Processo per il culto "ab immemorabili" del beato Gregorio Celli da Verruccio
Marco Galli

Processo per il culto "ab immemorabili" del beato Gregorio Celli da Verruccio

Typographia R. Camerae Apost., Roma MDCCLXVI

Ex Historia generali Ordinis Eremitarum S. Augustini cui titulus SECOLI AGOSTINIANI

Authore P. ALOYSIO TORELLI, edit. Bononiae 1678, tom. 5

 

Quando nel nostro breve compendio delle vite degli Uomini e Donne illustri in santità nel capitolo 78 della seconda Centuria scrivessimo la vita rnaravigliosa del Beato Gregorio da Verucchio, seguimmo la traccia così del P. F. Christofaro da Verucchio Capuccino nel suo libro, che stampò delle sagre memorie della sua Patria, come del nostro Gelsomini Vescovo d’Ascoli in Puglia, dell’Errera, e degli altri nostri Autori, che però non potessimo assegnare ne il nome, cognome de' suoi Genitori, ne l’anno in cui egli nacque, ne quello, in cui egli prese l'Abito, ne il progresso certo della sua vita, ne il luogo, dove precisamente morì, sebbene vedendo le sue sante Ossa riposare nella nostra Chiesa di Verucchio, ci dassimo anche a credere, congetturalmente, che fosse morto nella sua Patria; ma ecco, che Iddio benedetto per sua infinita Bontà, ha volsuto, che si scopra la vera, e maravigliosa Istoria della sua nascita, Patria, Parenti, vita, morte, e Miracoli del suo Beato Servo con varie circostanze mirabili, e rare. Devesi dunque sapere, che ultimamente fra le scritture della Famiglia antica de’ Signori Celli della sudetta Terra di Verucchio si è scoperta una scrittura, la quale compendiosamente contiene la vita germanissima dell'accennato Beato, estratta, e cavata dalla vita più copiosa del detto Servo di Dio, che per longhissimo tempo si conservò dentro dell'Arca, ove giacciono le di lui Ossa venerande, la quale poi in tempo incerto si smarrì insieme col Breve Apostolico della sua Beatificazione. Cominciamo ora a distendere la serie della vita del Beato, come viene insinuata nella detta scrittura, con ordine però più aggiustato, et anche con maggiore espressione.

Verucchio Terra assai antica, e molto riguardevole della Romagna posta, e situata sopra d’un Colle molto vago, e ameno, in lontananza non più di dieci miglia dalla gentilissima Città di Rimini, fu la cara Patria del nostro Beato Gregorio, e son ben certo, che ella molto più si pregia d’avere partorito alla mia Religione Agostiniana, alla Chiesa, et al Cielo questo gran Servo di Dio, di quello, che raggionevolmente si vanti d’essere stata fecondissima genitrice di tanti famosi Eroi, quanti sono stati li generosi, e valorosi rampolli della nobilissima, e potentissima Famiglia de’ Malatesti, li quali col valore dell'Armi, e colla prudenza si resero non solo padroni della loro Patria, ma di vantaggio ancora dilatarono la loro Signoria non pure nelle vicine Città di Rimini, e di Cesena, ma eziamdio in quelle più lontane di Pesaro, e di Fano, e di alcune altre così della Romagna, come della Marca d’Ancona; per la qual cosa divenuti molto potenti, come furono assai stimati da' suoi confederati et amici, così riuscirono molto formidabili a suoi nemici; egli è ben vero però, che in progresso di molto tempo per le varie vicende, e sconvolture grandi della mai sempre volubile fortuna, quasi affatto ogni cosa perdendo, miseramente si ridussero, poco meno, che al loro primo principio.

Li Genitori poi del nostro Beato furono due delle prime, e più cospicue Famiglie della detta Terra, atteso che il Padre fu Giovanni di Tomaso Celli, che fu un dottissimo Giureconsulto, e la Madre ebbe nome Anna, e fu figlia di Alberto Corradi Dottore anch’egli di buona rinomanza, et ambi questi accasati furono buoni Christiani, e molto timorati di Dio, che però in premio della loro bontà, meritarono di ottenere dal Cielo un figlio di tanta virtù, e santità, come in vero fu il Beato Gregorio; la di lui nascita poi successe nell’anno del Signore 1225, essendo Sommo Pontefice Onorio III.

Ma, perché indi a tre anni, il di lui Genitore, per mezzo di una christiana morte, se ne passò, come piamente si spera, in luogo di sicura salute, perciò tutta la cura di allevare questo bambino, rimase appresso della Madre, la quale, come era una buona Serva di Dio, e molto alla pietà inclinata, non si può credere con quanta diligenza ella procurasse d’istillarli nel cuore, e nell’anima il santo amore di Dio e del Prossimo, e tutte l’altre virtù, che non vanno mai da quelle scompagnate, et ebbe bene da durare poca fatica per conseguire il suo pietoso intento, atteso che quel tenero bambino, come era nato per dovere esser Santo, era così pronto ad apprendere, e poi ad eseguire tutto ciò, che dalla buon Madre gli era insegnato, non meno col vivo esempio, che colle parole, che chiunque lo conosceva, restava attonito in vedere quel tenero fanciulletto così modesto, e ben composto in ogni sua azzione, e poi cotanto divoto nella Chiesa, che faceva arrossire gli uomini più vecchi et anziani di quella Terra.

Fatto più grandicello, fu applicato alla scuola per imparare le lettere, e perché aveva egli sortito un’ottimo ingegno da Dio, e colla scorta del suo santo timore, che è il buon principio della sapienza, egli attendeva a studiare; quindi è, che in breve tempo egli non solo al pari di qualsivoglia altro suo Condiscepolo imparò quanto dal Maestro le fu insegnato, ma di vantaggio tutti li superò. Fugiva egli a tutto suo potere i fanciulleschi giuochi, et ogni altro puerile trattenimento, che diretto non fosse alla maggior gloria di Dio, saggiamente abborriva. In tre luoghi soli era il suo ordinario trattenimento, cioè nella casa, nella scuola e nella Chiesa; nella casa procurava d’ubbidire a’ suoi Parenti in tutto ciò, che li commandavano; faceva i suoi domestici spirituali esercizi, e studiava le lezioni, che doveva ripetere poi nella scuola, in cui con ogni diligenza procurava di apprendere, ed imparare quanto li veniva dal suo Maestro insegnato; nella Chiesa poi, quale molto spesso frequentava, trovava egli tutte le fue contentezze, e maggiori delizie, stando per lungo spazio divotamente orando, ora avanti il Santissimo Sagramento, et ora avanti la sagra Imagine del suo Signore Crocifisso, et ora finalmente avanti a quella di Maria sempre Vergine, di cui fu egli sempre, allo scrivere del nostro Vescovo Gelsomini, svisceratamente divoto.

Giunto poscia all'età di quindici anni, la buona Madre, vedendolo riuscito in così poca età cotanto virtuoso, e provisto poi di un giudicio maravigliosamente lucido, ed aperto, e dandosi a credere, che se si fosse applicato allo studio delle Leggi, sarebbe riuscito non meno eccellente del suo già defonto Genitore; pertanto un tal giorno chiamatolo in disparte, così seriamente li prese a dire. Figlio, tu sei giunto ad un’età, nella quale tu puoi ottimamente conoscere il bene dal male, ora io, che sono tua Madre, desidero di sapere da te in questo punto, qual stato tu vogli prendere in questo Mondo; se lo stato di Secolare, o pure quello della Chiesa, se tu ti appigli allo stato Ecclesiastico, io non mi oppongo al tuo volere, solo ben questo io ti ricordo, che la tua casa è delle prime di questa Terra, che però sarebbe gran miseria il vederla estinta; tu sai, che tuo Padre fu un’eccellentissimo Dottore, e con molto decoro sostenne il lustro di sua Famiglia, tu hai ingegno eguale al suo per non dire maggiore; laonde tu puoi al paro di lui mantenere non solo, ma di avvantaggiare grandemente il decoro della tua casa. Che dici figlio? rispondi prestamente alla tua Genitrice, e palesali sinceramente il tuo pensiero; imperocchè io ti prometto, che tutto ciò, che dirai, sarà da me prontamente approvato.

Non ebbe così tosto finito di favellare l'amorosa Genitrice di Gregorio, quando subito senza alcuna dimora rispose con tutta risoluzione, che egli voleva essere Religioso Eremita di S. Agostino nel picciolo Conventino, o più tosto Eremitorio che era in quel tempo poco fuori della detta Terra, e che quanto alla propagazione, e conservazione della sua Famiglia, ciò poco importava, perocchè stimava egli meglio il procreare figli per il Cielo, che per la Terra; e che non vi mancavano altre Case in Verucchio di sua prosapia, che potevano mantenerla, e finalmente concluse, che questo era il suo ultimo sentimento, quale in verun conto non voleva preterire, tanto più che al suddetto stato si sentiva giorno, e notte da Dio a gran voce chiamare. Non più, figlio, disse allora Anna la Madre, già io sono abbastanza persuasa, anzi io sommamente godo dell’elezione, che hai fatta di essere Religioso, a segno tale, che anche io voglio fare lo stesso. Alle quali parole pianse per allegrezza il santo giovinetto, e doppo vari discorsi determinarono entrambi di prendere l'Abito Agostiniano, entrando egli nella Religione, et ella nella propria Casa in Abito di Tertiaria.

Fatta dunque, e stabilita fra di loro questa santa risolutione, si portarono entambi al luogo predetto dell’Ordine nostro, e palesato al Superiore il loro santo pensiero, coll’intenzione, che avevano di fondare altrove colle loro sostanze un più ampio Convento; non si puole con umana lingua bastevolmente spiegare quanta allegrezza provasse in quel punto il buon Priore per così lieta novella, quale essendo da esso stata partecipata a suoi Religiosi, com’anche essi gran consolazione ne sentirono, così a braccia aperte che di buona voglia consentirono alla santa proposta fattale da quella venerabile Matrona, e dal di lei santo Figlio, ricevendo questo nel Monistero coll’Abito di Novizio, e dando a quella l’Abito altresì di Monaca Terziaria, essendo ella in quel tempo d'anni 45, et egli di 15, correndo l'anno di Christo 1240.

Intanto poiché il nuovo Religioso faceva il suo Noviziato, i Padri attendevano anche essi ad ingrandire a spese del medesimo, e della di lui Madre così la Chiefa, come il Convento, a segno che terminato, che egli fu, si rese capace di potere albergare intorno a dodici Religiosi di stanza, avendo quella buona Signora insieme col figlio consegnate a quei Padri, nell'ingresso della Religione, tutte le loro facoltà. Terminato poi l'anno dell'Approbazione, come il Beato Giovinetto aveva dato in quel tempo un saggio soprabondante della sua futura santità, così tutti i Padri della Famiglia con gran contento, et applauso l’ammisero alla solenne professione, come anche lo stesso fecero della di lui Madre.

Fatto dunque che egli ebbe la solenne Professione, essendo stato da’ Superiori dell’Ordine esaminato nella sufficienza delle lettere, et avendolo conosciuto d’ingegno molto acuto, e perspicace , essendo molto ben istrutto nelle lettere umane, fu da essi applicato a studiare prima le scienze naturali, e poscia le sagre, nelle quali avendo fatto in poco tempo un meraviglioso profitto, fatto già Sacerdote, come lo conoscessero d’ottimo talento provisto per predicare a’ popoli la divina parola, a quell’apostolico officio lo destinarono, e ben presto si vidde, e si conobbe, che la loro determinazione era stata regolata, e guidata dallo Spirito Santo; atteso che non così tosto ebbe egli dato principio a quell’angelico ministero, quando si vidde una mutazione di costumi in quei popoli, che ebbero sorte dal Cielo di ascoltare le sue prediche, e perché in quella Diocesi di Rimini vi erano molti sceletati Eretici Ariani, che erano stati sovvertiti da quel malvagio Eresiarca chiamato Bonvillo, che ebbe già ardimento di somministrare il veleno al glorioso Taumaturgo dell’Ordine de’ Minori S. Antonio da Lisbona, detto però communemente di Padova; laonde, come con libertà christiana, e con fervore e zelo veramente Apostolico contro di quelli empi inveiva d'ogn'ora, li mossero pertanto contro una rabbiosa persecuzione. E perchè dall’altro canto ancora non cessava di riprendere senza alcun umano rispetto i vizi et i peccati de’ mali Christiani, e perchè anche tal’ora corregeva la poca osservanza d’alcuni Religiosi del suo Convento ,così gli uni, come gli altri li mossero un’aspra guerra, e tanto si adoprarono con false calunnie, et imposture appresso de’ Superiori, che lo fecero levare di stanza da quel Convento, quale egli colle sue facoltà aveva fabbricato, et arricchito. E ciò successe per appunto in tempo, che la di lui buona Genitrice in età d’anni 55 fu da nostro Signore, per mezzo di una morte molto esemplare, chiamata, come piamente si spera, all’eterno riposo del Cielo.

Gregorio intanto vedendosi privo dall'un de’ lati della sua buona, e benedetta Madre, e dall'altro travagliato, e perseguitato non solo dagli Eretici, e da mali Christiani, ma eziamdio, qual’altro S. Benedetto e S. Guglielmo, da suoi medesimi Confratelli, a’ quali aveva fatti così gran benefici, prese risoluzione di passarsene, con buona grazia de' Superiori alla volta di Roma, ove giunto, dopo aver sodisfatto al suo divoto talento, con visitare tutti i venerandi Santuarii di quella Santa Città, fu poscia da Superiori dell’Ordine di quelle Parti mandato di stanza, come certamente stimo, nel Convento, che fuori di Rieti, Città della Sabina, possedeva in quel tempo la Religione. Ma colà giunto, vi si trattenne per poco tempo, imperciocchè avendo inteso, che in un monte vicino chiamato Carnerio, (o pur Colombo, come vuole il Vadingo nel tomo primo de’ suoi Annali de’ Minori, forse per un fonte, che chiamavasi Colombo, che era sopra di quel monte, come espressamente dice l’Autore anonimo della leggenda del Beato Gregorio da noi più fopra mentovata) nel quale vi erano alcuni come Eremitorj, così dell’Ordine nostro, come anche in maggior numero dell’Ordine del Serafico P. S. Francesco; li venne pertanto un santo desiderio di ritirarsi in quei sagrofanti silitari Recessi, per potere a misura del suo gran spirito esercitarsi a tutta voglia sua nelle più aspre, e rigorose penitenze e mortificazioni, che fossero mai pratticate da più santi Eremiti della famosa Tebaida.

Quivi dunque passato colla dovuta licenza de’ suoi Maggiori, non così tosto vidde quei santi luoghi, che sopraffatto da una incredibile allegrezza, sollevando gli occhi al Cielo, con gran spirito disse col Re Profeta: haec requies mea in saeculum saeculi. Chi potrebbe ora narrare i suoi continuati digiuni quali per ordinario in pane, et acqua, le sue non mai quasi interrotte orazioni e di giorno e di notte; le rigorose discipline, colle quali continuamente tormentava la sua povera umanità, i duri cinti di ferro, con i quali macerava la sua carne innocente; le fatighe grandi, che faceva nell’andare predicando a rusticani Abitatori di quelle aspre e scoscese montagne, e mille altri esercizi spirituali e religiosi, ne’quali con indefessa fortezza continuamente s’impiegava, con tanta edificazione, et esempio così de’ suoi Religiosi, che con esso lui abitavano, come de Francescani vicini, e di tutti i popoli non pure de’ vicini contorni, ma eziamdio de’ lontani, da’ quali era in sommo grado stimato, così per la sua smisurata santità, come per i stupendi miracoli, che sovente il Signore Dio operava per i meriti del suo Beato Servo, a beneficio di quelli, che alle di lui fervorose orazioni raccommandavansi.

Avendo dunque il Beato Gregorio menata una vita così penitente, e così santa sì nella nostra Provincia di Romagna,come in quella dell’Umbria per il longhissimo spazio di 103 anni, che tanto appunto ne visse nella Religione, essendo già arrivato all’età di 118, volendolo oggimai Nostro Signore per tanti suoi meriti, e virtù, colla sua eterna gloria premiare, per mezzo di una febre nel suo povero letticciuolo lo distese; laonde conoscendo egli molto bene, essere giunta l’ora della sua felice partenza da questo Mondo al Cielo, dopo aver presi con incredibile divozione tutti i santi Sagramenti della Chiesa, chiamati a se gli altri suoi Coeremiti con profetico spirito li disse, che dopo la di lui morte, sarebbe ivi comparsa avanti il loro Romitorio una Mula indomita, che però li pregava, che dovettero porre il suo cadavere in una cassa con tutti gli arnesi suoi penitenziali, e poscia caricarne con quella la sudetta Mula; atteso che era volontà di Dio, che il suo corpo colle cose accennate fosse trasferito nella Chiesa del suo Convento di Verucchio, in cui aveva preso l’Abito della santa Religione. E ciò detto, aggravandosi maggiormente il male, alla per fine giunto all’estremo, come da Santo era vissuto, così da Santo se ne morì.

Passato, che fu alla gloria del Cielo il Beato Gregorio, ecco, che subito comparve la Mula indomita da esso lui predetta, per la qual cosa que’ buoni Religiosi lodando la divina Bontà, e magnificando la rara santità di quel gran Servo di Dio, finalmente, come esso pregati gli aveva, presero il di lui santo Corpo, e lo posero in una cassa insieme con un ferro ben largo e grosso, con cui andava cinto su la carne ignuda, et alcuni altri arnesi di penitenza, insieme con un compendio della sua santa vita, e poscia con quella ne caricarono la Mula, la quale come avesse portata la soma per molti anni, così tutta mansueta, e quieta si stette, e tostamente guidata, come certamente si crede, da un Angelo in apparenza d’Uomo, alla volta di Verucchio s’incaminò . Nota poi l'Autore Anonimo di sopra mentovato, che in qualsivoglia luogo per cui passava, subito tutte le campane di quel Paese, senza essere tirate da veruno, da per se stesse sonavano.

Giunta finalmente la veneranda salma a Verucchio, fermossi la Mula dirimpetto alla nostra Chiesa di S. Agostino, e subito così le campane di questa, come quelle di tutte l’altre Chiese cominciarono a sonare anche elleno da per se stesse, per la quale novità temendo i Terrazani di qualche disastroso accidente, grandemente si spaventarono, ma essendo stata scaricata la cassa, e trovatovi dentro il prezioso tesoro del glorioso loro compatriotta Gregorio, si cangiò ben tosto ogni loro spavento e timore in una smisurata allegrezza, giubilo e contento, il quale maggiormente si accrebbe, quando cominciarono a vedere molti grandi e stupendi miracoli, che il Signore operò per la di lui intercessione a beneficio di molti poveri languenti e bisognosi. E per tornare alla Mula, che portato l’aveva, egli è da sapersi, che non così tosto sgravata di quel sagro peso, che incontanente cadde in terra morta, ma volendo Iddio, che avendo portato il corpo di un Uomo così santo, avesse per l'avvenire portare pesi terreni e profani.

Dominava in questo tempo, che è lo stesso che dire, in quest'anno del 1343, in cui successe la morte del Beato Gregorio, non solo in questa Terra, che era la sua Patria, Galeotto Malatesta, ma eziamdio nella vicina Città di Rimini, quale alcuni anni prima, mentre ancor viveva il Sommo Pontefice Giovanni XXII, aveva occupata; il quale, come ebbe intese le maraviglie divine successe nella suddetta sua Terra, ha molto del verisimile, che colà subito si portasse, perochè dice l’Anonimo suddetto, che comandò, che nella nostra Chiesa fosse fabbricata una Cappella, nella quale fece dipingere l'Imagine della B. Vergine, et alla destra di lei quella di S. Nicola, et alla sinistra parimente l'Imagine del Beato Gregorio, e sotto le suddette Imagini fece ancora dipingere la Terra istessa di Verucchio coll’Arme de' Signori Malatesti; et indi poi appresso fatta formare un'arca grande di duro macigno, vi fece riporre il sagro Deposito con tutte le suddette attinenze, fra le quali v’era la vita di lui sopramentovata. Come in progresso di pochi anni operasse Iddio a gloria del suo Beato Servo molti miracoli, lo stesso Galeotto, per mezzo del suo Residente, che stava in Avignone, ottenne dal Sommo Pontefice Innocenzo VI, la grazia della Beatificazione del suddetto Servo di Dio per mezzo d'una sua Apostolica Bolla; e ciò successe, come dice l’Anonimo, nell'anno del Signore 1357. Questo Breve, o Bolla, soggiunge l'accenato Anonimo, per lunghissimo tratto di tempo si conservò insieme colla vita suddetta, ma poi da lungo tempo in qua, e l'una, e l'altra furono levate; non si sa poi da chi, nè mai più si sono potute ricuperare. Gli è ben vero però, che il suddetto Autore testifica d’avere inteso dire più volte da alcuni Uomini della detta Terra d’ogni eccezzione maggiori, e specialmente da un certo Pompilio Ferino, e da Ascanio Ranuccioli, che essi più volte avevano veduta cavare dalla detta arca la suddetta Bolla, e Vita, massime nel tempo che viveva Fr. Agostino Benzoni Religioso del sudetto Monistero, e Terra di Verucchio. Soggiunse poi in fine della detta leggenda, che ivi non registra i molti miracoli del Beato perché di già gli aveva narrati in un’altro suo trattato particolare, ma ne meno questo oggi d' si vede, solo conclude che anticamente non solo era chiamato questo gran Servo di Dio col nome di Beato, ma eziamdio quasi per ordinario con quello di Santo, e ciò dice d’avere egli trovato, e letto in alcune scritture antiche, che si conservavano nell’Archivio della detta Terra, et in particolare in un inventario del detto Convento, rogato per mano di Bartolomeo Branca con queste parole: Item super Altare Sancti Gregorii etc.

Oggi dì le di lui Ossa beate insieme col cinto di ferro più sopra mentovato tutta via si conservano ancora in parte nella medesima arca, eccettuato il Capo, il quale conservasi racchiuso in un bellissimo tabernacolo d’argento, che già fece fare colle limosine di quel popolo Maestro Fr. Leonardo Valentini da Cesena dottissimo Teologo (che fu Procuratore Generale dell’Ordine) mentre predicava in quella Terra l’anno del Signore 1640. Questo Capo poi in molte feste dell’anno si espone alla pubica adorazione, e specialmente nel giorno della sua festa, la quale si celebra nell'ultima Domenica di Maggio, in cui corre altresì la solennità della dedicazione della Chiesa di S. Agostino della detta Terra, se bene si dovrebbe celebrare alli 4 di Maggio, in cui successe la di lui beata morte, ma si trasporta all’accennata Domenica per cedere tutto quel giorno alla festa della Madre S. Monica.

Se bene non potiamo riferire i miracoli fatti da questo Beato così in vita, come dopo morte, sino alla perdita del libro della sua vita, e di altre memorie, che si conservavano nell'arca suddetta; nulladimeno non si è potuta perdere la memoria di un miracolo, che si può chiamare perpetuo, perché Nostro Signore si compiace per sua misericordia di far ogni qual volta ne ha necessità il Popolo di Verucchio per i meriti del suo Beato Servo Gregorio, et è per appunto questo: che quando il loro Territorio patisce gran siccità, basta che divotamente si raccomandano al detto Beato, e che facciano portare il sopradetto Capo in processione da nostri Padri, quando subito ottengono dal Cielo la bramata pioggia.