.5. del libro seguente. Per tanto deve ogni frate rinontiar le sue sostanze, di maniera che possa esser degnamente connumerato fra quelli, in persona de i quali dice. Ecce nos reliquimus omnia, et secuti sumus te. cioè. Ecco, che noi habbiamo abandonato ogni cosa, et habbiam seguitato te. Come dissi di sopra nel capitolo terzo del presente libro, et dica con san Gieronimo. Nudo seguitaro la nuda croce. Si legge nelle Vite de i Padri, ch’un padre, essendo dimandato da un monaco, come havesse à fare, per salvar l’anima; spogliandosi i vestimenti, et cingendosi i lombi, et spandendo le mani, disse. Il monaco deve esser nudo, come sono io hora, d’ogni materia secolare, et crocifigersi, per superar le tentationi, et battaglie mondane. Si legge nel medesimo libro, ch’essendosi provato un giovane secolare di lasciare il mondo molte volte, ne era stato sempre sviato da i pensieri, che l’aviluppavano in diversi negotij, essendo ricco. Finalmente partendosi un giorno à questo medesimo effetto i demonij circondandolo, gli sollevorono molta polvere inanzi, ma egli spogliatosi, getto via i panni, et corse al monasterio, il che Iddio rivelo ad un padre, et gli disse, che si levasse, et raccogliesse in suo campione, per il che egli rizzatosi, gl’ando incontra, et poi che lo vide nudo, et seppe la causa, resto molto meravigliato, et gli diede l’habito monastico. Et da indi inanzi, quand’era dimandato delle conditioni della vita monastica, et particolarmente del modo di rinontiare il mondo, soleva risponder così. Quanto à così fatta rinontiatione, dimandatene à questo monaco, perch’io non sono ancor giunto à tanta perfettione. Deve adunque ogni frate, quando vuole entrar nella Religione, essere spogliato, et nudo nell’affetto interiore, benche, quanto all’habito esterior non sia necessario, ne conveniente spogliarsi.
Habbiamo à questo proposito un’esempio del beato Nicola da Tolentino, il quale essendo destinato canonico d’una nobil chiesa, et desiderando ardentemente di lasciare il mondo, comincio à pensar fra se, come potesse vivere, per diventar perfetto servo di Dio: Et mentre stava in questo pensiero, sentì, ch’un frate dell’Ordine de gl’Eremiti di sant’Agostino; ch’era accettissimo al popolo per la vita, et la dottrina sua; predicando diceva queste parole. Nolite diligere mundum, neque ea, quæ in mundo sunt, quia mundus transit, et omnis concupiscentia eius. cioè. Non vogliate amare il mondo, ne le cose, che son nel mondo, perche’l mondo, et tutti i suoi desiderij hanno fine. Le quali penetrorono così vivamente nella mente del giovane, ch’egli subito finita la predica, ando à pregar quel frate, che lo ricevesse nella Religione, perche voleva lasciare in ogni modo il mondo. Ma il frate, per fuggire i disordini, prima che lo compiacesse, volse intender la volontà del padre, et della madre, i quali inteso il desiderio del figliuolo tutti allegri resero gratie à Dio, che si fosse degnato d’effettuare in lui quello, c’haveva promesso inanzi alla sua concettione, così per bocca dell’Angelo, come di san Nicola di Bari, cioè che’l bambino, che doveva nascer di loro, haveva à tener vita religiosa, et santa. Fu adunque accettato il giovane nell’Ordine, et finito il tempo della probatione, fece solennemente professione: Et così desiderando di tener vita Apostolica, lascio il canonicato nel primo suo ingresso, et tutti i beni terreni, et le reti de i desiderij mondani, et nudo, et povero si misere à cercar Christo povero, et crocifisso.
Altrotanto si puo dir del beato Agostino da Terano, il quale essendo professor di leggi civili, et canoniche, et molto ricco, et honorato per la potenza, c’haveva nella Corte del Rè Manfredo, et trovandosi gravemente infermo in Sicilia, dove era fuggito, per salvarsi dopo la rotta data dal Rè Carlo al suo Signore, fece voto à Dio, liberandosi da quell’infermità, di farsi religioso: Per il che essendosi risanato, et risoluto d’entrar nella Religione de i Frati Predicatori, gli mando à chiamar per doi suoi famigliari, i quali trovando nel camino doi frati Eremiti di sant’Agostino, gli condussero al suo padrone, che gl’aspettava in casa, ma benche esso facesse lor cortese accoglienza, pero gli licentio senza scoprire il suo pensiero. Adiratosi poi con quei servitori, perche non gl’havevan condotto i Frati Predicatori, gli rimando un’altra fiata per essi, informandogli minutamente dell’habito, et del nome, li quali incontrando doi altri de i medesimi frati Eremiti, glieli condussero un’altra volta; et egli pur licentiatigli, come i primi, invio con maggior colera i medesimi servitori la terza volta al monasterio de i Predicatori, li quali messisi in camino, non conoscendo il luoco, ne i frati, andorono drittamente con la scorta dell’Angelo al monasterio de gl’istessi Eremiti, et levato il Priore, et un’altro frate, gli menorono à casa. Vedendo questo il sant’huomo, conobbe, ch’era chiamato per divina dispositione à quell’Ordine, et considerando la bontà di Dio, provava in se medesimo il voler divino, pero scoperto loro l’animo suo, rinontio affatto il mondo, et le sue pompe, et si cangio tutto in un’altr’huomo, et pigliato l’habito della sacra Religione de i Frati Eremiti di sant’Agostino, abandono ogni cosa per amor di Christo, ne altro si ritenne, ch’alcune poche, et semplici vesti per uso suo, lasciando liberamente, che l’altre cose si dispensassero à i poveri, et à i frati per sovvenimento loro. Anzi essendo stato penitentiero in Roma ne i tempi di Papa Giovanni XXII. tanti anni; c’harebbe potuto ragunar molti denari, come facevano gl’altri Penitentieri; non volse mai farlo, se non quando ne haveva bisogno per vivere, et per vestirsi, di maniera che giunto al fin della vita non haveva cosa alcuna, come il padre suo sant’Agostino; (il cui nome, habito, et professione haveva portato così devotamente;) poi che essendo poverissimo in vita, et in morte, non fece testamento per non havere il povero di Christo, che lasciare.
Un’altro esempio mi sovviene d’un’altro nostro frate giovane, et molto nobile di sangue, essendo disceso da alcuni Conti del Regno d’Inghilterra, ma più nobile per la virtù dell’animo. Costui lasciate le pompe del mondo, entro per divina inspiratione nell’Ordine de i Frati Eremiti di sant’Agostino. Di che sentendo gran dispiacer gl’amici suoi, quant’al mondo, ma inimici quant’à Dio, si sforzavano di rimenarlo al secolo, promettendogli grandi honori, et ricchezze, et potenza nel Regno, ma egli, ch’era già fermo nell’amor di Dio, sprezzando ogni cosa, stette in quella dispositione con molta costanza per tutto l’anno della probatione. Venendo poi il tempo della professione, cercorono i medesimi suoi amici con maggiore instanza, che prima di levarlo di quel proposito, hora con parole piacevoli, et hor con minaccie, et spaventi, perche il Rè haveva commesso, che non gli si facesse violenza, ma fosse lasciato risolver liberamente à suo piacere. Non bastorono le lusinghe per ingannar quel soldato di Christo, non le minacce per spaventarlo. Finalmente crescendo la molestia, et volendo egli liberarsene, disse che ci voleva pensare, et poi far quello, che Dio l’havesse inspirato. Stavano i ministri del Diavolo tutti allegri, sperando che’l giovane dovesse mutarsi di proposito. In tanto deputato il giorno, et l’hora della professione, concorsero molto Baroni, et nobili del Regno, et portorono una gran quantità di ricchi vestimenti per lui. Erano i parenti, et gl’amici suoi mondani da una parte, et dall’altra il Priore, e i frati. I vestimenti secolari erano parimente da un canto, et l’habito dell’Ordine in terra dall’altro. Nel mezo era il campion di Christo, c’haveva à combatter col Diavolo, et con le sue pompe. Proponendogli poi il Priore, come s’usa in simili occasioni, che gli bisognava fare una delle due elettioni, o tornar al secolo, et pigliar quelle belle, et pretiose vesti, o star nell’Ordine, et vestirsi per l’amor di Dio di quell’habito vile; il giovane sprezzati i parenti, et gl’amici mondani, et la pompa de i lor vestimenti, corse subito, et allegramente verso la cappa, et abbracciandola strettamente, s’inginocchio inanzi al Priore, et dimando, che la profession sua fosse accettata. O quanto piansero molti. Piangevano i frati d’amore, rallegrandosi della salute del giovane, et del così bell’esempio, che gl’haveva dato in quell’attione. Piangevano gl’amici secolari di dolore. Alcuni altri piangevano d’una certa pietosa tenerezza, et devotione, vedendo un giovane così nobile andar con tant’ardore, et con tanta allegrezza à servire à Christo. Gl’amici finalmente, poi che videro, che non c’era altro rimedio, inteneriti lo raccommandorono al Priore, et à i frati. E’l giovane; si come nel novitiato haveva dato principio ad una vita molto devota; così dopo la professione si sforzo sempre di perseverar di bene in meglio, et in vita, et in morte fece molti miracoli.
Cap.XII.
Dell’osservanza della vera, et santa povertà, et de i frutti della mendicità.
Ma perche poco importa, ch’altri si spogli de i beni temporali, quando entra nella Religione, se non si conserva anco in povertà nel progresso di tutta la vita sua; è necessario, che si come il frate ha lasciato ogni cosa secondo la Regola Evangelica, così si sforzi di vivere in povertà secondo la Regola Apostolica, sopra la quale è fondata quella di sant’Agostino, come ho detto tante volte di sopra. Così fecero gl’Apostoli, de i quali leggiamo, che lasciata ogni cosa volontariamente, servirono à Dio, mentre vissero patendo fame, sete, freddo, nudità, et altri disagi. Ma si deve avvertire, che questi, ch’abbracciano questa sì fatta povertà di Religione, son di quattro sorti. Alcuni sono, che mai non giungono alla vera povertà, ne quando entrano nella Religione, ne in tutto il tempo della vita loro, et questi son pessimi. Altri sono, che fanno buon principio nell’ingresso, ma poi mancano nel progresso, et questi son cattivi, et molte volte peggiori de i primi. Alcuni altri mancano nel principio dell’ingresso, et riescon perfetti nel progresso, et questi alcuna fiata diventan molto buoni. Et alcuni sono, che fanno buon principio nell’ingresso, et molto migliori riescono nel progresso, et questi fanno ottima conclusione, et sono perfettissimi.
Della prima sorte son quelli, ch’entrano nella Religione con finta intentione, o che sono sforzati da altri, o spinti da povertà, et quelli, che non abbracciano volontariamente la povertà, perche se potessero, vorrebbono esser più tosto ricchi al secolo, et perseverano in questo proposito, mentre vivono, ne questi si posson chiamar poveri di spirito, contra i quali sant’Agostino nel Sermone, De triplici genere monachorum, dice così. Beati sono i poveri di spirito; (dice il Salvatore;) non quelli, che sopportano l’asprezza della vita per forza d’una gran necessità, perche questi mormorano, toglion la fama, et portano invidia à quelli, c’hanno qualche cosa, rapiscono, et rubano, se non con l’opere, almen con la volontà. Pero non son chiamati beati dal Salvatore, perche non son poveri, ma infelici. Beati adunque i poveri di spirito, ma non quelli, che fingon d’esser poveri. Questo fanno gl’hipocriti, li quali predicano di fuori la povertà à gl’altri, ma non vogliono patir disagio alcuno. Et perche questi essendo al secolo, eran tanto poveri, che non potevano provedere alle proprie necessità, si tengon felici solamente per haver trovato il modo di vivere, et di vestirsi, che non havevano potuto havere al secolo. Di quà nasce quel detestabil disordine tanto biasimato da sant’Agostino nella Regola, che i poveri diventano delicati nel monasterio, dove i ricchi s’avezzano alla fatica. In questo numero si pongono Anania, et Saffira, de i quali parlaremo più oltra nel cap.14. et Giuliano Apostata, che si fece monaco con animo finto, et perverso, et sotto l’habito monastico aspiro secretamente all’Imperio, et havutolo sprezzo la fede di Christo, e’l monacato.
Della seconda sorte di poveri son quelli, ch’entrano nella Religione con un buono, et santo proposito, ma mancando nel progresso fanno al fine cattiva conclusione, et di questi si dice in proverbio. I giovani si fann’Angeli, e i vecchi diventan demonij. Questi molte volte son peggiori de i primi, come dice sant’Agostino; (et è registrato alla 47. Distinctione; cap. Quantumlibet.) con queste parole. Io confesso liberamente sopra l’anima mia alla carità vostra inanzi al Signor Dio nostro, che m’è testimonio, che poi ch’io cominciai à servirlo, si come difficilmente ho trovato humini migliori di quelli, c’hanno fatto profitto ne i monasterij così non ho provato i peggiori di quelli, c’hanno mancato ne i mosterij. Di questi fu Giuda, del quale il medesimo padre nel Sermone. De perseverantia, parla così. Cominciate, fratelli, et perseverate ricordandovi quando ben perdesse Giuda, il qual non potrei mai dirvi con quanto fervor cominciasse à far bene, ma come perseverasse, lo sapete voi. Et soggiunge. Ecco, che Salamone cadde per inconstanza, et così fece Saul, et molt’altri, perche molti hanno fatto buon principio, ma il numero dei perseveranti è picciolo. Queste, et molt’altre cose dice quel santo Dottore in questa materia nel luogo allegato. Quanto poi à i moderni, ne haveremo gl’esempij di sotto nel cap. 15.
Della terza sorte di poveri son quelli, che cominciano con una corrotta intentione, et con una sforzata volontà, ma poi drizzata l’intentione, et mutata la volontà, operando lodevolmente, et concludon bene.
Un’esempio ne habbiamo in san Paolo primo Eremita, che fuggì all’Eremo per necessità, volendo salvar la vita, et dapoi mutata la necessità in volontà, fu il primo fondator della vita Anacoretica.
Un’altro esempio moderno mi sovviene, che mi fu raccontato già da un santo padre, ne i tempi del qual avenne quello, ch’io ti diro. Doi buoni compagni vagabondi erano stati molto tempo per il mondo, dandosi piacere, et facendo l’arte de gl’histrioni, ma un d’essi pentitosi s’apparto di nascosto dall’altro, et si ritiro in un certo luoco rinchiuso, ch’era in una selva, dove fece penitenza alquanti anni, servendo à Dio molto devotamente. Il compagno intanto, non ne sapendo nuova, tutto pieno di meraviglia l’andava cercando con diligenza per tutti quei contorni, tanto ch’essendogli detto, ch’in una selva era un’huomo sconosciuto, che stava serrato in una spelonca; comincio à pensare, che colui potesse esser il suo compagno. Per tanto messosi in camino, v’ando prestamente, et trovatolo ne sentì molto piacere, et comincio ad invitarlo con lusinghe ad uscir di là, et tornare alla compagnia di prima, dicendo, che’l mondo era molto più bello, et dilettevole, che mai fosse stato, et ricordandogli molt’altri piaceri. Quell’altro, ch’era già fondato nel timor di Dio, non ci volse acconsentire in modo alcuno, ma pensando, come poter liberarsi da quella molestia, et ingannar l’arte con l’arte, o fosse con l’industria della professione antica, o per volontà di Dio, disse à colui, che non cessava di stimolarlo ad uscire; se tu potessi levar quel sasso, dall’entrata di questa spelonca, et trarmi di quà, me ne verrei teco. Era chiusa la spelonca da ogni parte, ne vi si poteva entrar, ne uscire, fuor che per un forame di sopra, che si copriva con una gran pietra. Colui adunque, credendo d’haver già ricuperato il caro compagno, tutto contento salì subito alla bocca, et levatane la pietra, l’aiuto ad uscir, come puote. Caminando poi tutti doi per il bosco disse colui, ch’era stato serrato, all’altro. Mi sono scordato la borsa con alcuni denari nella cella, vuoi che torniamo à pigliarla? Voglio, rispose l’altro, che la pigliamo in ogni modo. Et così tornorono indietro, et come furono alla spelonca, disse colui, che v’era stato dentro. Io mi sento tanto fiacco per la lunga dimora, c’ho fatta quì, che non posso montar là sù, pero montavi di gratia tu, et entra dentro, che trovarai i denari al capo d’un letticciuolo, che v’è. Il compagno adunque entro nella grotta, et l’altro seguitandolo, rivolse incontinente la pietra sopra la bocca, et poi che ve l’hebbe chiuso dentro, calando alla finestra, disse. Compagno mio caro io spero nella misericordia divina d’haver purgato à bastanza i miei peccati, pero sta tu ancora altrotanto tempo quì, et procura da Dio il perdon de i tuoi, havendo pur troppo servito al diavolo. Quell’altro, pensando, ch’egli scherzasse seco, lo pregava, che lo lasciasse uscire, ma costui, fermando sempre più il serraglio della spelonca, l’esortava ad haver patienza, perche non era per uscirne altramente, et ogni giorno lo confortava con parole sante, et lo serviva con ogni diligenza, se ben colui nel principio l’udiva con molta impatienza, et sdegno. Tuttavia pregando il compagno per lui, et facendogli continue ammonitioni con parole salutifere, et con esempij de i santi Padri, venne à poco, à poco à dar luoco alle persuasioni, et esortationi sue, et finalmente con l’aiuto della gratia divina, cangio la necessità in volontà, così l’uno, et l’altro, perseverando in questo santo proposito, finiron felicemente la vita.
Della quarta sorte di poveri son quelli, ch’abbracciano la santa povertà della Religione semplicemente, et solamente per amor di Dio, et in essa divengono ogni dì più perfetti. Et in questo modo combattendo valorosamente contra tutti gl’insulti delle tentationi, perseverano constantemente sino al fine. Questi son gl’ottimi poveri, che meritano la corona della vera, et santa povertà. Di questi parla sant’Agostino nell’allegato Sermone, De perseverantia, dicendo à i suoi frati dell’Eremo in questo modo. Non puo esser coronato, fratelli miei, se non chi combatte leggitimamente, come dice l’Apostolo, ne combatte leggitimamente, se non chi sostenta la battaglia nel campo insino al fine, et pero merita la corona. Per il che non è gran bene dar principio ad un’opera buona, ma condurla al fine è cosa perfetta: Perche molti cominciano le grandi imprese, ma nella strada mancano. Molti vanno al deserto, ma pochi arrivano alla terra di promissione. Non vincresca, fratelli, di cominciar le cose grandi, ne vogliate pentirvi di perseverar nelle cominciate, sapendo, che la perseveranza da forma al merito, colorisce il proposito del bene, remunera colui, che corre, incorona il combattente, scorge altrui al palio, et conduce ogn’uno in porto. Di questa gloriosa specie di poveri furono i santi Apostoli, et quegl’eletti monaci, et Religiosi, che abandonate tutte le proprie sostanze, nudi seguitorono Christo nudo. Fra questi fu il beato Nicola da Tolentino, il qual visse nell’Ordine in grande, et volontaria povertà. Haveva egli un suo fratello cugino, ch’essendo Prior d’un ricco monasterio appresso alla città di Fermo, et vedendolo molto povero, mal vestito, et pieno d’ogni necessità, ne sentiva molto dispiacere, onde havendone compassione, gli diceva tal volta, perche vivete voi in tanta povertà, et in una così gran miseria? La condition del vostro Ordine è molto austera, ne voi potrete satisfare à gl’aspri suoi commandamenti. Pero provedete alla vostra gioventù, et venite à goder meco l’abondanza di questo monasterio, che io sforzato dalla nostra parentela, non posso vedervi più in questo stato. Ma l’huomo di Dio, conoscendo, che quella era una saetta di tentatione, che veniva da persuasion diabolica, si mise devotamente in oratione nella chiesa di quel monasterio, onde il celeste agricola, che non vuole, che quelli, c’hanno messo la mano all’aratro, guardino indietro; mentre egli con le ginocchia in terra, et con le mani al Cielo, diceva: Indrizza Signore il mio camino inanzi à te; gli porse prestamente lo scudo salutifero della buona volontà contra le saette della tentatione, perche subito, et in un medesimo tempo gli si presentorono avanti nella chiesa, c’ho detto, dov’egli stava orando, venti giovani in vesti bianche, et con faccie risplendenti, et gridorono tutti insieme. In Tolentino: In Tolentino: In Tolentino sarà il tuo fine. Fermati nella vocatione, nella qual sei chiamato, perche in essa ti salvarai. Il sant’huomo inteso questo, vedendo, che quelle non eran parole d’huomini, ma d’Angeli, (come egli medesimo rivelo molto tempo dapoi secretamente ad alcuni,) predisse, che doveva morire in quel luoco. Essendo adunque annesso lo stato della mendicità alla vera, et santa povertà essentialmente, sopra la quale è fondato l’Ordine de i Frati Eremiti di sant’Agostino; (come s’è mostrato di sopra;) non deveno i frati; (siano di che stato si vogliano nell’Ordine;) vergognarsi di mendicare, ne di pigliar l’elemosina, non meritando vituperio per questo officio, ma sommo honore, et lode di perfettione spirituale, et riportandone tre beneficij spirituali.
Il primo dei quali è, che mendicando si conformano à Christo, et à gl’Apostoli, che vissero d’elemosine, come ho detto.
Il secondo, che con questo mezo s’estirpa da i cuori la radice della superbia, come afferma il cap. Si quis. de Pœnitentia, Distinctione 2. dove dice, che le infermità humane si deveno curare co i rimedij contrarij, come la superbia con l’esercitio dell’humiltà, per la quale, l’huomo si sottomette à i suoi inferiori, dimandando loro le cose utili, et temporali, c’ha già sprezzato.
Il terzo, perche in questo moltiplica il merito, che se l’Angelo del Signore numera i passi di ciascuna buona persona, che per amor di Dio s’affatichi nel viaggio; (come habbiam predetto nel cap. 24. del libro precedente verso il fine;) quanto più numerarà i passi del buon frate, che per amor di Dio, et per obedire al suo Prelato, fa un’opera di misericordia, cercando in questa, et in quella parte l’elemosina per il commune? Et chi non sa, che gl’Angeli santi numerano, et presentano inanzi all’altissimo Dio il travaglio del camino, il sudor, che si sente per la fatica, et al vergogna, che porta seco la mendicità, accioche ogn’uno sia remunerato, come si sarà affaticato? In questo proposito si trova un’esempio del beato Arsenio, il quale essendo Conte Palatino, et molto stimato nel palazzo di Teodosio Imperatore, lasciate tutte le sostanze sue, passo all’Eremo, et essendo sforzato dalla necessità à chieder l’elemosina, ne rese molte gratie à Dio. Sant’Alessio parimente, essendo nobile, et ricco, lasciata la sposa, et tutte le commodità mondane per amor di Christo, abandono il secolo, et soleva rallegrarsi, et ringratiar Dio, c’havesse meritato d’haver l’elemosina da i suoi servitori. Il medesimo si puo dir del predetto beato Nicola da Tolentino, il qual non gustava cibo alcuno, ch’egli, o gl’altri frati non havessero mendicato per amor di Dio. Ho conosciuto alcune persone secolari, et ricche, che per devotione mendicavano il pane, che mangiavano, se ben lo facevano occultamente, et poi davano delle loro facoltà à i poveri più di diece volte tanto. Conobbi anco un valente lettor dell’Ordine nostro, che quando non era occupato, pregava il frate, che cercava l’elemosina, ch’ogni volta, ch’andava accattando il pan per la città, lo pigliasse per compagno, et lo fece molte volte. Nella quale attione egli dava un’esempio di grand’humiltà, come quello, che sapeva il frutto dell’elemosina consistere più nel riceverla, che nel darla. Alle predette tre utilità, che sentono i frati dell’attual mendicità; si puo aggiunger la quarta, ch’è questa, che’l prossimo viene invitato à fare un’opera di pietà, et in questo modo il frate partecipa del merito di colui, che fa l’elemosina, havendolo invitato, et persuaso à farla con la sua dimanda. Ne pensi il frate, che va mendicando, di ricever totalmente la robba d’altri, quando piglia l’elemosina, essendo in un certo modo sua, se non per rigor di legge, almeno per debito di carità, o di naturale equità, come si vede per quattro ragioni.
La prima è, ch’i frati predicano per auttorità della Chiesa, et de i Prelati, et pero posson dire à quelli, à i quali predicano, quello, che dice l’Apostolo nella prima Epistola à i Corintij, al cap. 9. Si nos vobis spiritualia seminavimas, magnum est, si nos carnalia vestra metamus? cioè. Se noi habbiamo sparsi per voi i semi spirituali, sarà gran cosa, se ne mieteremo noi i vostri frutti carnali? Et percio s’esortano i fedeli à pagar questo lor debito cortesemente, et con humiltà, quando son ricercati d’alcuna elemosina, et quando essi non provedano à bastanza alle necessità de i frati, i Prelati ordinarij, de i quali essi son cooperatori in quest’opera, per debito di giustitia sono obligati à farlo. Et se san Paolo non procuro questo debito d’elemosina, come gl’altri Apostoli, fece un’opera di singolar sopraerogatione. La seconda ragione è, ch’i frati son ministri dell’altare. La terza, ch’attendono assiduamente allo studio della scrittura Sacra. La quarta, c’hanno lasciato tutte le lor sostanze per amor di Christo in soccorso de i poveri; di che s’è ragionato nel cap. 25. del precedente libro.
Cap. XIII.
Se sia lecito ai Frati dell’Ordine Eremitano di sant’Agostino tener cosa alcuna in particolare,
et in che modo.
Perche occorre molte volte, ch’i frati hanno bisogno, o per necessità, o per commodità d’alcune cose, che non son date dal commune, vediamo, s’ad alcun frate sia lecito tener cosa alcuna in particolare, et certamente pare, che questo sia contra l’intention di sant’Agostino per tre ragioni.
Per la prima, dicendo egli nella Regola. SINT vobis omnia communia. Tenete il tutto commune. Et più à basso. QUI ALIQUID habebant in seculo, quando ingressi sunt monasterium, libenter velint illud esse commune. cioè. Quelli, c’havevano qualche facoltà al secolo, quando entrorono nel monasterio, si contentino di farla prontamente commune. Dove non sol ci fa saper, che si deveno donare i suoi beni al monasterio, come habbiam mostrato nel cap.4. del presente libro, ma che non è lecito ritenergli, quasi che dica, che così i beni del monasterio, come quelli, che porta ogn’uno, quand’entra nella Religione; deveno esser communi, non particolari.
La seconda ragione si comprende da un’altro luoco della detta Regola, dove esso dice. QUOD, SI alicui aliquid collatum fuerit, isit in potestate Præpositi, ut in rem communem redactum, cui necesse fuerit, præbeatur. cioè. Per il che se sarà presentata qualche cosa ad alcuno, essendo già fatta commune, sia data à chi ne haverà bisogno, ad arbitrio del Preposito. Se i frati adunque non posson ritenersi i beni proprij, quand’entrano nel monasterio, secondo il primo fondamento, ne ricevere, o tener cosa d’altri, che sia lor donata, come si disse poco inanzi, par che seguiti, ch’essi non possan tener cosa alcuna in particolare.
La terza ragione si fonda sopra l’esempio del detto maestro nostro sant’Agostino per quello, ch’egli fece, et disse. Percio che non volse posseder mai cosa alcuna in effetto, se non in commune, et pero egli nel primo Sermone De communi vita clericorum, che comincia, Porpter quod volui, allegando se stesso per esempio, dice questo. Sapete tutti, o quasi tutti, che noi viviamo in quella casa, che si chiama del Vescovo, talmente ch’imitiamo quanto più si puo quei Santi, de i quali parla il libro de gl’Atti de gl’Apostoli, che niuno diceva, che cosa alcuna fosse sua propria, ma tutte eran communi fra loro. Et più oltra. Ho cominciato à ragunare alcuni fratelli di buona intentione, et eguali miei, che non hanno nulla, come non haveva io, et mi imitano, accioche, si come io ho venduto, et distribuito à i poveri le mie picciole facoltà, così havessero à far quelli, che volessero dimorar meco, et havessimo à viver del commune. Et più di sotto. Di questo ancora sia certa la vostra carità, ch’io ho detto à i miei fratelli, che stanno meco, che qualunque d’essi ha qualche cosa, o la venda, o la dispensi, o la doni, o la metta in commune. Havete la chiesa, col mezo della quale Iddio vi pasce. Stiano, dove vogliono, et vivano in libertà, dove possono, quelli, che voglion tener di proprio, poi che non bastan loro le provisioni di Dio, et della chiesa, ma vedano, se potranno acquistar l’eterna felicità. Dice anco nel secondo Sermone, che comincia. Charitati vestræ. Non deve alcun haver la tonica di lino, se non in commune. Io proprio me la pigliaro dal commune, sapendo, che cio, ch’io ho, voglio che sia commune. Non voglio, che la santità vostra m’offerisca cose sì fatte, quasi che io solo habbia à servirmene. Et più di sotto. Debbo portar tal vestimento, ch’io possa accommodarne un mio fratello, s’egli ne havesse bisogno, et perch’io lo piglio dal commune, voglio che sia tale, che si convenga anco al Sacerdote, al Diacono, et al Suddiacono: Se me ne fosse dato un migliore, lo venderei, come soglio fare, accioche non potendo esser commune il vestimento, fosse almen commune il prezzo, che se ne trahesse. Concludiamo adunque non esser mai stata intentione di sant’Agostino, che quelli; che voglion vivere sotto la Regola sua; tengano cosa alcuna in particolare. Ma si deve distinguer, qual sia questa particolarità: Perche in un modo quello si dice esser particolare à qualcheduno, che gli vien dato, come cosa sua propria. In un’altro modo, quando gl’è conceduto da i Superiori per uso suo. Quanto al primo; è cosa chiara, che niuno, che viva sotto la Regola di sant’Agostino, puo tener cosa alcuna in particolare, et in questo senso si deveno pigliar le ragioni allegate di sopra. Quanto al secondo, è lecito al frate tener qualche cosa in particolare, permettendo la legge commune, che’l monaco possa tenere il peculio con licentia dell’Abbate, come si dice nel cap. Cum ad monasterium. extra, de statu monachorum. Ne intendo, che, peculio, voglia dire alcuna cosa propria, come l’intende il cap. Monachi, nel medesimo Titolo; ma che significhi una cosa data, o conceduta: particolarmente ad alcuno, et questo, (ch’è registrato nel Decreto alla 12.q.I. cap. Non dicatis;) non è vietato dal padre nostro sant’Agostino, il qual nel Sermone citato, De communi vita clericorum, dice questo. *Havendo rinontiato i frati di questa nostra Congregatione; non solamente alle facoltà, ma alle proprie volontà, quando presero l’habito dell’Ordine, et essendosi affatto sottomessi in Christo, et per Christo per obedienza promessa al potere, et à i commandamenti d’altri; è cosa certa, che non deveno havere, ne possedere, ne dare, ne pigliar cosa alcuna senza licenza del lor Superiore. Ma s’un parente, un’amico, o qual si voglia altra persona volesse donare alcuna cosa à qualche frate; si doverà prima avisarne il Priore, et poi pigliarla, come egli commandarà, et vorrà. Per il che è manifesto potergli pigliar quello, che vien dato con licenza del Superiore, la qual ha questa forza; dove s’interpone; che la cosa pigliata, non è stimata propria, ma commune, come quella, che si tiene esser fatta commune subito, ch’è passata in poter del Prelato, il qual puo darla à chi vuole, et se fosse darla più tosto ad altri, ch’à quel medesimo frate, deve esso disporsi à comportarlo quietamente, et all’hora la terrà veramente come commune, non come propria, il che si prova con l’esempio del padre nostro sant’Agostino, il qual nell’allegato Sermone, Charitati vestræ, scusa di proprietà molte persone, c’havevano havuto il peculio, perche l’havevano preso con consenso, et licenza sua, come fu Patritio Suddiacono suo nepote, et Valente, et Severo, et Eraclio Diaconi, et Leporio, et Barnaba Preti, onde si vede manifestamente, che qualunque professor della Regola di sant’Agostino tenesse qualche peculio, o profettitio, o avventitio; cioè o d’hereditaria successione, o d’industria, o d’arte; non potrebbe esser chiamato trasgressor della Regola, ne violator della sua professione, pigliandolo con certo consenso, et con espressa licenza del suo Prelato, et tenendolo con animo di metterlo; quando ad esso piaccia; prontamente in commune. Et è necessaria questa licenza in tre occasioni. Nel pigliare, nel tenere, et nel dispensare il peculio. Nel pigliarlo, dicendo la Regola. NON OCCULTE accipiatur, sed sit in potestate Præpositi, etc. cioè. Non sia accettata occultamente, ma sia in poter del Preposito, etc. Pero deve esser prima presentato al Preposito. Il medesimo dispone la legge commune, dicendo il cap. Cum ad monasterium. extra, de statu monachorum. S’alcuna cosa sarà mandata à qualche persona particolare, non ardisca colui di pigliarla, ma sia consignata al Superiore. Et cio è conforme à quello, che dice sant’Agostino nell’allegato Sermone, De communi vita clericorim. Quanto al ritenere peculio, si ricerca parimente la licenza del Superiore, et specialmente, se consiste in denari, perche all’hora il frate non puo tenergli appresso di se, ma deve riporgli appresso il procurator del monasterio, secondo la forma espressa nel cap.45. delle Constitutioni nel medesimo luoco, et essendo, o libro, o vestimento, o altra così fatta cosa, di che bisognasse servirsene continuamente, si deve procurarne licenza dal Prelato, così di pigliarla, come d’adoperarla. La medesima licenza è necessaria nel dispensare il peculio, pero essendo un libro, non si potrà vendere, ne alienare senza licenza del Prior Provinciale, et se sarà altra cosa, non si potrà vendere, ne alienare senza licenza del Prior conventuale, et essendo denari, non sarà parimente lecito spendergli in qual si voglia cosa senza licenza, perche riputandosi quella cosa esser già fatta commune, per essere stata presentata prima al Prelato; non potrà niun frate particolare servirsene, ne disporne senza la volontà, et licenza del Superiore, à cui è commessa l’amministratione delle cose communi del monasterio. Ma perche alcuni frati, o per negligenza, o per ignoranza, o per dapocaggine hanno mancato di far cio, così nell’ingresso, come nel progresso loro della Religione, ne per consequenza son mai stati veramente poveri; come vuol la Regola di sant’Agostino; io consigliarei qualunque fosse stimolato dalla propria conscienza à giustificare il suo stato, che cedesse tutti i beni temporali, che possede per qualunque causa, et modo, da qual parte si sia, et come si voglia, in man del Prelato superiore, cioè, del Prior Generale, essendo presente, come à quello, c’ha il governo universale di tutti i beni della Religione, et non ci essendo, in man del suo Vicario, o del Prior Provinciale, et che fatta la cessione, c’ho detto, in effetto, et con affetto semplicemente, et assolutamente si sottomettesse, come già spogliato d’essi; (secondo il discorso fatto di sopra nel cap. II.) alla volontà, et amministratione del suo Prelato, con animo; (se qual si voglia Superiore non gli concedesse l’intero uso di quei beni, ne di parte d’essi;) di pigliarlo in buona parte, come ho detto nel cap. nono. Il Prelato poi, come geloso della salute de i sudditi, accetti quella cessione, et poi, come pietoso padre, proveda alle necessità di quel frate, lasciandogli custodire, et servirsi delle medesime cose, o in tutto, o in parte, come giudicarà convenirsi alla salute, et bisogno suo. Il frate all’incontro riconosca l’uso di esse dalla gratia, et quasi dalla man d’Iddio, governandosi appunto nel pigliar la licenza, come ho detto di sopra. Dal qual modo sentono i frati tre benefici.
Il primo è, che si spogliano quasi d’ogni proprietà.
Il secondo, che se per ignoranza s’hanno appropriato qualche cosa de i beni del commune, o d’altre persone dell’Ordine illecitamente, et contra la forma delle Constitutioni della Religione; essa diventa commune con l’auttorità del Superiore, (il qual, come ho già mostrato,) ha la commune amministratione, et viene ad applicarsi leggitimamente all’uso loro. Ho detto, per ignoranza, perche, s’alcuno sapendolo, si ritenesse quei beni illecitamente acquistati, doverebbe restituirgli, ne potrebbono per concessione ordinaria esser lecitamente applicati dal Prelato all’uso suo.
Il terzo beneficio è, che con questo modo si supplisce al mancamento, et alla negligenza usata nella licenza; ch’i frati, (come s’è detto,) dovevan pigliare; di ricevere, tenere, servirsi, et dispensare i detti beni, et si viene à giustificar lo stato, et assicurar la salute loro, pur che si conservino in quella rettitudine per l’avenire.
Cap. XIV.
Che Iddio medesimo molte volte castiga i Religiosi del peccato della proprietà con cattiva morte,
et vi s’adducono gl’esempij degl’antichi.
Perche adunque la volontaria povertà; (che come habbiam veduto, consiste nella piena, et real rinontiatione della proprietà;) è tanto degna, et tanta eccellente, che’l Signor nostro ricco sopra tutti i ricchi, et onnipotente, si degno di portarla, et santificarla nella propria sua persona; di quà nasce, che volendo egli remunerare i professori di essa, promette il lor premio essere apparecchiato, dicendo. Beati pauperes spiritu, quoniam ipsorum est Regnum Cœlorum. cioè. Beati i poveri di spirito, perche di essi è il Regno de i Cieli. All’incontro odia egli grandemente il peccato della proprietà suo contrario ne i Religiosi, flagellando molte volte, et castigando i proprietarij con cattiva morte, come si vede scorrendo per tutti tempi della Religion Christiana. Comincio questo peccato nel collegio di Christo, che fu il primo maestro della vera povertà, e’l primo proprietario fu Giuda, ch’era ladro, et tenendo la cura de i denari, rubava quello, ch’era mandato à i fedeli. Ma vediamo qual fosse il suo fine. Egli per certo finì la vita sua con un laccio, et forse non meno per il vitio del furto, che per il peccato del tradimento, leggendosi al cap. primo de gl’Atti de gl’Apostoli così. De Iuda, qui fuit dux eorum, qui comprehenderunt IESUM, et hic quidem possedit agrum de mercede iniquitatis, et suspensus crepuit medius, et diffusa sunt omnia viscera eius. cioè. Di Giuda, che fu scorta di quelli, che presero GIESU: Et costui certamente possedette il campo di mercede iniquità, et impiccatosi, creppo nel mezo, et gli si sparsero tutte le viscere. Perche non solamente i trenta denari, per i quali egli haveva venduto Christo, furon la mercede della sua iniquità, ma anco quello, ch’egli havea rubato, et questa vuol san Luca, che sia stata la causa immediata della sua infelicissima morte. Un’altro esempio ne habbiamo nel collegio de gl’Apostoli dopo l’Ascension del Signore al Cielo, quando i fedeli nuovamente convertiti, vendendo i terreni, et le possessioni, mettevano i prezzi à i piedi loro, come si scrive al quinto cap. de gl’Atti; Percioche Anania, et Saffira sua moglie, venduti alcuni terreni; posero à i piedi loro solamente una parte del prezzo, et l’altra si ritennero di nascosto, et perche defraudorono in questo modo gl’Apostoli, et dissero la bugia allo Spirito Santo, caddero morti alla lor presenza, et di tutti i circonstanti, et furon portati à sepelire, come si legge nel luoco citato, et anco nel cap. Dilectissimis. 12. q. 1. Ne si deve attribuir così crudel vendetta alle maledittioni di san Pietro Apostolo, ma al giudicio di Dio, il quale egli haveva predetto con spirito profetico, come dice san Gieronimo à Demetriade. Fu parimente vitio della proprietà nella venerabil congregation de i santi Padri d’Egitto, ch’erano intorno à cinque millia, c’habitavano in quelle solitudini in celle separate, (come si legge nelle Vite de i Padri;) percioche un di quei monaci morendo, haveva lasciato cento soldi, che s’era avanzati, tessendo le reti: Et trattandosi fra loro, che cosa si dovesse far di quei denari, alcuni dicevano, che si dovevano dispensare à i poveri; altri, che si dessero alla chiesa, et altri, che si mandassero à i suoi parenti. Ma san Macario, sant’Isidoro, et gl’altri padri Superiori deliberorono per rivelation dello Spirito Santo, che si sepelissero col lor padrone con queste parole. I tuoi denari sian teco in perditione. Ne creda alcuno, che questo fosse atto di crudeltà, perche entro tanto timore, et spavento in tutti i monaci d’Egitto, che riputavano gran peccato nascondere, o ritenersi pure un soldo, come si trova nelle medesime Vite, dove leggiamo ancora, ch’essendo andato à trovar sant’Antonio un frate, il qual, benche havesse lasciato il mondo, et dispensato à i poveri le sue facoltà, se ne era pero riservato una parte; egli, che lo sapeva, gli disse. Va in quella villa, et compra della carne, et mettila sopra il tuo corpo nudo, et torna quì. Il frate fece quanto gli fu imposto, ma i cani, et gl’uccelli lo stracciorono tutto co i denti, et con l’unghie, per torgli la carne. Tornando poi, et dimandandogli sant’Antonio, s’haveva fatta l’obedienza, gli mostro il corpo tutto ferito, et all’hora il sant’huomo gli disse. Chi rinontiarà il mondo, et vorrà ritenersi qualche somma di denari, sarà lacerato in questa maniera da i demonij. Un’esempio simile habbiamo ancora nel collegio di sant’Agostino, il quale abhorriva sommamente questo peccato, et teneva i proprietarij per morti, come si vede nell’allegato Sermone, De communi vita clericorum: dove dice. Ho più presto voluto havere i ciechi, e i zoppi, che piangere i morti, perche chi è hipocrita è morto. Et chiama hipocrita quel Religioso, c’ha fatto publica professione di povertà, et è proprietario in secreto. Era nel collegio suo un prete chiamato Gianvario, del qual egli parla con gran dolore in un’altro Sermone, che comincia. Propter quod volui; che s’era riservata un parte di denari, et morendo ne haveva fatto testamento, di che lamentandosi sant’Agostino, dice. O dolor di quella compagnia, o frutto, che non nacque dell’arbore piantato dal Signore. Di costui scrive egli ancora à i preti d’Hippona in un’altro Sermone, che comincia. In omnibus operibus vestris; dicendo, che si trovo dopo la sua morte, ch’egli haveva nascosto una somma di denari nelle mura della sua celletta, et haveva tenuto senza sua saputa una vigna, et alcuni terreni al secolo, per il che dice, che fece cattiva morte con queste parole. Visse malamente, et morì malamente. Perche, o come visse malamente? Perche tenne secretamente quello, che non era suo. Come morì malamente? Perche non riconobbe l’error suo nel fine, et fece ostinatamente testamento, ch’io nol seppi, lasciando ricco il figliuolo, c’haveva al secolo. Fosse almen piaciuto à Dio, ch’egli ce l’havesse detto nel fine, accioche noi con le nostre orationi gliene havessimo impetrato perdono. Ma egli non lo confesso, ne se ne pentì, pero non è de i miei, ne era, quando viveva. Per tanto legarete le mani al cadavero, et involti in un panno in cento undici Sicli, ch’egli haveva nascosti nel muro della cella, piangendo direte. Il tuo denatro sia teco in perditione, poi che non debbiam dispensarlo fra i servi di Dio, ne impiegarlo nel viver, ne i vestimenti, et ne gl’altri bisogni del monasterio, essendo prezzo di dannatione. Così dice sant’Agostino.
Si lesse anco essere stata la proprietà nel collegio di san Gregorio, essendosi trovate tre monete d’oro fra i medicamenti d’un medico del suo monasterio, ch’era infermo à morte, il che intendendo san Gregorio, et pensando, che cosa havesse potuto fare per purgation di colui, che moriva, et per esempio di quelli, che restavano in vita, non volse, che niuno gli dicesse pure una parola di conforto, ne gli facesse alcun servitio, fuor che quel frate, ch’era deputato alla cura sua, il quale havendolo avvertito di questo, et dettogli, ch’i frati l’abhorrivano per la sua proprietà; se ne dolse grandemente, et così lamentandosi, et tuttavia dolendosi morì, et di commission di san Gregorio fu sepolto co i suoi denari nello sterco con le medesime parole. Il tuo denaro sia teco in perditione: Et in questo modo fu proveduto alla salute di chi moriva, et di chi viveva. Percioche la morte amara di colui cancello il suo peccato, et la pena spavento gl’altri, come avenne appunto, perche da indi inanzi non fu alcuno di quei frati, ch’ardisse di riservarsi cosa alcuna, benche fosse di poco valore; et egli dopo trenta giorni apparve ad un suo compagno, et gli disse, che insino à quel tempo era stato mal trattato, ma che all’hora era in buono stato, perche quel dì s’era riunito co i buoni. Così dice san Gregorio, et si deve creder, ch’egli in quei sospiri, et rammarichi sentisse inanzi alla morte tanta contritione, che meritasse di star così breve tempo nel Purgatorio, ma se fosse morto senza pentirsi di quel peccato, saria stato condannato à pena eterna. Di questo caso fà mentione il cap. Cum ad monasterium. extra, De statu monachorum, là, dove dice. Se si trovarà, ch’alcuno alla morte habbia qualche proprietà, essa sia sotterrata fuor del monasterio insieme con lui nello sterco in segno di dannatione, come dice d’haver fatto san Gregorio. Recita Cesario, ch’essendo infermo à morte un frate converso dell’Ordine Cistertiense, et volendo ricevere il sacramento dell’Eucaristia, non puote inghiottirlo, ancor che quel giorno istesso havesse mangiato una gallina intiera, ma morendo poco da poi, et trovandogli adosso cinque soldi, si seppe per qual causa egli non havesse potuto ricevere il corpo di Christo, et questi son gl’esempij de gl’antichi.
Cap. XV.
Esempij moderni intorno alla proprietà.
Per quello, c’habbiam detto, si vede, che questo vitio di proprietà è venuto serpendo successivamente dal tempo di Giuda traditore, et primo proprietario nella posterità, et ha lasciato sempre nel fine la coda della cattiva morte. Così piacesse à Dio, ch’à i tempi nostri non si trovassero i Giudaisti, et gl’Ananisti, come son quelli, che quando entrano nella Religione, si riservano qualche parte de i beni loro, imitando Anania, et Gianvario, et come quelli, che poi che ci sono entrati, attendono ad arricchir se stessi, et non il commune, et acquistano, et s’appropriano qualche cosa senza licenza, come fece il frate Egittio, e’l monaco di san Gregorio, o come quelli, c’havendo officij del monasterio, rubano i beni del commune, come Giuda, o come quegl’altri, ch’andando alla cerca, o vero à i Termini, s’appropriano quello, c’hanno dimandato, et procurato, dandone una parte al commune, et ritenendosi il resto per se secretamente, et con inganno, come fece egli, e i suoi seguaci. Piacesse à Dio, dico, che non fosse à questo tempo chi lo facesse, et se ve n’è alcuno, come pur ve ne sono, almen se ne ravvedessero per timor di così crudel vendetta, et dolendosi del peccato commesso, se ne guardassero per l’avenire, come consiglia il padre nostro nella Regola. Pochi esempij, et forse niuno de i tempi nostri ho trovato scritti in questa materia, pero ne recitaro solamente alcuni, c’ho veduti, et quasi toccati con le proprie mani, et verificati con l’esperienza, essendo stato Visitator di diverse Provincie, et havendone cercato in altri tempi industriosamente.
Io conobbi già un frate, di cui s’haveva sospetto, che tenesse alcune cose fuor della Religione senza saputa, et licenza de i Superiori. Per il che, havendolo esortato con carità, come ricercava l’officio mio; à portarle nel convento, et tenerle più tosto con la benedittion di Dio, che con la maledittion del diavolo, mi promise fermamente di farlo, ma poi ritirato dal demonio, non lo fece. Per tanto non giovando l’ammonition paterna, ne potendovisi rimediar con pene, perche non si poteva provar cosa alcuna contra di lui, Iddio, che fa particolar vendetta, come ho detto, di questo peccato, et vede ogni cosa, lo visito aspramente, perche essendo egli un giorno all’altare à dir la Messa, come fu all’Agnus dei, cadde all’improvisa indietro, et morì senza poter pur dire una parola. Ecco, come un seguace d’Anania l’imito anco nel modo del morire. Colui mentre san Pietro predicava, et gl’annontiava la morte in presenza di tutti glApostoli, cadde morto, et costui inanzi à gl’occhi di tutto il popol fedele per sentenza dell’altissimo Iddio, che v’era presente nel sacramento, cadendo in quel modo, fece un’infelice fine, e’l sacramento della Vita, ch’egli medesimo haveva consacrato, prima che fosse ricevuto, gli diede la morte.
Un’altro frate ho conosciuto, che soleva appropriarsi alcune cose, che s’appartenevano al commune, onde essendo tornato una volta sano, et allegro al convento da un città; dove haveva mangiato quel giorno, fu trovato morto sopra un cesso. Un simil fine nel medesimo luoco vidi fare ad un’altro, che viveva nell’istesso errore. Ecco, come i seguaci di Giuda finiron la vita loro in un luoco vergognoso, facendo un’immondo servitio, et quasi creppando. So anco, ch’un’altro frate, al quale io portava grand’affettione, essendo invitato da alcuni gentil’huomini, ad un convito in una città, mentre stava alla mensa mangiando allegramente, et di buona voglia, cadde in presenza de i convitati senza poter dire una parola, et essendo portato al convento, poco da poi morì, ne di lui s’haveva alcun cattivo sospetto, ma il fine mostro, quale egli fosse stato nell’intrinsico, essendogli trovate nella cella molte borse di denari di diverse sorti di monete, ch’egli haveva ragunate; ch’i suoi Prelati non l’havevan saputo, ne pur pensato, come quello, ch’era tenuto per un povero frate, ma essendo stato procurator di diversi conventi, haveva imitato Giuda, come si vide al fine.
Ne ho conosciuto un’altro, che giacendo nel letto infermo, et essendo ricercato dal Priore, se haveva denari, non volse scoprirlo, ne à lui, ne al confessore, et così finì miseramente la vita, senza confessarsi, ne riconoscersi nell’error suo, et senza sacramenti: Volendosi poi lavare il corpo, come s’usa, gli fu trovata una marca d’argento legata, et cuscita à piedi della tonica, ch’egli portava, et si deve tener per certo, che’l diavolo gli chiudesse la bocca per vendetta di Dio, come suol fare à gl’altri, che si son dati in preda à simil vitio, accioche non potesse confessar morendo quello, c’haveva sempre nascosto vivendo, come riferisce sant’Agostino di Gianvario.
Un’altro frate, ch’io amava assai, mostro, quando venne à morte, quello, ch’era stato in vita, percioche tenendo occulta presso di se una certa somma di denari, ancor che fosse gravemente infermo, et all’estremo passo della vita, sì che non poteva parlare, presa con le mani una sua pelliccia, c’haveva adosso, si sforzava di tirarsela appresso, quasi che dubitasse, che non gli fosse tolta. Ma guardando i frati, ch’eran presenti, et gli leggevano la raccommandation dell’anima; quell’atto con meraviglia, un di loro più curioso de gl’altri, messosi à cercar diligentemente nella pelliccia, per veder se v’era nascosta alcuna cosa, ci trovo cusciti dentro alcuni denari, che colui non haveva voluto manifestare al Priore; ne al confessore: Et se ben questo si potrebbe pigliare in buon senso, et presumer ch’egli maneggiando così spesso quella pelliccia, volesse accennare il denaro nascosto, il che sarebbe lodevole; tuttavia la penitenza sarebbe stata molto tarda; et rare volte, o forse mai aviene, che l’huomo si penta di quel peccato nell’ultim’hora della vita, perche il diavolo gli serra la bocca, come ho detto.
Mi ricordo d’un’altro frate, che pareva sano, et un dì fu trovato morto in una sedia nella sua cella, et dopo la morte gli si trovorono molti denari: Et d’un’altro, che levandosi di letto, per andare al calefattorio, cadde morto, ne puote haver tempo di confessarsi, ne di ricevere i sacramenti della Chiesa.
Ad un’altro parimente, che morì all’improviso, si scoperse nel muro della cella una buona quantità di denari nascosta con tanto artificio, che se non si fosse scoperta à caso, non si saria mai trovata. Questo frate era in buona consideratione, ne fu mai, chi havesse quel sospetto di lui, ma io, cercando de i beni de i frati, et esortandogli per debito dell’officio mio à manifestar quelli, c’havevano per poter poi tenergli con benedittione, et licenza de i Superiori, lo trovai bugiardo, perche mi disse, ch’era povero. Ma l’infelice non disse la bugia à me, ma allo Spirito Santo, come disse san Pietro ad Anania. Et perche costui imito Gianvario, fece una morte simile alla sua.
Mi ricordo d’un’altro, à cui havend’io dimandato per debito del carico mio, s’haveva denari, non volse dirmi la verità, et venendo à morte non si lascio entrar niuno in cella, perche non gli si togliessero i denari nascosti, eccetto ch’uno, che lo serviva, et di cui egli si fidava, anzi per vietare affatto l’entrata ad ogn’uno, s’era posto il meschino à giacere inanzi all’uscio, et così senza ravvedersi, ne confessarsi, ne ricever alcun sacramento, morì miseramente. Dapoi cercandosi subito ch’egli fu morto, et portato fuor di cella, s’haveva lasciato denari, se ne trovo una buona quantità, ma non pero tutto quello, che c’era, onde ne nacque un grande scropolo di sospicione, che diede non poco disturbo ad alcune persone, ne per la visita, che si fece poi, ne per diligente inquisitione, che ci usasse il padre Generale, si poterono rassettar le cose, come erano state prima. Ecco, come quel maledetto denaro di perdittione, non sol condanna i morti, ma nuoce anco all’honor de i vivi, et reca loro macchia, et infamia.
Ne conobbi un’altro, che di terreni, et d’altre entrate s’era dopo lungo tempo molto arricchito, et teneva ogni cosa fuor della Religione in man di persone secolari senza licenza de i suoi Prelati, et senza saputa di frate alcuno dell’Ordine, ma al fine ammalandosi gravemente in un convento del suo distretto, et essendo visitato dal Priore, et esortato alla confessione, et stimolato efficacemente, così da lui, come da i frati, et da altre persone, che v’eran presenti, à confessarsi, havendogli il diavolo serrata la bocca, come suol fare, non puote accusare il suo peccato, ne scoprire i denari nascosti, et in questa maniera morì, come una bestia, senza confessione, ne penitenza, ne riconoscimento alcuno de i suoi errori, et senza sacramenti. Ma cercandosi dopo la sua morte de i suoi beni, per bontà d’alcune persone secolari, fu restituita qualche parte di quel denaro di perditione alla Religione. Mostrano adunque gl’esempij antichi, et moderni, c’habbiam narrato, et molt’altri, che si tacciono, esser generalmente vero, ch’i proprietarij fanno sempre cattiva morte, la quale intendo, o quand’altri ammazza se stesso con le proprie mani, o quando muore di morte subitana, o con finale impenitenza, et senza contritione, et confessione, et se non aviene, o l’uno, o l’altro de i doi primi casi, il terzo occorre infallibilmente, perche peccano contra lo Spirito Santo, dicendo san Pietro da Anania; come si legge nel quinto cap. del gl’Atti; Anania: cur tentavit Sathanas cor tuum mentiri te Spiritui sancto? cioè. Anania: perche ti sei lasciato persuader da Satanasso à mentire allo Spirito Santo? Et più oltra. Non es mentitus hominibus, sed Deo. cioè. Non hai detto la bugia à gl’huomini, ma à Dio. Et disse à Saffira sua moglie. Quid convenit vobis tentare Spiritum Domini? cioè. Come havete voi fatto bene à tentar lo Spirito del Signore? Et di quà nasce, che quelli, che si danno in preda à questo vitio, muoiono al fine meritevolmente senza penitenza, et all’improvvisa.
Cap. XVI.
Per qual cagione Iddio da se stesso castighi questo peccato, et che la Chiesa in cio è esecutrice
del giudicio divino.
Suol castigare Iddio da se stesso il peccato della proprietà, perche i Prelati, che nella correttion de gl’errori de i lor sudditi sono instrumenti di Dio, non posson trovarlo, ne coprirlo facilmente, sforzandosi i rei di questo vitio d’occultarlo, quanto possono, perche essi non ne habbian notitia. Gl’altri vitij il più delle volte si manifestano in qualche modo. La fornication si scopre dalla pregnezza, et dal parto: La superbia, da i gesti, et dal portamento esteriore: La disobedienza dalla commissione delle cose vietate, o dall’omissione delle commandate: L’ira si conosce dalle risse, dalle contese et molte volte dalle percosse: La gola, l’ebrietà, et molt’altri vitij hanno alcuni segni, et effetti esteriori, che manifestano i lor seguaci, ma non si puo così facilmente scoprire il vitio della proprietà, et del furto, usando quelli, che ci attendono, ogni diligenza per nasconderlo, ne potendosi conoscer per altri indicij. Per il che Iddio, che vede ogni cosa, lo punisce di propria mano, onde in questo castigo hanno luoco speciale quelle parole del Signore. Mihi vindictam, et ego retribuam. cioè. Lascia la vendetta à me, et io mi vendicaro. Per questo la santa Madre Chiesa, come esecutrice del giudicio divino, priva i proprietari tanto odiosi à Dio, della sepoltura ecclesiastica, et perche si sappia chiaramente, quanto essa abhorrisca questo vitio, vuol ch’essi insieme co i denari, che si trovan loro dopo la morte, sian sepolti fuor del monasterio nello sterco: Ma trovandosi, mentre vivono, si deveno applicare all’utilità del monasterio, come dice il citato cap. Cum ad monasterium. extra, De statu monachorum. Deveno oltra di cio i proprietarij, che vivono, esser rimossi dalla communion dell’altare. Ne solamente si nega la sepoltura ecclesiastica à i morti, ma non si deve pur pregare, ne celebrar la Messa per l’anime loro, come dice il cap. Monachi, nel medesimo Titolo: Et se fossero sepolti à caso in qualche chiesa, o cimiterio; perche non si fosse saputa l’intention della legge, o perche non si fosse scoperta la proprietà; venendo à notitia, o l’uno, o l’altro, i corpi loro s’hanno à gettar fuori dalla chiesa, et del cimiterio; potendo pero farsi senza notabile scandalo, come dice il cap. Super quodam; nel Titolo allegato. Ma si come la Chiesa esequisce il giudicio divino nel punire il peccato della proprietà, così accompagna all’incontro la divina accettatione nella virtù contraria, la quale è la volontaria povertà, essendo la rinontiation della proprietà talmente congiunta alla Regola monastica, che’l sommo Pontefice non puo dispensar contra d’essa, come si vede nel detto cap. Cum ad monasterium, verso il fine. Perseguita anco l’Ordine i proprietarij in vita, et in morte. In vita; dicendo sant’Agostino nella Regola QUOD, SI aliquis rem sibi collatam celaverit, furti iudicio condemnetur. cioè. Et s’alcuno nasconderà cosa, che gli sia presentata, sia punito, come reo di furto. Le quali parole mostrano, che subito, che alcuna cosa è donata à qualche frate, diventa commune, è della communanza, et s’appartiene à tutti, anzi è totalmente consacrata à Dio, come egli dice nel Decreto dell’Osservanza Regolare. Per tanto qualunque l’occultasse, meritarebbe d’esser castigato, come s’havesse rubato, et egli vuole inferir questo, quando dice, sia punito, come reo di furto. Nel qual senso l’intende anco la Religion nostra, dicendo nel 45. cap. delle Constitutioni, ch’i Proprietarij, et quelli, che rubano, sian condannati in prigione per sei mesi, et specialmente, se la cosa tolta passarà il valor d’un’oncia, et nondimeno rimangano sottoposti à tutte le maledittioni, et consequenze della carcere, che è una morte civile nell’Ordine. Pero anco sant’Agostino tiene i proprietarij per morti, dicendo. Ho voluto più tosto havere i ciechi, e i zoppi, che pianger i morti, come s’è detto di sopra nel cap.14. In morte poi perseguita l’Ordine i proprietarij secondo il giudicio della Chiesa.
Cap. XVII.
Quali punti de gli Statuti della Regola, et delle Constitutioni dell’Ordine s’appartengano
à questa terza Communione.
A questa sacra communione s’appartengono tutti i punti della Regola, che parlano della vita commune, et d’haver ogni cosa in commune, come è quello. ET NON dicatis aliquid proprium, sed sint vobis omnia communia. cioè. Non dite, che cosa alcuna sia vostra propria, ma tenete il tutto commune. Et questo ha luoco in tutti i Capitoli di questo terzo libro. Et quell’altro. QUI ALIQUID habebant in seculo, quando ingressi sunt monasterium, libenter velint illud esse commune. cioè. Quelli, c’havevan qualche facoltà al secolo, quando entrorono nel monasterio, si contentino di farla prontamente commune. Questo punto s’accommoda particolarmente à i Capitoli IV. V. XI. et XIV. Et quell’altro. QUICUNQUE autem in tantum progressus fuerit malum, ut occultè ab aliquo litteras, vel quod libet munus accipiat, si hoc ultrà confitetur, parcatur illi, et oretur pro illo, si autem deprehenditur, atque convincitur, secundùm arbitrium Presbiteri, vel Præpositi, graviùs emendetur. cioè. Et s’alcuno incorrerà in così grand’errore, che pigli da qualcheduno occultamente lettere, o qual si voglia presente, confessandolo spontaneamente, gli sia perdonato, et sia fatta oration per lui, ma essendo colto nel fatto, et convinto, sia castigato più severamente, come parerà al Presbitero, o al Preposito. Et quell’altro. CONSEQUENS ergo est, ut etiam, qui suis filijs, aut aliqua necessitudine ad se pertinentibus, in monasterio constitutis, aliquam contulerit vestem, sive quod libet aliud, inter necessaria deputandum, non occultè accipiatur, sed sit in potestate Præpositi, ut in rem communem redactum, cui necesse fuerit, præbeatur. Quod, si aliquis rem sibi collatam celaverit, furti iudicio condemnetur. cioè. Seguita adunque, che s’alcun donasse anco à i proprij figliuoli, o à qual si sia altro suo parente, che stesse nel monasterio, qualche vestimento, o altra cosa, che si possa computar fra le necessarie, essa non sia accettata occultamente, ma essendo già fatta commune, sia data à chi ne haverà bisogno, ad arbitrio del Preposito. Et s’alcuno nasconderà cosa, che gli sia data, sia punito, come reo di furto. Questo punto s’appartiene al Capitolo XIII. Et quell’altro. NULLUS sibi aliquid operetur, sed omnia opera vestra in unum fiant maiori studio, et frequentiori alacritate, quam si vobis singulis faceretis propria. Charitas enim, de qua scriptum est, quod non quærat, quæ sua sunt, sic intelligitur, quia communia proprijs, non propria communibus anteponit. Et ideo, quanto ampliùs rem communem, quam propria vestra curaveritis, tanto vos ampliùs proficere noveritis, ut in omnibus, quibus utitur transitura necessitas, superemineat, quæ permanet charitas. cioè. Niuno faccia alcun lavoro per se stesso, ma tutte le fatiche vostre s’impieghino à beneficio commune con maggior diligenza, et più prontamente, che s’ogn’uno le facesse per se medesimo, percio che la carità; che non cerca le cose proprie, come è scritto; così s’intende, ch’antiponga le communi alle proprie, non le proprie alle communi. Pero, quanto più procurarete l’utilità commune, che la vostra propria, tanto più sarete certi di far profitto, accioche la stabil carità sia superiore, in tutto quello, di che si serve la transitoria necessità. Et questo s’appartiene pure al Capitolo XIII. Et quell’altro, ch’egli dice nell’altra Regola. Nemo sibi vendicet aliquid proprium, sive in vestimento, sive in quacunque re; Apostolica enim vita vivere optamus. cioè. Niuno s’approprij cosa alcuna, o di vestimenti, o d’altro, desiderando, noi di tener vita Apostolica. Et quello, ch’egli dice nel decreto dell’osservanza regolare. Si quis causa necessitatis detinet id, quod à monasterio secum portavit, necesse habebit, ubi Præpositus suus est, illud proserre, quia non poterit sibi retinere, quod per pactum ad omnes pertinet, et Deo utique est consecratum. cioè. Se alcuno per necessità tenesse appresso di se quello, c’ha portato fuor del monasterio, deve manifestarlo, dove sarà il suo Preposito, non potendo ritenersi quello, che per patto s’appartiene à tutti, et è senza dubbio consacrato à Dio.
I punti poi delle Constitutioni, che s’appartengono à questa Communione, son questi. Quello, che si dice nel Capitolo secondo verso il fine, del paragrafo, Statuimus, intorno all’opere manuali in commune, ha luoco nel Capitolo XXVI. del secondo libro, et nel XIII. del presente. Il XV. delle Constitutioni, che tratta de i beni, che’l novitio porta seco, ha luoco nell’undicesimo Capitolo. Il XIV. delle Constitutioni, che parla de i beni de i frati, che muoiono, et del modo di donar alcuna cosa, ha luoco nel XIII. di questo libro. Il Capit. XVIII. delle Constitutioni, che tratta della forma della professione, ha luoco nel XIV. del secondo libro, et nel X. XI. et XIII. del presente. Il secondo delle Constitutioni, che tratta de i beni del convento, et del tenere i beni di ciascun frate sotto la custodia del Procuratore, ha luoco nel XIII. Capit. di questo libro. Il XLV. delle Constitutioni, che parla del modo di mettere in deposito, et ritenere i beni de i frati, et delle pene de i proprietarij, ha luoco ne i Capitoli XI. XII. XIII. et XVI. di questo libro. Quello, che dice il Cap. XLV. delle Constitutioni, verso il fine intorno à i beni de i frati, che chiedono licenza d’uscir dell’Ordine, ha luoco ne i Capitoli XIII. et XVI. di questo libro.
Fine del Terzo Libro.