VIII
L'Ordine dal XIV al XIX secolo.
Il distacco dall'unione da parte delle comunità eremitiche italiane dei Guglielmiti e lo sviluppo della propria Costituzione, posero fine al periodo storicamente più importante della storia dell'Ordine. Nei secoli fino alla sua caduta esso visse all'ombra degli avvenimenti storici, senza venire più incluso nei piani dei vertici ecclesiastici, e senza più influenzare il corso della storia della Chiesa. Con l'uscita dalla Grande Unione del 1256, i suoi membri avevano rinunciato ad un'attività efficace verso l'esterno quale quella manifestata dall'Ordine degli Eremiti Agostiniani a partire dal XIII secolo. Scienza, cura d'anime e attività politica al servizio della Curia, di cui l'ordine eremitico di un tempo si era reso benemerito, rimasero per loro compiti di importanza secondaria. Invece di ciò, essi si concentrarono sull'adempimento di obblighi specificamente monastici quali quelli definiti dai concetti di "oratio, contemplatio" e "caritas". La vita dell'Ordine, determinata da tali esigenze, si realizzava naturalmente ai margini della vita pubblica, il suo vero luogo erano il coro ed il convento. A partire dal XIV secolo, quindi, la vita dell'ordine fu la vita dei numerosi singoli conventi. Mentre questi guadagnarono in autonomia, l'ordine in sè come tutt'uno perdette sempre più importanza. Questa tendenza immanente al suo carattere venne favorita ulteriormente dal fatto che la guida dell'Ordine soltanto raramente tentò di determinare la storia dell'Ordine e di contrastare la crescente autonomia dei conventi. Nel XV secolo, come è già stato detto, si infranse l'unità dell'Ordine. Da quel momento non ci fu più una sede centrale dell'Ordine che avrebbe potuto portare le singole case ad un agire comune. Al suo posto subentrarono i superiori provinciali, che cercarono faticosamente di evitare che l'autonomia dei singoli conventi si risolvesse in un completo distacco dall'Ordine o addirittura in anarchia. In tali circostanze la storia dell'ordine mancò di unitarietà; dalla fine del XIV secolo in poi essa non è altro che la storia dei singoli conventi. E' impossibile ed inutile seguirla dettagliatamente. Per quanto riguarda ciò che segue, quindi, non può che trattarsi di ripercorrere la generale tendenza evolutiva dei conventi fino alla loro decadenza, e di descrivere la loro attività ed i suoi effetti, il declino ed i tentativi di riforma.
1. ATTIVITA' E CONSEGUENZE
L'occupazione fondamentale dei Guglielmiti, ossia la preghiera, si realizzava nel ritmo fisso delle ore canoniche. Per amor suo, "ad officia divina celebranda", era stata fondata nel XIII secolo la maggior parte dei conventi, e la sua attuazione regolata rappresentò, come insegnano gli statuti del capitolo provinciale e di quello generale, il segno più sicuro per la disciplina e per l'Ordine interno della vita conventuale. Proprio laddove non si sapeva più nulla dell'attività dei Guglielmiti, anche dopo la soppressione dei conventi, perdurò nella leggendaria tradizione la forte impressione esercitata sulla popolazione vicina da parte della preghiera dei monaci, praticata giorno e notte con puntualità e continuità. La preghiera corale e la liturgia che venivano regolate secondo le disposizioni precise del "Liber ordinarius", non determinavano solamente la vita interna del convento, ma rappresentavano anche una delle più importanti funzioni sociali dell'Ordine. Aristocrazia, borghesia e contadini si attendevano dai membri dell'Ordine preghiere per sè ed intercessioni per i loro defunti, ed erano pronti a contribuire alla sicurezza materiale dei membri dell'Ordine, come denotano le numerose donazioni in memoria, gli anniversari, i libri funebri e le comunità di preghiera. Contemplazione e meditazione, che sono strettamente legate al concetto di Ordine eremitico, si sottraggono ancor più della preghiera all'accertabilità. Ad esse manca la forma istituzionale che la preghiera ha trovato nel "Divinum officium", e la precisa tradizione documentale mediante la quale i numerosi obblighi di preghiera dei singoli conventi sono giunti a noi. Il dato della vita contemplativa è tuttavia garantito abbastanza spesso. La Chiesa stessa, dalla fine del XIII secolo celebra ripetutamente questa caratteristica dell'Ordine e cerca, come risulta dalla bolla "Sicut ex tua" di Onorio IV, di assicurarla mediante i suoi privilegi "commodum pacis et quietie solacium" quali fondamenta della vita contemplativa - l'esistenza contemplativa dei Guglielmiti non ha tuttavia sortito effetti tangibili dal punto di vista storico. Esiste a malapena un commento che consenta di parlare in modo preciso e specifico della maniera in cui si realizzava presso di loro la forma più introversa della vita religiosa. Nelle loro biblioteche il numero di scritti ascetico-omiletici non era ridotto, se si considerano i resti ed i cataloghi conservati. Si andava dalla classica letteratura dei Padri agli scritti dei mistici tedeschi, fino alle opere di Gherardo di Zutphen e di Tommaso di Kempen. Non sembra tuttavia che essi siano riusciti ad arricchire la letteratura mistico-ascetica anche soltanto di un'unica opera. Secondo un'antica tradizione monastica, accanto alla preghiera ed alla contemplazione, i membri dell'Ordine si dedicavano alle opere della "Caritas", soprattutto alla cura dei malati ed all'alloggiamento di pellegrini e senzatetto. Entrambe le attività, il cui legame con l'anacoretismo è caratteristico della spiritualità apostolica del XII e del XIII secolo, venivano già esercitate nel primo periodo dell'Ordine. Già Guglielmo stesso aveva edificato in Toscana un ricovero (HOSPITAL)"ad Dei venerationem et pauperum Christi refectionem". Seguendo il suo esempio, i Guglielmiti nel XIII e nel XIV secolo presero (su di sè) degli ospizi, fra i quali quelli situati a Weissensee, Villers-en-Chouchie, Walincourt, Elsne, Avroy e Beveren, ed asili nei quali viaggiatori e pellegrini potevano cercare riparo, come accadde a Bernardfagne, dove nel 1248 i Guglielmiti portarono avanti l'opera intrapresa dall'eremita Wericus a metà del XII secolo. Il culto mariano, tipico per i Guglielmiti così come per i Cistercensi, e che risale al fondatore ed emerge dai nomi dei suoi conventi, dal calendario delle feste e dagli emblemi dei sigilli, favorì questo tipo di ospitalità, dal momento che presto molte chiese dell'Ordine divennero luoghi di pellegrinaggio di importanza regionale, e che l'alloggiamento e la cura delle anime dei pellegrini nei conventi visitati più frequentemente, come ad esempio a Marienthal, Muehlbach, Bernardfagne e Louvergny, divennero quasi il compito principale dei monaci. L'alloggiamento di viaggiatori e senzatetto, però, nel corso del secolo diminuì. Lo sviluppo delle città e la sicurezza delle strade posero fine, in generale, al sistema di senodochii ed all'attività sociale dei Guglielmiti. Poveri e girovaghi innanzitutto cercavano ancora asilo da loro ed erano ospiti, questi, solo raramente benvenuti. Infine si rinunciò ad assistere simili "vreemder travanten end brootbidders" [vagabondi, forestieri e affamati] che durante il giorno dimoravano nel ricovero, ma verso sera andavano a zonzo per le osterie, come risulta drasticamente da un documento del convento di Beveren. Al contrario venivano accolte nella comunità persone più anziane, per lo più abbienti, alle quali venivano garantiti vitto ed alloggio in cambio di determinate prestazioni. Essi si assoggettavano al controllo del priore e costituivano una parte della comunità conventuale. Questo "sistema di commensali", comune anche nel più antico monachesimo, consentiva in alcuni casi all'Ordine, chiuso rispetto al mondo, un accesso alla vita letteraria ed artistica che altrimenti gli sarebbe rimasto precluso. I Guglielmiti di Liegi si gloriarono così di aver ospitato il celebre Sir John Manderville, che viaggiava per il mondo, dal 1343 alla sua morte, avvenuta il 17 novembre 1372, e di averlo sepolto nella loro chiesa. La fama diffusa ampiamente in Europa di questo uomo d'avventura e scrittore fecero della sua tomba nella chiesa guglielmita e degli oggetti da lui lasciati in eredità - fra cui una maglia della catena di S. Guglielmo - curiosità generalmente visitate ed ammirate. I Guglielmiti di Beveren accolsero nel 1684 il pittore Adriaan de Munck, il quale, in cambio di vitto ed alloggio, rappresentò su numerose tavole la leggenda di S. Guglielmo. Ad un simile accordo i confratelli di Aalst dovettero i dipinti dell'altar maggiore al pittore storico e ritrattista Pieter Thys (1624-77), discepolo di van Dyck. L'attività pastorale alla quale la Curia aveva voluto inutilmente ottenere l'adesione dei Guglielmiti attorno alla metà del XIII secolo, giocò più tardi solamente un ruolo secondario, sebbene il privilegio di poter predicare e raccogliere confessioni su richiesta e con l'approvazione del clero - privilegio garantito da Innocenzo IV nel 1250 - fosse stato a più riprese ampliato nel corso del XIII e del XIV secolo. Nel 1295 Bonifacio VIII aveva così consentito di far esercitare l'attività pastorale parrocchiale nelle chiese cedute all'Ordine, dopo che a partire dalla metà del XIII secolo era stato loro permesso di accettare patronati ecclesiastici e le entrate ad essi collegate. Nonostante l'estensione del diritto di cura di anime grazie a Clemente IV, che consentì l'assoluzione in tutti i casi non riservati al pontefice, la "cura animorum" dei Guglielmiti rimase fondamentalmente costante attività pastorale direttamente nell'ambito del convento oppure nelle parrocchie incorporate al convento. A tale proposito si trattava soprattutto di spiccata attività pastorale locale. Laddove i Guglielmiti si insediavano nelle vicinanze delle città, il che accadde alla fine del XIII secolo per quanto riguarda alcuni conventi di nuova edificazione o trasferiti, si adattavano pacificamente al sistema parrocchiale esistente, come emerge da numerosi contratti fra i Guglielmiti ed il clero parrocchiale secolare. Laddove, come ad esempio in Alsazia, si giunse, nel XIII e nel XIV secolo, a contrasti fra i Mendicanti ed il clero secolare a causa dell'attività pastorale, i Guglielmiti si ritirarono disposti a venire ad un compromesso allo scopo di lasciare soltanto agli Ordini mendicanti la lotta. La cura delle anime era per loro veramente meno importante che per i frati mendicanti, che qui ravvisavano il loro vero campo d'azione. Del modo di vivere monastico-contemplativo dei Guglielmiti era caratteristico il fatto che preferissero forme di attività pastorale indiretta: non esisteva quasi convento che non legasse a sè una confraternita e che in questa maniera non chiamasse a sè i credenti, anzichè andar loro dietro. In molti luoghi, ad esempio a Strasburgo, Klingnau, Limburg, Nivelles ed Aalst, i Guglielmiti si prendevano cura sempre indirettamente anche di beghine e monache di clausura, senza tuttavia che dalle comunità femminili soggette alla loro protezione si fosse sviluppato un secondo Ordine, come ad esempio era accaduto per i Cistercensi ed i Francescani. Lo studio universitario in genere strettamente collegato all'attività pastorale, non è stato assolutamente trascurato nell'Ordine guglielmita, tuttavia non è stato in alcun modo promosso sistematicamente, sebbene si fosse coscienti del fatto che ciò fosse necessario "propter bonum commune et honorem dei et Ordinis augmentandum". L'Ordine, al quale Innocenzo IV nel 1250 disse che possedeva il "donum scientiae", aveva in sè i presupposti favorevoli alla costruzione di un sistema accademico di studi. Già poco dopo l'insediamento a Montrouge, alcuni dei suoi membri studiarono presso la facoltà di teologia dell'Università di Parigi. Al fine di facilitare lo studio a questi componenti dell'Ordine, il 18 luglio 1297 Bonifacio VIII trasferì all'Ordine il convento dei Serviti situato in Rue des Parchemins. Si trovava nelle vicinanze del Temple, e solamente a poche centinaia di metri dalle lezioni e dalle case di studio sull'altra riva della Senna. Ai "fratres studentes in theologica facultate" veniva così risparmiato il grande tragitto fra Montrouge, oggi situato nella periferia (Banlieue), ed il centro della città, secondo l'espresso desiderio del pontefice. Per offrire un'ulteriore facilitazione, nel 1334 il re Filippo IV consentì di aprire un passaggio attraverso le mura delle città situate vicino alla parte posteriore del convento, cosicchè la strada più lunga, attraverso la porta di S. Babette, divenne superflua e divenne possibile percorrere la via più corta per il Quartiere Latino. Queste premesse, in sè favorevoli, non diedero vita, come invece il Papa si era aspettato, ad alcuna vita di scienza e di studio. Al contrario, sebbene la vita religiosa, secondo il parere del re Filippo, non meritasse alcun biasimo, e la provincia francese facesse grandi sforzi per garantire materialmente gli studi, nel 1340, ad uno degli ultimi capitoli generali a S. Guglielmo a Malavalle, ci si dovette lamentare del fatto che lo studio della teologia a Parigi fosse "damnose et irreligiose neglectum". Contemporaneamente si tentò di porre rimedio a ciò. In base a direttive della Curia, il capitolo generale decise di porre mano alla riforma della loro casa di Parigi. Tali sforzi mostrarono nella seconda metà del XIV secolo un certo successo. Si riuscì a superare, anche se per poco tempo, la decadenza in cui versava il convento. Oltre al priore generale Simone, resosi benemerito della riforma dell'intero Ordine, la figura trainante fu il priore Giovanni, il compagno proveniente da Parigi (morto nel 1403). Egli aveva i presupposti favorevoli, era "magister" di teologia, provinciale della provincia francese, ed era probabilmente l'unico membro dell'Ordine a possedere la dignità di vescovo. Egli potè così mobilitare le forze dell'Ordine e guadagnare, attraverso la sua influenza, l'appoggio della corona e dell'episcopato all'obbedienza avignonese, al fine di porre il suo convento su una solida base dal punto di vista materiale. Egli riuscì, tra l'altro, a portare a termine la costruzione della chiesa conventuale intrapresa nel 1253 dai Serviti con l'aiuto di Luigi il Santo. Il 31 ottobre 1397 potè egli stesso consacrare la nuova costruzione in presenza del sovrano ed assistito dai vescovi di Auxerre, Chartres e Chalons. Alla sicurezza materiale della casa, emersa dal completamento dell'edificazione della chiesa, corrispose una certa fioritura della vita spirituale di cui Giovanni di Genossia stesso, che appartiene ai pochi "magistri" dell'Ordine, dà testimonianza. Tale fioritura, tuttavia, non comportò in alcun modo che il convento parigino dei Serviti (WEISSMAENTEL = mantelli bianchi) giocasse un ruolo paragonabile a quello dei celebri studi generali degli Ordini mendicanti, o che rivelasse teologi di grande valore. Dopo la morte del priore Giovanni, la vivacità spirituale dei Guglielmiti diminuì sempre più. E' vero che come associazione studentesca essi rimasero, fino alla loro soppressione nel 1618, membri dell'università, tuttavia non risulta praticamente nulla di una partecipazione creativa alla vita spirituale di questa. La situazione degli eremiti di Parigi era, con alcune sfumature, caratteristica anche dei rimanenti conventi dell'Ordine. Nel XV e nel XVI secolo si trovano nei registri di immatricolazione delle università di Friburgo, di Colonia, di Erfurt e di Loewen i nomi di numerosi eremiti provenienti da conventi tedeschi ed olandesi per i quali, tuttavia, vale quanto già detto per i loro confratelli studenti a Parigi. Il dedicarsi alle scienze non andò oltre lo studio passivo. Da nessuna parte è possibile accertare (l'esistenza di) "magistri" insegnanti di prestigio o addirittura rappresentanti di una propria dottrina teologica. Al contrario, i Guglielmiti che studiavano a Colonia dovettero lasciarsi deridere nelle "Epistolae obscurorum virorum" a causa delle loro scarse capacità scientifiche. I conventi diedero, per quanto riguarda i loro giovani professi, soltanto uno scarso impulso ad un'attività di studio realmente intensiva. Laddove non si trascurò assolutamente l'attività spirituale, sembra che in linea di principio essa sia stata svolta in maniera tutt'altro che erudita. Nonostante tutte le esigenze programmatiche di intensivizzazione dello studio teologico, si ritenne, come mostrano i resti delle loro biblioteche, l'acquisto e la lettura della letteratura ascetico-contemplativa più sensate delle summe e dei trattati colti di teologia - e men che meno se ne favorì la formulazione. L'eredità delle origini eremitiche, la tendenza alla contemplazione ed alla propria autoformazione religiosa, anche per quanto riguarda i Guglielmiti, come per altri Ordini meditativi, è possibile abbiano suscitato un'avversione, spesso più istintiva che cosciente, nei confronti dell'erudizione e della formazione razionale, ed aver determinato una maggiore stima per la "sapientia" acquisita in altri modi. L'impressione prevalente di un atteggiamento poco scientifico dei Guglielmiti viene certamente corretta dal fatto che, nel XVI secolo, in alcuni conventi si sviluppò una vivace attività spirituale che tuttavia scaturiva significativamente da propositi più pedagogici che scientifico-teologici. Soprattutto nei Paesi Bassi ed in Alsazia, dalla fine del XV secolo e sotto la spinta dell'umanesimo e della "Devotio moderna" ci si dedicò con maggior energia rispetto ad un tempo allo studio ed all'insegnamento del latino, del greco e dell'ebraico. L'aristocrazia e la borghesia, i cui figli frequentavano le scuole dell'Ordine (aperte anche all'esterno), seppero apprezzare queste aspirazioni fino a quando nell'Impero Germanico la Riforma non pose fine ad esse, e nei Paesi Bassi esse non furono soppiantate, nel XVI e nel XVII secolo, dai collegi dei Gesuiti e dai loro nuovi metodi d'insegnamento. Fra i conventi olandesi i cui professi, nel XV e nel XVI secolo, furono in parte istruiti presso le scuole dei frati (FRATERHERRENSCHULEN) di Deventer, Emmerich e Wesel, godevano di particolare considerazione soprattutto i conventi di Baseldonck e di Aalst a causa delle capacità filologico-pedagogiche dei loro conventuali. Nel XVI e nel XVII secolo emersero da essi alcuni uomini che, grazie ai loro studi storici e filologici, meritarono di essere assimilati ai "Viri illustres" dell'Ordine, il che evidentemente non significa che i loro nomi siano sopravvissuti nel tempo anche al di fuori dell'Ordine. Il più celebre membro del convento di Baseldonck fu l'amico di Macrobio, Simone Pelgrom (circa 1507-72), famoso ai suoi tempi. Terminato il periodo scolastico presso i "Frati della vita comunitaria" a 's-Hertogenbosch, egli entrò ben presto nell'Ordine guglielmita: nel 1539 fu eletto priore del convento di Baseldonck, e nel 1557 superiore della provincia francese dell'Ordine. In entrambe le cariche egli acquistò grandi meriti. Si dedicò alla ricostruzione del convento trasferito nel 1542 a 's-Hertogenbosch, e con maggior energia si dedicò alla riforma dei conventi della sua provincia religiosa, cosicchè lo si potè definire "reformator Ordinis". Egli si fece tuttavia un nome non - come già anticipato - come superiore dell'Ordine, bensì come filologo e storico. Ancor prima della sua elezione a priore, scrisse un libro di testo in latino molto usato nelle scuole del XVI e del XVII secolo, dal titolo "Synonymorum silvae in usum eorum, qui compositioni student epistolarum" e poco dopo la "Descriptio originis urbis silvae ducensis", tradotta in olandese dal suo confratello Giacomo van Oudenhoven (morto nel 1690) nel 1629. Il suo traduttore, anch'egli appartenente in origine al convento di Baseldonck, non fu inferiore a Pelgrom nè per capacità nè per interesse storico. L'Ordine potè tuttavia gloriarsi di meriti simili a quelli acquisiti da Pelgrom con la storiografia del Brabante, solamente con sentimenti contrastanti. All'inizio del XVII secolo Giovanni van Oudenhoven aveva rinnegato il suo credo e nel 1626, dopo studi teologici all'università di Leiden, era stato ordinato predicatore riformatore ad Aalburg. Pietro von den Bosche (1561-1640), un contemporaneo più anziano di Oudenhouvens, si guadagnò una certa stima attraverso i suoi studi sulla storia dell'Ordine. Egli proveniva da Aalst e dopo gli studi (universitari) a Loewen, entrò nel convento guglielmita della sua città natale, del quale fu eletto priore nel 1626. Con le sue opere sulla storia dell'Ordine, su uno scritto sulle origini dell'Ordine andato perduto e con la biografia di S. Guglielmo, pubblicata nel 1626, egli portò avanti l'attività letteraria che nel convento di Aalst, già nel primo quarto del XVI secolo, aveva raggiunto il suo culmine. A quel tempo, presso la scuola la cui esistenza è documentata già nel XV secolo, insegnò una serie di membri dell'Ordine i quali, con la loro formazione letteraria, seppero creare un'atmosfera che non solo fece progredire il sapere e l'insegnamento, ma portò anche alcuni rappresentanti del primo umanesimo olandese a ricorrere all'ospitalità dei Guglielmina aperti ai loro interessi. Fra questi ci fu il tipografo Dir Martens, probabilmente già educato alla loro scuola, "d'erste letterdruckere van Duitschlant, Vrankereyke ende dese Nederlande" [= il primo tipografo di Germania, Francia e Paesi Bassi], come egli fu definito sulla sua lapide originaria. Il colto tipografo, che aveva infatti fra i primi reso famosa nei Paesi Bassi la stampa di libri, e che dall'ultimo quarto del XV secolo, prima a Loewen poi ad Antwerpen, aveva stampato fra gli altri numerosi scritti di Erasmo, dal 1529 al 1534 trascorse gli ultimi anni della sua vita nel convento dei Guglielmiti. Egli lasciò loro in eredità non soltanto una parte delle sue stampe invendute, ma anche lo stimolo a dedicarsi come i FRATERHERREN alla stampa di libri ed alla tipografia. Già prima che Martens fissasse il proprio domicilio presso i Guglielmiti, uno dei primi umanisti di Antwepen, Cornelius de Schrijver (1482-1558), amico di Erasmo e divenuto famoso con lo pseudonimo di Graphaeus, prese parte "velut socius charusque sodalis" agli studi e ai dialoghi dei Guglielmiti colti. In un "Carmen" al patrono dell'Ordine, il "Maso Alustensis", cita le ragioni del suo attaccamento al convento di Aalst. Egli loda la disciplina conventuale, generalmente riconosciuta, della casa, la quale fa presumere la severità ascetica delle origini, ed il fervore degli studi che non si limitarono alla lingua latina, ma si dedicarono anche alle "fontes salubres" del greco. Il vero stimolo, la "dulcedo" e "voluptas", consistevano per Graphaeus, autore di poesia bucolica, nella serenità di questo contesto che aveva le proprie radici non in un'attitudine letteraria, bensì nella contemplazione spirituale dei monaci. L' "Encomium" di Cornelius Graphaeus ha un valore particolare, in quanto opera di un uomo che percepì le debolezze della Chiesa e della vita dell'Ordine, e che nel 1520, nella prefazione agli scritti di Jan Pupper van Goch, non ebbe timore di accusare l'Ordine di aver sbarrato più che aperto il cammino verso Dio. Le simpatie di Cornelius Graphaeus, che, a causa della sua aperta critica, attirò su di sè il rimprovero per eresia e venne costretto nel 1522 alla ritrattazione, non rimasero senza ripercussioni; esse furono a tal punto condivise da suo fratello Jan, che questi entrò nel 1543 nell'Ordine e da allora visse come conventuale ad Aalst. Jan, che, come suo fratello, fu influenzato da Erasmo, aveva fino ad allora stampato ad Antwerpen soprattutto opere di scienze naturali. Egli possedeva buone conoscenze del greco e dell'ebraico, che dopo il suo ingresso tornarono molto utili alla vita culturale del convento. Come il suo collega di corporazione Dirk Martens, egli lasciò in eredità al convento, in base agli statuti dell'Ordine, la sua biblioteca ed i suoi manoscritti latini e greci. La biblioteca del convento, sviluppatasi in questo modo, come quasi tutte le altre testimonianze della vita spirituale dei Guglielmiti di Aalst, subì danni allorquando il convento divenne preda delle fiamme durante le guerre di religione. Anche i resti ed i beni in seguito nuovamente acquisiti possono però dare un'idea degli interessi e dell'erudizione dei monaci. Oltre a classici come Naevius, Terenzio, Cicerone e Seneca, essi conservavano le opere di importanti umanisti come Petrarca ed Erasmo. In Alsazia, dove il convento di Strasburgo aveva una fama simile a quella di Baseldonck ed Aalst, i Guglielmiti trovarono in Giacomo Wimpfeling un amico ed un sostenitore particolare. Già da giovane aveva difeso a Friburgo la maggiore antichità dell'Ordine guglielmita dagli attacchi degli Eremiti Agostiniani, impegolandosi in tal modo in una controversia che più tardi coinvolse numerosi contemporanei eruditi fino a quando non fu infine portata di fronte all'imperatore ed al Papa. Wimpfeling teneva in gran conto i conventi dei Guglielmiti a Friburgo e a Strasburgo, dove in seguito soggiornò spesso, cosicchè al suo seguace J. Sturm, nel 1505, nell'opera "De Integritate", egli credette di poter raccomandare, fra i numerosi Ordini stabilitisi a Strasburgo, accanto ai Certosini ed ai Gerosolimitani (JOHANNITER), soltanto i Guglielmiti. Qui, nel silenzio e nella solitudine degli eremi ricondotti nel XV secolo alla rigida Osservanza, egli poteva aver colto qualcosa della dolcezza della vita eremitica che egli stesso, anche se per motivi diversi da quelli che avevano spinto gli eremiti dell'XI e del XII secolo, aveva voluto intraprendere nella Foresta Nera. Wimpfeling ravvisava nella condotta di vita dei Guglielmiti tratti della vera "vita monastica", la cui degenerazione ad ignoranza, arroganza ed abbandono morale egli attaccò con durezza ed eloquenza instancabile. L'alta stima di Wimpfeling, attraverso la quale è possibile gettare una luce sugli albori della storia dei Guglielmiti, venne confermata dai suoi contemporanei Geiler von Kaysersberg, Girolamo Gebweiler e Martino Butzer, i quali lodarono e stimarono il "modus vivendi", la pace e la tranquillità della vita dei Guglielmiti e la sua "quietum et pulchrum eremitotium". Come questo quadro d'insieme denota, l'attività pastorale, lo studio, il ricovero e la cura dei malati ebbero un'importanza effimera per la spiritualità dei Guglielmiti. Essi dovettero passare in seconda linea di fronte alle esigenze per le quali l'origine e la denominazione dell'Ordine erano un programma: rinuncia, isolamento, preghiera e meditazione. Nonostante tutti gli indebolimenti e le concessioni, rimasero questi i veri compiti ed i tratti caratteristici più importanti dell'Ordine. Nella povertà della condotta di vita continuò a vivere la severa ascesi delle origini, nel silenzio, il "Desertum", nell'immutato esercizio del "Divinum Officium" la preghiera e la meditazione. Le grandi esigenze di questo ideale religioso trovarono ammirazione e comprensione laddove esse vennero realmente attuate, laddove invece la condotta di vita si allontanò molto da esse, lo scandalo e le critiche, proprio per la grandezza dell'ideale, furono ancora più intensi. Non deve perciò meravigliare il fatto che i sintomi della decadenza, del crollo e del disfacimento siano più chiari delle tracce della vita quodidiana dell'Ordine, più o meno consapevole del proprio dovere.
2. IL DECLINO
Nella loro lunga storia, i Guglielmiti poterono veramente vivere la loro vita religiosa sulla base delle disposizioni della Costituzione approvata nel 1271 soltanto per pochi decenni. Già all'inizio del XIV secolo si affievolì, come in altri Ordini religiosi, la vita spirituale ancora celebrata dai Papi alla fine del XIII secolo - e contemporaneamente ebbe inizio la dissoluzione della Costituzione "esterna" appena fissata. La disciplina e l'ordinamento dei conventi perdettero in tale misura in vincolatività, che i capitoli dell'Ordine fra il 1271 ed il 1340, si videro ripetutamente costretti ad esigere per ogni convento l'edificazione di un carcere ed a comminare pene draconiane contro le condotte maggiormente criminali. L'affievolimento della "essenza" interiore non si manifestò solamente in tali sintomi grossolani. Altrettanto significative erano le insistenze dei monaci allo scopo di ottenere un alleggerimento della rigida condotta di vita, insistenze alle quali Clemente IV andò incontro allentando gli obblighi del cibo e del digiuno, e garantendo una facilitazione nei rapporti con il mondo esterno. Questa tendenza, che certamente il Papa benedettino promosse soltanto senza volerlo, non potè arrestarla neppure il priore generale Simone, energico e desideroso di riforme. Sebbene nell'ambito del capitolo generale del 1340 egli avesse tentato di metter da parte le tensioni interne e con il medesimo fervore i segni delle indisciplinatezze monastiche, non potè fare a meno, come il Papa, di fare concessioni alle province d'oltralpe: d'accordo con il capitolo generale, egli dovette permettere ai "Fratres de Francia et Alemania" di mangiare al di fuori dei loro conventi senza osservare le prescrizioni altrimenti vigenti. La richiesta del priore generale di "inhaerere vestigiis patrum antiquorum" potè avere qua e là, come ad esempio a Parigi, effetti vivificatori che tuttavia, per quanto riguarda la questione dell'Ordine e della disciplina monastica, non portarono al ripristino della semplicità ascetica e della concordia fraterna; al contrario, la disciplina dell'Ordine venne ulteriormente alleggerita mediante dispense, l'unità dell'Ordine venne alcuni anni più tardi interamente compromessa. Ciò non impedì che a questo primo tentativo di riforma non seguissero sforzi simili. Nel XV secolo, periodo della generale riforma della chiesa e dell'Ordine, in numerosi conventi si operò per il rinnovamento dell'antica Osservanza. A ciò diede inizio, come per altri Ordini, il Concilio di Basilea. Il concilio, al quale i Guglielmiti erano rappresentati da un "magister Goffridus", dopo aver confermato il 2 settembre 1435 i privilegi e la proprietà dell'Ordine e dei suoi conventi tedeschi, francesi ed italiani, ordinò un mese più tardi ai cardinali legati di conferire al "Generalis Ordinis S. Guillermi in Alamania" gli stessi pieni poteri di riforma dell'Ordine conferiti ai prelati dei Benedettini e dei canonici regolari. Il 26 settembre 1437 i padri conciliari incaricarono tre priori dell'Ordine, fra cui Enrico Bischof, priore di Burlo, della riforma dei conventi guglielmiti delle diocesi di Colonia e Cambrai, di gran parte, quindi, delle case della provincia francese. Già nel 1434 Enrico Bischof aveva cercato, con l'appoggio del priore di Windesheim e del vicario foraneo di S. Ludgeri di Muenster, ed in contrasto con i suoi confratelli, di riformare il convento a lui soggetto; non aveva avuto successo, ma ciò non impedì al Concilio di affidargli il compito di riforma entro limiti più ampi. Nel medesimo anno il priore provinciale della provincia tedesca, (il) priore di Strasburgo Giovanni Wahsmann, venne ancora una volta incaricato della riforma della provincia a lui soggetta. Al suo fianco il Concilio pose come collaboratori e consiglieri Giovanni Rode, il celebre abate riformatore di S. Mattia a Treviri, ed Alberto, priore della certosa di Christgarten nei pressi di Noerdlingen. L'effetto della riforma animata dal Concilio di Basilea non fu grandissimo. Nel decennio successivo al Concilio vennero quasi ovunque prese delle misure al fine di migliorare la situazione interna ed esterna dei conventi. Nonostante l'appoggio proveniente da Bursfelde, Treviri e Windesheim, non si giunse però ad un generale rinnovamento dell'Ordine, e della sua vita religiosa, come quello vissuto dall'Ordine benedettino nelle sue congregazioni di riforma. Presto si ristabilì in numerose case riformate l'antica situazione. Così, ad esempio, il priore di Graefinthal, destituito a causa del suo cambiamento di vita, tornò dopo poco tempo ad esercitare la sua carica. Ad Aalst il priore Joost Vanderhagen, che nel 1447 aveva chiesto a Roma direttive per una riforma del suo convento, incontrò la resistenza di quasi tutte le case belghe: nel 1448 fu eletto ad Aalst un nuovo priore. Simile era la situazione a Burlo. Il priore incaricato dal Concilio della riforma dei conventi situati nelle diocesi di Colonia e Cambrai dovette capitolare, per quanto riguarda la riforma della sua stessa casa, di fronte alle resistenze dei conventuali. Appoggiato dal vescovo di Muenster, il convento, già alcuni anni dopo il Concilio di Basilea, si diede da fare, con successo, per essere accolto nell'Ordine cistercense. L'iniziativa, finalizzata alle aspirazioni di riforma che abbracciarono tutto il XV secolo, scaturiva, come possono mostrare alcuni esempi, non soltanto dal Concilio, ma anche dalla Curia e dai suoi legati, da membri dell'ordine desiderosi di riforma, da signori ed autorità cittadine. Già nel 1451/52 Nicola di Cues, nel corso dei suoi grandi viaggi di legazione, cercò di riformare i Guglielmiti olandesi attraverso i priori delle certose di Heerne e Dueren, proposito, questo, al quale egli fu probabilmente condotto dal suo accompagnatore, Dionigi il Certosino. Cinquant'anni dopo, il 10 novembre 1502, il legato papale Raimondo di Gurk, su richiesta del langravio Guglielmo II d'Assia, incaricò gli abati benedettini di Bursfelde e Breitenau della riforma del convento di Witzenhausen, che già a metà del secolo era andato in rovina. A tale proposito essi dovettero attirare membri dell'Ordine già riformati e garantire al convento, nella positiva evoluzione dei loro sforzi, le stesse libertà e gli stessi privilegi che già competevano agli altri Guglielmiti dell'Osservanza. Il legato revocò espressamente gli statuti ed i privilegi emanati in generale o in particolare per i Guglielmiti dai Papi Paolo II e Sisto IV. Quasi contemporaneamente, il 4 luglio 1499, il duca Guglielmo di Weimar chiamò in aiuto il vicario dell'Ordine e priore di Wasungen Enrico Udonis, in relazione alla riforma del convento di Orlamuende, dopo che i suoi tentativi di riforma, intrapresi nel 1494 con l'appoggio del parroco di Kahla e del consiglio cittadino di Orlamuende, erano falliti. Già il suo predecessore, il duca Guglielmo III, in base alla dispensa dall'ordinamento regionale del 1460, nel quale i ceti della Turingia avevano deciso una riforma generale dei conventi, aveva insistito più volte per il rispetto dell'Osservanza nei conventi guglielmiti del suo territorio. Egli si appoggiò ai gruppi già ricondotti a quel tempo all'Osservanza, quando nel 1465 egli incaricò il vicario dell'ordine Matteo Wolf, priore di Sinnerhausen, della riforma di Orlamuende. I riformatori, particolarmente attivi in Turingia, sembra non abbiano esitato a sollecitare anche con la violenza, l'introduzione della vita osservante, come ad esempio nel caso di Weissenborn, dove nel 1471 il priore venne arrestato e condotto via. Come in Turingia, anche nella Germania meridionale i tentativi riformatori dei Guglielmiti furono appoggiati dalle autorità regionali o dai magistrati delle città. Con l'inserimento di laici in qualità diprocuratori, essi tuttavia andarono spesso oltre l'appoggio offerto dai vicari dell'Ordine desiderosi di riforma, come, ad esempio, a Mengen, dove il priore Jakob Wahsmann contrastò fortemente l'inserimento di un capo cittadino di una classe. Anche dopo la riforma, in relazione alla quale divenne evidente, soprattutto in Alsazia ed in Turingia, un livello sorprendentemente basso del sentimento religioso, la situazione dell'Ordine non cambiò. Nonostante la riforma cattolica con più forza praticata nel XVI secolo, in molti conventi ci si comportò in seguito in modo così immorale, che l'ambiente esterno, divenuto particolarmente critico dopo la Riforma, dubitava del diritto dell'Ordine dei Guglielmiti all'esistenza. Gli abusi divennero tali, che nel XVI e nel XVII secolo nei Paesi Bassi emerse da parte cattolica l'incitamento a porre fine all'indegna vita dei Guglielmiti, ad assoggettare l'Ordine alla giurisdizione dei vescovi o addirittura a scioglierlo completamente, affinchè attraverso la condotta di vita non venisse cagionato ancor più male ai Guglielmiti, poichè "totus iste Ordo ita languet, et plurima scandala inde proveniant neque personas habeant ut disciplina monastica restitui possit". Le richieste di soppressione dell'Ordine furono sollevate nel 1620 e nel 1625 con particolare vigore dal vescovo di 's-Hertogenosch, Nicola Zoes, che, assieme al legato papale (p.155) di S. Severino, era stato incaricato da Paolo V della riforma dell'Ordine e dell'attuazione nella sua diocesi delle decisioni del Concilio di Trento. A risultati simili erano giunti i suoi predecessori, ossia il vescovo Gisbert Masius (dal 1594 al 1614) ed il nunzio apostolico a Bruxelles, Ascanio Gesualdo (1615-17), che, con le loro esortazioni alla riforma, anzichè miglioramenti, avevano suscitato ostinazione ed insubordinazione. L'incitamento da parte di Zoes allo scioglimento dell'Ordine fu determinato,data la fondatezza delle sue lagnanze, dal desiderio di utilizzare le proprietà dei conventi dei Guglielmiti della sua diocesi per l'edificazione dei seminari prescritti dal Concilio di Trento. A tale proposito egli potè richiamarsi al consenso dei suoi confratelli, dei vescovi di Gent e Bruegge, dal momento che anch'essi, dalle loro circoscrizioni, avevano riferito soltanto cose negative sui Guglielmiti "fere indocti et saepe defectuosi". Nonostante questa concordia, le richieste della Curia non vennero accettate. L'Ordine dei Guglielmiti continuò ad esistere. Contro i sintomi di decadenza che diedero motivo, anche in seguito, ad ammonimenti e a richieste di riforma da parte dell'episcopato belga e di quello olandese, così come da parte dei nunzi papali, nel XVII secolo si ridestarono nell'Ordine stesso delle forze che insistevano per la reintroduzione dell'Osservanza. Nell'ambito dei capitoli generali si cercava di raggiungere tale scopo attraverso la richiesta dello svolgimento regolare di capitoli, attraverso l'incoraggiamento e la selezione cosciente dei novizi e non da ultimo attraverso severe comminatorie. Due statuti di riforma a noi tramandati, l'uno per il convento di Bernardfagne, l'altro per i conventi di Friburgo, Mengen e Klingnau, mostrano i sintomi del declino contro cui nel XVII secolo fu necessario combattere, e quali alte pretese i riformatori fossero pronti ad avanzare. Gli sforzi di riforma del XVII secolo raggiunsero un certo culmine sotto il priore generale Nicola de Presseux de Hautregard (1638-1719). Con mezzi propri egli appoggiò la ricostruzione di alcuni conventi belgi, e tentò di ingiungere nuovamente l'Osservanza ai suoi confratelli mediante una rielaborazione delle Costituzioni dell'Ordine. E' quasi superfluo dire che anche tali tentativi fallirono. I conventi sopraffatti dalla mediocrità, dalla povertà e da cattive abitudini non poterono più sviluppare una nuova vita, e non fu più possibile mettere a tacere le lagnanze a causa della decadenza dei costumi. Dopo tali insuccessi la lotta per la vita giusta e per l'adempimento dell'Osservanza venne condotta con sempre minor vigore, cosicchè da allora non si potè più parlare di seri tentativi di riforma. I fenomeni di decadenza, contro i quali la Curia, l'episcopato, i signori territoriali ed i capitoli dell'Ordine si diressero sempre nuovamente a partire dal XIV secolo, nel tentativo di rimuoverli attraverso rigide disposizioni ed ancor più rigide comminatorie, fino alla caduta dell'Ordine furono sempre gli stessi e naturalmente non furono limitati ai Guglielmiti. Le loro cause vanno non da ultimo certamente ricercate nei capovolgimenti spirituali e sociali del tardo medioevo. Non è tuttavia possibile dimostrare che tale processo fu favorito ed accelerato, per quanto riguarda i Guglielmiti, dalle particolari caratteristiche dell'Ordine e dalle condizioni delle sue case. I piccoli conventi tipici dell'Ordine guglielmita, i quali nel tardo medioevo spesso non consistevano che di due o tre frati, offrivano condizioni ottimali per una vita eremitica in senso primitivo, ammesso che i conventuali avessero un serio desiderio di realizzare tale ideale. Per soggetti mediocri e poco convinti, la vita in una piccola comunità portava tuttavia con sè pericoli troppo grandi. Diversamente da conventi più grandi, dove la liturgia praticata in comune, i controlli reciproci e lo zelo preservavano il singolo membro dell'Ordine dall'adempimento eccessivamente frettoloso della sua vita religiosa, qui incombevano costantemente l'appiattimento, l'indisciplinatezza e l'allontanamento dalla vita religiosa. L'Ordine, infatti, non è sfuggito nel suo tardo periodo all'antico paradosso della vita eremitica, secondo il quale la solitudine e l'isolamento, i più efficaci strumenti della salvezza personale, possono molto facilmente divenire le cause della decadenza morale e religiosa. Oltre a ciò, fu soprattutto la povertà ricevuta come un'ipoteca dal periodo più antico ed accelerare la caduta dell'Ordine e l'appiattimento della sua spiritualità. Nel XII e nel XIII secolo la povertà veniva salutata quale stimolo ad un'esperienza particolarmente ascetica, più tardi, invece, fu avvertita come un peso che impediva all'Ordine di adoperare le proprie forze per cose che in parte presupponevano sicurezza materiale. La creazione di biblioteche, la costruzione ed il mantenimento di un sistema accademico erano, in tali circostanze, impossibili a lungo andare anche laddove esistevano presupposti in sè favorevoli. Gli sforzi dei conventi riuniti in capitolo a Walincourt nel 1337, al fine di assicurare finanziariamente lo studio universitario a Parigi attraverso contributi comuni, fallirono alla fine per la povertà dei conventi, e non solo per lo scarso interesse scientifico dell'Ordine contemplativo. Ancor più della rinuncia a tali istituzioni pesò il fatto che dal punto di vista del "primum vivere", tutte le attività nella maggior parte dei conventi dovessero essere rivolte ad incrementare le entrate ed a garantire il sostentamento, cosicchè per la vita realmente monastica rimaneva ben poco spazio. Conseguenze simili derivavano dal fatto che nel tardo medioevo la maggior parte dei novizi provenivano da famiglie borghesi e contadine dei dintorni dei conventi. La "stabilitas loci" non consentiva di mandare da un convento all'altro come monaci mendicanti i figli dei cittadini ed i contadinelli, rendendo così impossibile il distacco dalle loro famiglie e dall'intreccio con l'ambiente familiare, e la loro apertura all'ARCANUM dell'isolamento eremitico. Al contrario, invece di abbandonare per amore di Cristo il padre, la madre ed i fratelli sull'esempio del loro patrono, essi cercavano di ritornare alle loro famiglie ed ai loro amici terreni. Di conseguenza era continuamente necessario mettere in guardia contro tali deviazioni, intimare agli eremiti di tenersi lontani dalle feste dei loro parenti ed amici e di astenersi dall'organizzare gozzoviglie nelle loro celle. Il venir meno della vita religiosa venne favorito ed accelerato dal dissolvimento dell'organizzazione dell'Ordine e dalla decimazione della stabilità esterna, fenomeni questi, le cui cause son già state chiarite altrove. Laddove non esisteva alcuna guida e quindi necessariamente alcuna sorveglianza ed alcun controllo, tutte le forze di buona volontà a lungo andare si avvilirono, come risulta da documenti di quei conventi che rinunciarono all'appartenenza ormai soltanto nominale all'Ordine, e si unirono ad altri Ordini monastici meglio organizzati. Il declino ebbe inizio in Italia prima e più rapidamente rispetto a quanto accadde al di là delle Alpi. Già all'inizio del XIV secolo, quando la Curia venne trasferita ad Avignone ed i papi non poterono più dedicare ai conventi italiani la stessa cura che avevano garantito loro Onorio IV e Bonifacio VIII, lo zelo riformatore dei Guglielmiti perdette in forza e vigore. Nei vincoli della tradizione benedettina, sotto la spinta dei Comuni e dell'aristocrazia, la vita religiosa nelle abbazie incaricatesi della riforma ricadde al livello di un tempo. Le abbazie celebri, specialmente quelle di S. Antimo e di S. Maria de Mazzapalu, ribadirono la loro immunità ed i loro privilegi, intendendo in tal modo crearsi prerogative che non potevano certo andare d'accordo con l'appartenenza ad un Ordine. L'abate di S. Antimo, ad esempio, affermò il diritto di accogliere novizi senza consultare il priore generale, di fondare con i propri poteri conventi, chiese e ricoveri, e di esercitare la funzione di vicario permanente dell'Ordine. Più caratteristico di questi singoli diritti era il fatto che i capi degli antichi conventi mantenessero il titolo di abate, sebbene le Costituzioni si fossero vantate del fatto che la povertà e l'umiltà dell'Ordine non consentivano di dare un tale titolo ai superiori dei conventi. Nel contrasto con gli abati, che spesso, come a S. Antimo, provenivano dalle famiglie abbienti della Toscana, la carica di priore generale perdette in dignità e, sotto le pressioni esercitate contemporaneamente dalle case ultramontane, in aiuti ed autorità. Di fronte a tale debolezza dei vertici dell'Ordine, non deve meravigliare il fatto che l'Ordine, dalla fine del XIV secolo, si trovasse in completo dissolvimento, e che della desolata situazione dei conventi guglielmiti italiani siano state tramandate notizie più che altro sporadiche. Solamente nel XV secolo, tuttavia, l'Ordine sopportò in Italia perdite realmente radicali. Già nei primi decenni di questo secolo i Guglielmiti rinunciarono al convento di S. Paolo fondato da Giacomo Savelli presso il lago Albano. Esso tornò con i suoi possedimenti alla famiglia del fondatore e, pervenuto nel frattempo ai Borgia, nel 1492 venne ceduto da Alessandro VI ai Girolamiti che ne rimasero in possesso fino alla fine del XVIII secolo. Alla fine del XV secolo i Silvestrini presero l'abbazia di S. Giovanni ad Argentella. Già nel 1373 il livello della vita religiosa era sceso a tal punto, che Gregorio IX dovette incaricare l'abate di S. Lorenzo al Verano di riformare il convento. Probabilmente nel medesimo periodo fu sottratto all'Ordine anche il convento romano nei pressi di S. Balbina. Esso fu affidato e fu vittima di un abuso che da sempre aveva recato grandi danni alla vita monastica. A metà del secolo Papa Pio II inflisse duri colpi ai Guglielmiti toscani. Nel 1462 soppresse l'abbazia di S. Antimo e conferì i suoi possedimenti alla diocesi di Montalcino di recente fondazione. Nel medesimo anno trasferì agli Eremiti Agostiniani di Siena l'abbazia di S. Bartolomeo, la quale in passato era stata a lungo legata a S. Antimo. Nel 1458 il Papa aveva consegnato S. Pancrazio al cardinale Francesco Piccolomini, il quale poco dopo donò questa abbazia ai già citati Eremiti Agostiniani. Ci volle ancora un secolo perchè anche la casa madre dell'Ordine decadesse. Nel 1564 la sua proprietà e gli edifici andati in rovina vennero affidati al conte Bartolomeo Conchino da Pio IV, con l'approvazione del granduca Cosimo I di Firenze. Il figlio del conte, Giovanni Battista, non risparmiò fatica per restaurare l'antico convento, cosicchè dal 1604 esso potè ancora una volta vivere una nuova fioritura come convento agostiniano sotto l'eremita agostiniano Giovanni di S. Guglielmo. Una volta perduta la casa madre, la vita dell'Ordine in Italia si spense. Attorno al 1600 non c'erano più Guglielmiti in Italia. Soltanto nella fedele devozione del popolo, nel nome di chiese e confraternite continuò a vivere il nome ed il ricordo di S. Guglielmo di Malavalle. Nelle province d'oltralpe la dissoluzione ebbe inizio in tutta la sua forza non prima del XV secolo. Qui l'incapacità delle guide dell'Ordine di conservare l'unità dell'Ordine e di garantirne la fedeltà alle regole, fece sì che una serie di conventi, sia di propria iniziativa, sia su iniziativa delle autorità temporali e spirituali, cercasse di unirsi ai grandi Ordini monastici. Il 18 marzo 1448 i Guglielmiti di Gross-Burlo e Klein-Burlo a Borken si unirono ai priorati cistercensi di Isselstein, Zybekeloe e Wermond, appartenenti alla filiazione di Kamp. Tale annessione, avviata già nel 1444, trovò il vivo consenso del vescovo Enrico di Muenster, dal momento che nell'ambito della scarsa sorveglianza da parte dei superiori dell'Ordine, era soltanto dall'esterno che si poteva sperare in una riforma del convento caduto in rovina dall'inizio del secolo. Tali aspettative non vennero deluse. I conventi vennero riformati e gli edifici di Gross-Burlo interamente rinnovati sotto il priore Hinrik Vornodeken (tale dal 1469 al 1484). Certamente la "paupertas loci" deplorata già nel XIII secolo, non consentiva alcuna sicurezza di base per quanto riguarda la situazione materiale del convento, cosicchè, nonostante tutti gli sforzi dei monaci,nel XVI secolo si ritornò all'antica situazione. Nel 1482 abbandonarono l'Ordine anche i Guglielmiti di Strasburgo sotto il loro priore Jakob Messinger. Con il consenso del vescovo Roberto di Strasburgo e del Consiglio della città, essi vollero tentare di giungere nell'Ordine cistercense ad una riforma della loro casa. Diversamente da quanto accadde a Gross-Burlo e Klein-Burlo, la loro decisione di luogo più elevato non trovò alcuna approvazione definitiva. Nel 1490 i Guglielmiti, per ordine della Curia, dell'imperatore e del vescovo Alberto di Strasburgo, dovettero tornare nuovamente nell'Ordine: "i Guglielmiti, dunque, sono diventati nuovamente Guglielmiti". Oltre un secolo più tardi questa vicenda si ripetè nel convento di Sion, nelle vicinanze di Klingnau. Nel 1540 l'allora priore del convento, Hans Noettlich, dopo la sua elezione ad abate della confinante abbazia cistercense di Wettingen, aveva "de facto" incorporato ad essa il proprio convento. Questa tacita integrazione nell'Ordine cistercense venne tuttavia nuovamente revocata nel 1610 su iniziativa dei rimanenti conventi guglielmiti della Germania meridionale, del governo austriaco e del nunzio papale in Svizzera. Diversamente dal caso di Klingnau e di Strasburgo, la fusione dei Guglielmiti di Grevenbroich e dei Cistercensi fu di lunga durata. Il 22 maggio 1628 il capitolo generale dell'Ordine cistercense acconsentì alla incorporazione del convento nella filiazione di Kamp. Un anno più tardi essa fu confermata da Urbano IV, e da allora non venne nè messa in dubbio nè annullata: gli abati dell'antica ed importante abbazia cistercense furono, dal 1628 fino alla secolarizzazione, anche priori di S. Guglielmo di Grevenbroich. Che l'annessione all'Ordine cistercense venisse soppesata anche in altri gruppi dell'Ordine, emerge da trattative che attorno al 1638 vennero condotte fra i Guglielmina belgi e l'allora riformatore generale dei Cistercensi in Spagna, Angelo Manrique. I Guglielmiti si dichiararono pronti ad utilizzare "Officia" e breviari comuni, e a venerare Bernardo di Chiaravalle (v. Clairvaux) quale padre dell'Ordine, qualora l' "Officium" di S. Guglielmo fosse stato accettato nella liturgia dei Cistercensi, ed ai fedeli fossero state concesse il 10 febbraio le medesime indulgenze concesse in occasione della festa di S. Bernardo. Le trattative, di cui non conosciamo le condizioni nè i retroscena, non ebbero successo. Interessante è tuttavia il fatto che i Guglielmiti avessero fatto notare la comunanza di entrambi gli Ordini senza menzionare in alcun modo - almeno da quanto è possibile ravvisare - la tradizione eremitica altrimenti così coscientemente custodita. A partire dal XVII secolo è possibile osservare simili avvicinamenti da parte dei Guglielmiti ai Benedettini. Questi, dopo il Concilio di Trento, avevano trovato in numerose congregazioni di nuova formazione una determinata forma, che non mancò di far colpo (p. 163) evidentemente sui gruppi che all'interno dell'Ordine guglielmita auspicavano una riforma. Una delle più importanti di queste congregazioni di riforma si formò il 7 aprile 1604 dall'unione delle comunità di Verdun e Moyenmoutier. Dopo essersi in un primo momento limitata soltanto alla Lotaringia, la congregazione di S. Vannes e S. Hydulph trovò la via di accesso per Parigi. Essa lo dovette non da ultimo ad un giovane Guglielmita che aveva conosciuto la loro condotta di vita a Verdun ed aveva richiamato la loro attenzione sul convento guglielmita di Parigi. Qui, in quel tempo, il disordine dominante già da decenni ed accresciuto da scarsi controlli, aveva raggiunto il suo culmine. Nel convento, totalmente indebitato nonostante buoni redditi, due frati, Giovanni de Rogny ed Anselmo Debonnaire, comandavano in un modo che capovolgeva tutte le esigenze monastiche e suscitava contrarietà generali. Non si riuscì a convincere all'attività nè attraverso controlli, nè attraverso l'inflizione della scomunica; nel 1611 al priore provinciale Stefano Loemmel, che cercava di ripristinare l'Ordine, fu reso impossibile l'ingresso nel convento. Egli cercò più tardi, ma inutilmente, di suddividere i frati ribelli fra i conventi dell'Ordine, e di riformare il convento grazie a monaci delle Fiandre e della Francia settentrionale. La considerazione dell'Ordine e del suo convento di Parigi era talmente rovinata, che esso non ricevette più l'appoggio dell'opinione pubblica. In questa situazione i Benedettini riuscirono a convincere alla fusione il priore Giovanni Goyer, giunto a Parigi da Walincourt, e la maggior parte degli abitanti del convento. Il 3 settembre 1618 essa fu attuata da Don Martino Tesnieres, capo della congregazione ed alcuni giorni più tardi approvata dal vescovo Enrico de Gondi e da Luigi XIII, affinchè in questo modo "les grandes desordres, qui ont estè depuis quelques annèes en la dite maison" venissero rimossi. I Guglielmiti belgi, sotto il loro provinciale Stefano Loemmel, tentarono in tutti i modi di annullare l'atto arbitrario compiuto dai loro "sciocchi" confratelli parigini: tutti i tentativi di revisione presso la Corona, la Curia, il Parlamento e l'Università di Parigi non sortirono tuttavia alcun effetto. Fino alla metà del XVII secolo il convento guglielmita di Parigi fu il centro della congregazione, la quale dal 1621 si chiamò "Congregatio S. Mauri". Soltanto dopo la riforma di Saint-Germain-des Pres i colti Mauriniani (MAURINER) trasferirono il centro della loro attività dall'ex convento guglielmita dell'antica abbazia, senza che certamente si fosse spenta la vita spirituale iniziata nel convento dei Serviti. Quei Guglielmiti che non furono disposti a sottomettersi alla rigida riforma, si recarono in parte da Parigi a Montrouge, da dove cioè erano giunti nella città i primi confratelli. Anche qui la vita religiosa dei Guglielmiti non durò a lungo. Nel 1680 morì a Montrouge l'ultimo guglielmita di Parigi. Alcuni anni dopo che i Mauriniani avevano preso il convento parigino, anche nel più antico convento guglielmita francese, a Louvergny, l'osservanza venne meno. Nel 1620 il convento venne visitato per l'ultima volta; da allora fra i quattro o cinque conventuali regnò una situazione pressochè di anarchia della quale le fonti del tempo riferiscono soltanto nel senso di una "chronique scandaleuse". Dopo innumerevoli tentativi di vendere a conventi maschili del luogo il convento, divenuto economicamente del tutto non redditizio, assieme ai suoi terreni, nel 1643, dopo ancor più lunghe trattative, si riuscì finalmente a cederlo alle Benedettine di NotreDame-de-Mouzon. Nel 1654, con l'autorizzazione papale e reale, l'antico convento guglielmita venne incorporato, anche ufficialmente quale priorato, al convento delle Benedettine, dopo che i suoi abitanti originari si erano nel frattempo dispersi un po' dovunque. Nel XVII e nel XVIII secolo anche i conventi tedeschi di Mengen, Klingnau e Friburgo, al quale dal 1507 si era nuovamente unito il convento di Oberried, caddero sotto l'influenza dei Benedettini e precisamente dell'abbazia di S. Blasien, S. Biagio, la quale non si era certamente unita ad alcuna congregazione, ma aveva sviluppato tuttavia nel XVIII secolo una vivace vita spirituale.. Già nel 1630 i tre conventi si erano riuniti in un gruppo avente una comune Osservanza allo scopo di contrastare la decadenza, che minacciava anche la loro esistenza conventuale. Quando però tutt'intorno i rimanenti conventi dell'Ordine andarono in rovina, questo appoggio reciproco non fu più sufficiente. Essi cercarono piuttosto presso l'antica e ricca abbazia di S. Biagio protezione ed appoggio, che vennero loro finalmente accordati nel 1724 attraverso l'incorporazione quale priorato, incorporazione a favore della quale si dichiararono d'accordo Carlo VI, il vescovo di Costanza e la Curia. L'Ordine subì al di là delle Alpi le perdite più gravi, certamente non a causa di queste scissioni, bensì a causa della Riforma e dei generali fenomeni di secolarizzazione del XVIII e del XIX secolo.Già attorno al 1520, ancor prima che avesse inizio la generale decadenza dei conventi della Germania meridionale, il convento di Orlamuende era stato vittima di un incendio. Dal momento che i suoi abitanti già dalla metà del XV secolo avevano una cattiva fama, non poterono aspettarsi aiuto, per quanto riguarda la ricostruzione, nè dal consiglio della città nè dalla corte di Weimar, totalmente a prescindere dal fatto che i WETTINER avessero ben presto aderito alla Riforma e facessero tutt'altro che promuovere la ricostruzione di istituti religiosi distrutti. Al contrario, si chiuse il convento e si fu così generosi da indennizzare gli ultimi membri, cinque frati sotto il priore Gioacchino Ellinge, mentre la maggior parte della proprietà venne utilizzata per scopi scolastici ed ecclesiastici. Già dopo pochi anni i restanti conventi del sud della Germania percorsero la stessa strada. Come molti altri conventi ed abbazie della Turingia e della Sassonia, anche i conventi di Sinnerhausen, Wasungen e Weissenborn caddero nelle mani dei contadini ribelli, per i quali anche queste modeste case dell'Ordine meritavano di essere saccheggiate e distrutte. Ciò che rimase, una volta distrutti gli edifici ed il mobilio, venne confiscato dai signori territoriali ed in parte utilizzato per la dotazione e la retribuzione dei predicatori della nuova confessione. Senza aver sofferto alcun danno alla proprietà a causa delle guerre dei contadini, anche il convento di Witzenhausen venne soppresso da Filippo d'Assia, in base al negoziato della Dieta regionale del 1527, i monaci indennizzati ed il resto della proprietà pignorata nel 1533. Come i conventi della Turingia, della Sassonia e dell'Assia, anche le sedi del Palatinato e dell'Alsazia andarono in rovina nel corso della Riforma. Nel 1533 il convento di Strasburgo, nonostante una forte opposizione da parte dei suoi abitanti, venne assorbito dalla città e trasformato nel 1538 nel "Collegium Wilhemitatum", luogo di formazione per teologi evangelici esistito fino al 1660. Nel 1543 l'ultimo priore di Marienthal, di cattiva reputazione, vendette il convento, già gravemente devastato nel 1525 dai contadini, alle autorità municipali della città di Hagenau, che lo conservarono fino al 1617, nonostante ripetute proteste da parte del provinciale e dei Guglielmiti di Hagenau e Graefinthal, per poi trasferirlo ai Gesuiti operanti a favore della Controriforma. Proprio ad Hagenau i Guglielmiti riuscirono in un primo tempo a tollerare la Riforma. Nel 1612, tuttavia, il loro convento si ridusse ad avere un unico monaco, cosicchè, nonostante le rimostranze dei Guglielmiti di Oberried, non si ebbero esitazioni a cedere nel 1614 il convento sempre ai Gesuiti. Già nel 1545 gli stessi Guglielmiti di Hagenau avevano venduto il loro convento figlio, ossia Muehlbach, abbandonato dai suoi abitanti dal 1543, al parroco di Eppingen, incaricandolo di celebrare l'ufficio divino nella chiesa del convento. Già un paio d'anni più tardi questi lo alienò, assieme alla chiesa ed ai possedimenti, alla città di Eppingen, garantendosi un diritto di riacquisto che non venne mai più esercitato. Il 14 aprile 1559 il convento di Marienpforte, nel Palatinato, venne soppresso e venduto dal principe elettore Federico II al conte Cratz von Schrafenstein di Sobernheim, dopo che truppe di Alessandro di Zweibruecken già nel 1504 avevano arrecato al convento gravi danni. La fine di Marienpforte era stata preceduta dal declino e dalla rovina dei conventi guglielmiti di Worms, Spira e Magonza - irrimediabilmente rovinati ed abbandonati dai loro abitanti, già fra la fine del XV e l'inizio del XVI secolo i loro terreni ed i loro edifici furono venduti o demoliti. Nel XVI secolo andarono in malora anche i conventi di Limburg e Dueren, certamente, tuttavia, senza un legame diretto con la Riforma. Una volta morto, nel 1568, l'ultimo conventuale di Limburg, la città utilizzò gli edifici ed i redditi del convento guglielmita per la costruzione di un ricovero, a cui l'arcivescovo Giacomo III di Treviri diede la propria approvazione il 13 giugno 1573. Il convento di Paradies, situato davanti alle porte di Dueren, venne nel 1542 completamente distrutto; i suoi abitanti, in seguito a ciò, andarono in città dove da allora sbrigarono il servizio parrocchiale presso la chiesa di S. Anna. Nel 1570 la loro proprietà venne infine utilizzata, con l'approvazione dei confratelli di Grevenbroich, nella dotazione della fondazione canonica di Nideg trasferita a Juelich, per cui gli ultimi Guglielmiti di Dueren furono risarciti con posti di parroco a vita. Fino al XVIII secolo il convento di Graefinthal fu l'ultima sede dell'Ordine in Germania. Nel 1785, tuttavia, anche i conventuali di Graefinthal rinunciarono alla loro appartenenza all'Ordine. Con il consenso della Curia, che il priore Norberto Dresse aveva personalmente consultato, essi si trasferirono nella vicina Blieskastel per vivere là da canonici regolari presso la Chiesa di S. Sebastiano. Nei Paesi Bassi la Riforma ed i disordini ad essa conseguenti portarono ai Guglielmiti maggiori tribolazioni. Quasi tutti i conventi, nelle guerre fra le province ribelli e gli Spagnoli, vennero saccheggiati e distrutti. Ciò non impedì tuttavia ai Guglielmiti di portare avanti la vita religiosa che fino ad allora avevano condotto. Non prima dell'inizio del XVII secolo Baseldonck, il più antico convento guglielmita d'oltralpe, venne soppresso. Nel 1629 i suoi abitanti, che già nel 1542 erano andati a s'-Hertogenbosch, abbandonarono la città dopo che Federico Enrico, con la capitolazione di 's-Hertogenbosch, aveva preteso l'espulsione di tutti gli ecclesiastici cattolici. I Guglielmiti si recarono in via transitoria a Bokhoven nel Brabante ed a Turnhout in Belgio, fino a quando gli ultimi conventuali di Baseldonck ancora in vita si unirono, il 13 giugno 1654, ai loro confratelli di Huybergen. La fine dei rimanenti conventi guglielmiti fu causata poi dal giuseppinismo e dalla Rivoluzione Francese. Nel 1784 i conventi di Aast, Nivelles e Beveren, assieme alle numerose sedi di altri Ordini contemplativi, furono eliminati, i loro possedimenti venduti all'asta, i monaci indennizzati e lasciati vivere a propria discrezione. Sei anni dopo caddero, vittime della Rivoluzione, Nieuwland e Walincourt, gli ultimi conventi guglielmiti francesi. L'1 settembre 1796 un decreto della Repubblica eliminò i conventi di Bernardfagne e La Motte, dopo che già nel 1794 i loro occupanti erano fuggiti in Vestfalia passando per Aquisgrana. La stessa sorte toccò nel 1798 al convento guglielmita di Huybergen. Inutilmente i suoi ultimi abitanti cercarono nel 1814, mediante il richiamo al Concordato del 1802, di riprendere il filo della lunga tradizione. Si realizzò un convento più piccolo, i cui novizi vennero formati nell'abbazia cistercense di Bornhem. La loro attività era tuttavia talmente insignificante, e la loro condotta di vita così poco lieta, che nel 1844 si tentò di trasferire il convento ai Redentoristi. Questo progetto tuttavia fallì, ed i Guglielmiti di Huybergen si unirono nel 1847 ai Cistercensi dell'abbazia di Bornhem. Qui, il 3 agosto 1879, morì padre van den Berg da Huybergen, e con lui l'ultimo membro dell'Ordine.