III
Le origini dei Guglielmiti
1. IL PERIODO EREMITICO ARCAICO
La formazione dell'Ordine dei Guglielmiti ebbe inizio dopo la morte di Guglielmo da Malavalle. Come anche i grandi eremiti e patriarchi di un Ordine, Romualdo e Bruno, egli stesso non aveva intenzione di fondare un Ordine. Ciò che egli lasciò in eredità ad Alberto e Rinaldo, suoi compagni nell'ultimo anno di vita, fu la modesta cella di Malavalle e l'esempio di un'esistenza ascetica, e non il compito di dare vita a un Ordine. Paradossalmente, tuttavia, fu proprio la sua severa rinuncia al mondo a trovare emuli e a far sì che presso la tomba del Santo sorgesse una comunità che divenne il primo nucleo dell'Ordine dei Guglielmiti. Le origini di questo Ordine sono avvolte, come nessun'altra epoca della sua storia, da un'oscurità quasi impenetrabile. La "Vita" più antica, quella di Alberto, il cui autore viene generalmente e a ragione considerato come il capo e l'organizzatore della prima comunità guglielmita, salvo pochi chiarimenti, non dice sorprendentemente nulla del periodo arcaico del suo Ordine. Solo dagli elenchi dei miracoli che seguono ad entrambe le "Vite" è possibile trarre qua e là notizie sul modo di vivere dei primi Guglielmiti. E' poi possibile completarle, in modo tuttavia insignificante, attraverso un abbozzo della primitiva storia dell'Ordine, inserito durante il XIII secolo nel prologo delle Costituzioni. Ulteriori ma certamente insufficienti fonti sono anche i documenti, scarsamente conservati, di quei conventi che nel XII e nel XIII secolo si unirono a quello sorto a Malavalle o ne accettarono la regola. La forza che condusse alla costruzione della piccola comunità presso la tomba del Santo, e che rese il convento di Malavalle più famoso dei numerosi eremi toscani sorti nel medesimo periodo, derivò dal nome e dai prodigi del Santo. Da Firenze, Siena, Orbetello, Grosseto e da altre città e luoghi della Toscana, già poco dopo la sua morte, molti fedeli si recavano a Malavalle per implorare aiuto e per ringraziare di miracolose guarigioni. Soprattutto i pastori della Maremma ed i marinai delle città costiere ritenevano il Santo protettore contro le intemperie ed il pericolo di naufragio; furono loro a diffondere la sua fama al di là dei confini della Toscana fino alle Marche, all'Umbria e al Lazio. Alla devozione rapidamente crescente del popolo dei fedeli seguì ben presto la conferma della Chiesa. Il suo culto ebbe dapprima inizio in alcune parrocchie nelle vicinanze di Malavalle. Così un chierico proveniente dal vicino Monte Orso, per riconoscenza per la guarigione dalle conseguenze di un incidente, promise "quod festum eius annuatim celebraret". Sotto il vescovo Martino da Grosseto, che per il Santo ed i suoi seguaci nutriva una particolare predilezione, il culto fu esteso fra il 1174 ed il 1181 all'intera diocesi di Orvieto. Alessandro III diede la sua approvazione, sebbene la disapprovasse, "ut beatum Guilelmum sanctorum adscriberet catalogo venerandum", di cui il vescovo Martino gli aveva fatto richiesta a Roma. Nel 1202 la venerazione di Guglielmo fu confermata da Innocenzo III, il che "de facto" equivaleva alla canonizzazione rimandata da Alessandro III. I credenti che, seguendo l'invito del Santo, avevano cambiato l'esistenza fino ad allora condotta, poco dopo la morte di Guglielmo si insediarono sotto il "minister et famulus" Alberto nelle celle singole di un oratorio sorto presso la tomba del Santo, allo scopo di vivere in isolamento una vita che assumesse come regola il Santo e le sue esortazioni tramandate da Alberto. Digiunavano sia in inverno che in estate, tutti i giorni della settimana ad eccezione della Domenica, ed indossavano una rozza veste di lana grezza, quale segno della loro povertà e della loro semplicità, portando il bastone quale indicazione della "vita eremitica". Persino in inverno rinunciavano alle calzature; solo quando lasciavano l'eremo ed andavano fra la gente indossavano calze e calzari per evitare di avvertire dentro di sè un falso orgoglio per il loro rigore particolarmente ascetico. Il carattere eremitico della loro comunità non si esprimeva tuttavia soltanto nell'impervia collocazione dell'eremo e nell'isolamento delle loro celle, ma anche nel continuo silenzio che, secondo quanto si può dedurre dalle Costituzioni o dalle regole di altri Ordini eremitici, veniva interrotto solo durante le funzioni comuni nella chiesa della tomba. Secondo l'esempio del patrono, gli eremiti provvedevano al proprio sostentamento attraverso il proprio lavoro. Già alcuni decenni dopo la sua morte, essi avevano trasformato in un fertile giardino la valle di Malavalle, dove fino ad allora pastori e cacciatori non si avventuravano a causa del suo suolo arido e del suo clima sfavorevole. Ai frutti del loro lavoro agricolo si aggiungevano le oblazioni e i doni votivi dei fedeli che numerosi andavano in pellegrinaggio alla tomba del Santo. Non sembra fosse inconsueto che i frati, quando soggiornavano nelle zone circostanti della Toscana, ricevessero elemosine da parte dei fedeli, per aumentare in questo modo le loro modeste entrate. La forma di vita dei Gugliemiti, che nei suoi tratti fondamentali non si differenziava molto dalla consuetudine di altri Ordini eremitici, fu probabilmente approvata attorno all'inizio del XIII secolo. A partire dal 1211, nelle bolle papali che trattano dei Guglielmiti, si parla di "Ordo" e di "Regula" di S. Guglielmo. Quasi due decenni dopo il Concilio Lateranense del 1215, che rese obbligatoria per i nuovi Ordini l'adozione di una delle antiche regole, l'osservanza dei Guglielmiti fu posta sullo stesso piano addirittura dell'antica e venerabile regola agostiniana. Il 5 dicembre 1232 Papa Gregorio IX concesse agli eremiti di Torre di Palma, nella diocesi di Fermo, di abbandonare la regola agostiniana fino ad allora seguita, e di seguire invece la "beati Willelmi regula, que artior esse dinoscitur". Il Papa quindi, all'inizio del XIII secolo, accordò alla regola guglielmita la stessa vincolatività giuridica della regola benedettina o di quella agostiniana. Quando e attraverso chi abbia avuto luogo il riconoscimento della regola dell'Ordine, non è però accertabile. Probabilmente già Alessandro III, che per primo acconsentì al culto del Santo, approvò il modo di vivere dei Guglielmiti come aveva probabilmente fatto con il suo concittadino senese, San Galgano, allorchè questi gli aveva fatto richiesta a Roma della convalida del suo "propositum". Il redattore del "Liber ordinis" di cui si è già fatta menzione, riteneva nel XV secolo che gli "Statuta ordinis" fossero stati deliberati sotto Innocenzo III e che fossero stati da questi ratificati. Si tratta tuttavia di una notizia isolata nella quale Innocenzo III viene scambiato per Innocenzo IV, che nel 1250 convocò un Capitolo generale dell'Ordine e ne approvò le decisioni. Sebbene non esista alcuna certezza sul momento esatto dell'approvazione, il periodo di svolta verso il XIII secolo è tuttavia il più probabile, poichè solo all'inizio di questo secolo gli eremiti, che fino ad allora si erano limitati alla casa madre, intrapresero la diffusione dell'Ordine. In pochi decenni sorse in Toscana, nel Lazio e nelle Marche un piccolo gruppo di conventi, i quali, o erano stati fondati da Malavalle, oppure avevano abbandonato la regola che fino ad allora avevano osservato, per seguire quella di S. Guglielmo. Fra i primi conventi guglielmiti, di cui nella maggior parte dei casi si conosce soltanto il nome, vanno annoverati quello di S. Angelus post lacum e quello di S. Wilhelmus de Acerona. A favore della loro antica appartenenza all'Ordine dei Guglielmiti, va considerato il fatto che Costituzioni dell'Ordine concedessero loro di visitare la casa madre di Malavalle, il che, secondo le Costituzioni, era riservato alle più antiche fondazioni affiliate. S. Angelo, di cui oggi rimangono ancora i ruderi, si trovava presso il Lago Albano, non lontano dalla Via Appia. Quando fu trasferito ai Guglielmiti, il convento poteva già contare su una storia più lunga: già nel 1116 era stato menzionato in una Bolla di Pasquale II. La scarsa tradizione non dice nulla sull'osservanza che veniva qui seguita prima dell'arrivo dei Guglielmiti, nè sulle circostanze che portarono in questo luogo gli eremiti provenienti dalla Toscana. E' probabile che il ricchissimo Savelli, che anche in seguito si dimostrò benefattore dell'Ordine, abbia reso possibile l'insediamento dell'Ordine nel Lazio. S. Guglielmo d'Acerona, che neppure esperti conoscitori della storia toscana seppero identificare, sorgeva fra S. Casciano e Acquapendente, sul confine della diocesi di Orvieto e Chiusi. Il "Patrocinium" del convento, che ben presto fu messo in ombra dai conventi di Mazzapalu e di Aquaorta, avvalora l'ipotesi che si trattasse di una nuova fondazione cui era stato possibile dare il nome del Santo, approvato come tale nel 1202, senza aver dovuto avere riguardo per un precedente "patrocinium", come invece era stato necessario in altri casi. Nel 1251 i priori dei più antichi conventi italiani sottoscrissero gli Statuti deliberati nell'ambito di un Capitolo Generale a Malavalle; alle firme dei priori di S. Angelo e di S. Guglielmo seguì la firma del priore di Teli. Probabilmente questo convento, allora il terzo in ordine cronologico, e che viene menzionato nel XV secolo in un elenco di conventi con il nome "de Cilo", è identico all'eremo di S. Maria de Tilio situato nella diocesi di Chiusi; eremo che nel 1276/77 fu adibito, assieme ad altre chiese e ad altri conventi, a pagamento di decime. Sulla storia di questo romitaggio si sa pochissimo, come pochissimo si sa degli altri due più antichi. Soltanto dalla successione delle firme di cui si è parlato è possibile concludere che questo eremo, come gli altri due, seguisse la regola guglielmita già prima del 1237, anno di fondazione dell'eremo di Mazzapalu, il quale segue al quarto posto. Al gruppo dei primi conventi guglielmiti toscani appartenne anche l'eremo di S. Antonius de Ardenghesca (o de Silvaiuncta), che Innocenzo III il 25 maggio 1211 con la Bolla "Solet annuere" prese sotto la protezione della cattedra di S. Pietro unitamente ai suoi occupanti, che in quell'epoca appartenevano al "Ordo S. Guillelmi". Alcuni anni prima, il 20 aprile 1206, il priore Bannerio aveva accettato "recipiens nomine Eremi ad honorem Dei et S. Antonii aedificatae" ampie donazioni di terre che i toscani Ardengheschi, i conti Uguccio Bernardini, Ranerius e Paganellus Ugolini ed i loro pari Ranerius Falsinelli e Borgese di Pari, avevano fatto agli eremiti. Che già nel 1206 si trattasse dei Guglielmiti non risulta dai documenti della donazione, ma è assolutamente probabile. Secondo la tradizione, tuttavia, S. Antonio non deve essere stato fondato appena all'inizio del XIII secolo, come invece consigliano le testimonianze documentali. La tradizione degli Eremiti Agostiniani, ai quali il convento guglielmita si unì ancor prima del 1251, colloca le sue origini piuttosto nel periodo arcaico nel monasticismo, ed indica come fondatore Blasio di Opima, un contemporaneo di Antonio Eremita. Sotto Onorio III, i Guglielmiti presero piede anche nelle Marche, senza tuttavia riuscire a mantenere qui nel tempo la loro posizione. Il 9 maggio 1224 il Papa concesse al priore ed ai restanti eremiti di S. Benedetto di Monte Favale, "ut regula B. Guglielmi, secundum quam sicut asseriris cupitis Domino famulari, ibi perpetuis temporibus observetur". L'eremo di S. Benedetto, situato nella diocesi di Pesaro, non era certamente una nuova fondazione dei Guglielmiti toscani. La sua denominazione fa supporre che in quest'eremo, prima del trasferimento ai Guglielmiti, si seguisse la regola benedettina, senza però che ciò sia sostenuto da prove più chiare. Prima del 1232, gli abitanti dell'eremo di Torre di Palma, situato nella diocesi di Fermo, si rivolsero a Roma chiedendo di potersi unire ai seguaci della regola di S. Guglielmo. Essi avevano deciso, "ad frugem artioris vitae" di abbandonare la regola agostiniana fino ad allora osservata, e di seguire una regola più severa, quale evidentemente era ritenuta quella guglielmita. Gregorio IX venne incontro alla loro richiesta ed incaricò il vescovo Filippo da Fermo (1229-50) di vigilare sul passaggio da una regola all'altra. Questi primi conventi, in parte situati lontano gli uni dagli altri, secondo la modesta tradizione, costituirono dapprima soltanto una vaga unione, tenuta insieme solo dalla comune osservanza. D'altra parte quest'ultima sembra essersi concentrata soltanto sull'ordinamento della vita all'interno del convento e non aver invece regolamentato l'organizzazione di un'unione dell'Ordine. Prima del 1248 non è possibile determinare le forme minime di una simile organizzazione in espansione, quali possono essere considerati l'ufficio di un superiore dell'Ordine ed il tenere Capitoli generali dell'Ordine. Questo fatto non esclude certamente che all'eremo di Malavalle spettasse una posizione particolare e che fra le singole case sussistessero determinati rapporti. Che questi non potessero essere stretti, emerge dal fatto che già prima del 1251 alcuni dei più antichi conventi guglielmiti avevano lasciato l'unione eremitica ed avevano aderito all'Ordine degli Eremiti Agostiniani. La forte autonomia dei singoli conventi guglielmiti viene poi sottolineata in maniera particolarmente chiara attraverso la posizione che la Curia assunse nei loro confronti. Fino al 1248 i papi si rivolsero nelle loro bolle soltanto ai conventi dell'Ordine posteriore e quando assicurarono ai Guglielmiti la protezione papale, non si rivolsero all'intero Ordine come invece dopo il 1248, ma sempre e soltanto ai suoi singoli componenti. Questa situazione arcaica, nella quale i conventi guglielmiti furono tenuti insieme non tanto mediante l'organizzazione, quanto piuttosto dalla comunanza di idee e soprattutto da una vita vissuta secondo il rigido esempio del patrono, durò circa un secolo. Il "periodo d'incubazione" straordinariamente lungo se confrontato con la storia dei Cistercensi o dei Francescani, non è certamente caratteristico soltanto dei Guglielmiti. Anche altri Ordini eremitici, come pressappoco i Certosini, riuscirono solo dopo molto tempo a costruire la propria organizzazione e a raggiungere una diffusione degna di nota. La ragione di questo singolare ritardo va vista non da ultimo nella particolare spiritualità di questo Ordine. La ricerca della solitudine, dell'abnegazione, del silenzio, e della preghiera, non insisteva naturalmente sull'espansione esterna, e non necessitava di un'organizzazione che si estendesse a tutti i conventi. Essa si realizzava innanzitutto nei singoli conventi, nelle celle degli eremiti. La vita determinata da tali principi permise o costrinse a mantenere relativamente a lungo l'autonomia della singola casa, e a conservare di conseguenza una situazione che caratterizzò il monachesimo occidentale fino a quando non si giunse alla creazione di forme organizzative centralizzate ad opera dei Cluniacensi e dei Cistercensi. Nell'Ordine stesso è stato ravvisato il motivo della lunga stagnazione nel suo sviluppo ed altrettanto nella sua particolare spiritualità. La durezza dell'esistenza condotta dai Guglielmiti è stata ritenuta responsabile soltanto della lenta crescita della comunità. La rigorosa severità della regola avrebbe cioè potuto indurre solo pochi "emulatores" ad unirsi alla vita degli eremiti. Nonostante l'orgoglio di questa "età d'oro" di rinuncia al mondo e di dura ascesi, alla fine del XIII secolo, quando l'Ordine aveva già numerose sedi in Italia e al di là delle Alpi, ci si rese certamente conto che la forma di vita originaria necessitava di un alleggerimento affinchè potesse svilupparsi un Ordine pieno di forza vitale, l' "Ordo Fratrum Eremitarum S. Wilhelmi".
2. L'ADOZIONE DELLA REGOLA BENEDETTINA SOTTO GREGORIO IX
Il primo passo verso la costituzione di un vero e proprio Ordine lo fece Gregorio IX. I Guglielmiti lo celebrarono come il loro vero benefattore, come lo "structor vel fautor" dei loro conventi, e a torto, - come si vedrà - come colui che avrebbe addirittura diffuso la loro forma di vita fino ai confini della terra. In effetti i Guglielmiti godettero di una protezione sicura da parte di questo Papa. Sotto il suo pontificato, gli "iam dudum heremitice viventes" adottarono la regola benedettina al posto degli "Statuta S. Guilelmi" seguiti fino ad allora. Dopo l'antica tradizione dell'Ordine, risalente al XIII secolo, questa regola consentì loro di mitigare la durezza sperimentata fino ad allora, il "rigor pristinus", e di creare il presupposto per una reale diffusione. L'adozione della regola benedettina all'inizio del XIII secolo non fu certamente niente di strordinario. In applicazione del 13° canone del Lateranense del 1215, molte altre comunità religiose avevano abbandonato le regole ed i "Proposita" osservati fino ad allora, sostituendoli con una delle antiche regole monastiche. Questo cambiamento era molto spesso un atto formale privo di conseguenze per la vita delle comunità coinvolte. Nella maggior parte dei casi le Costituzioni stesse offrivano la possibilità di modificare la regola adottata, cosicchè l'antico modo di vivere poteva essere conservato. Dovette quindi essere di importanza decisiva per la vita dei Guglielmiti il fatto che questa via d'uscita fosse loro preclusa. Essi, infatti, non adottarono soltanto la regola benedettina, ma assieme ad essa anche le consuetudines dei Cistercensi. Queste tuttavia regolano i dettagli della vita monastica, della liturgia e dell'organizzazione dell'Ordine in maniera così precisa, da non lasciare pressochè spazio a particolarità qualora le si segua rigidamente. Un'ulteriore difficoltà nell'adozione di queste istituzioni emerge dal fatto che le forme organizzative della "Charta Caritatis" improntate ad un'unione monastica molto sviluppata, e le prescrizioni liturgiche del "Liber Ordinarius", attuabili solo da un grande convento, fossero fondamentalmente inadeguate a gruppi eremitici poco organizzati. Non ci si deve quindi meravigliare del fatto che poco dopo il 1238 si parlasse nelle Bolle papali non delle consuetudini cistercensi, bensì sempre e soltanto delle "Institutiones Ordinis S. Wilhelmi", nelle quali forse elementi delle consuetudini cistercensi si coniugavano con la tradizione della "Regula S. Wilhelmi" in una sintesi adeguata e rispondente alle tradizioni dell'ordine. Il passaggio dei Guglielmiti alla regola benedettina è indubbiamente collegato alla tendenza all'unificazione monastica che è possibile cogliere dal XII secolo; non lo si può tuttavia delineare come pratica e necessaria attuazione del 13° Canone del Lateranense. La decisione della Curia esprime al contrario un interessamento personale certo da parte innanzitutto di Gregorio IX, che molto presto fece la conoscenza dei Guglielmiti. Durante le sue legazioni in Toscana si era infatti trattenuto presso la tomba del Santo ed aveva concorso con mezzi propri alla costruzione della chiesa tombale, cosicchè lo si celebrava come il fondatore del cenobio di Malavalle. Il Papa, al quale non era sconosciuto lo spirito di Maria e di Rachele, non agì certamente solo per benevolenza personale. Egli sembra piuttosto aver ravvisato nello sviluppo dell'ordine guglielmita, una possibilità di sostenere con nuova forza il monachesimo benedettino allora particolarmente in difficoltà in Italia. Quest'opera, che accanto alle sue attività politico-religiose, ai suoi sforzi per lo sviluppo dell'ordine francescano, per l'ordinamento del movimento religioso femminile e per la costituzione degli Umiliati e delle confraternite penitenti, viene poco considerata, Gregorio aveva cercato di realizzarla mediante interventi disciplinari, l'acuita richiesta di tenere Capitoli Generali e l'abbozzo di nuove Costituzioni. Oltre a tutte queste misure si era rivelato efficace il fatto di appoggiarsi a nuovi Ordini e Congregazioni per una radicale realizzazione degli ideali monastici, ed il fatto di esortare alla riforma le antiche abbazie benedettine, allo scopo di far rivivere, grazie alla loro forza ancora nuova e vivace, l'antica stirpe dei Benedettini. Questa tendenza rilevabile nell'incremento dei Camaldolesi, dei Cistercensi e dei Florensi, fu determinante anche per l'aumento dei Guglielmiti. Attraverso la regola benedettina, l'ordine doveva essere sottratto al suo ristagno eremitico, e attraverso l'alleggerimento del suo modo di vivere doveva essere reso accessibile anche ad altri gruppi di persone. A tale scopo, nel 1237 il Papa trasferì all'eremo di Acerona il monastero benedettino di S. Maria de Mazzapalu, situato nella diocesi di Orvieto, con l'appoggio del cardinale cistercense Ranieri Capoccius. Il monastero, menzionato per la prima volta nel 1042, era in origine un priorato dell'abbazia del Santo Sepolcro di Aquapendente, che in seguito fu trasferito ai Vallombrosani. Tale monastero si era costruito nel XII secolo una posizione così importante ed autonoma, che, libero da collegamenti con la casa madre, non aveva preso parte al passaggio all'ordine eremitico dei Vallombrosani. Dell'antica importanza del convento non rimaneva nel XIII secolo più nulla: cattiva amministrazione, rinuncia all'immunità e povertà (al punto da non riuscire più ad acquistare stoffa per l'abito dei monaci) caratterizzano la situazione del monastero, tipica fra l'altro del mondo benedettino italiano del XIII secolo. Assolutamente giustificato fu quindi il fatto che il Papa non ritenesse più possibile la riforma del convento senza interventi esterni, e che l'affidasse ai Guglielmiti, che si adoperarono per riacquistare i beni del monastero alienati agli aristocratici ed ai comuni, e per ridare vivacità alla vita religiosa.
3. PRIVILEGI E COSTITUZIONE GIURIDICA SOTTO INNOCENZO IV
L'attività di rinnovamento del movimento benedettino italiano, iniziata con l'acquisizione di S. Maria de Mazzapalu, diversamente da quanto si era proposto Gregorio IX, presto fu di nuovo abbandonata. Solo nell'ultimo quarto del XIII secolo Onorio IV diede l'impulso a porre mano di nuovo a tale opera. Sotto il diretto successore di Gregorio , tuttavia, altri compiti subentrarono agli sforzi di riforma. Nel 1244, quando Innocenzo IV lasciò l'Italia per poter continuare più efficacemente da Lione la sua lotta contro Federico II, anche i Guglielmiti dai loro eremi toscani si misero in cammino verso l'Europa nord-occidentale, allo scopo di dare inizio qui, dove la Curia poteva contare su un forte partito antisvevo, alla vera costruzione del loro Ordine. Nel ducato di Brabante, nelle contee di Fiandra e Rethel, così come nelle diocesi di Liegi e di Muenster, essi fondarono in breve tempo una serie di conventi cui seguirono ben presto così tante sedi in Francia, Germania, Boemia ed Ungheria, che si rese necessario suddividere l'Ordine, che fino a quel momento era solo faticosamente esistito, in più province. Innocenzo IV ed il suo legato in Germania, Pietro da Albano, favorirono l'espanzione da essi determinata, mediante una serie di privilegi. Già al primo ingresso in Germania, il 28 luglio 1245, i Guglielmiti italiani, di fronte al vescovo Ludolf da Muenster, un rappresentante della causa papale, poterono appellarsi ai privilegi della Santa Sede. Da essi risultava che l'Ordine era stato approvato e che era andato in Germania "quod ordo ipsorum dudum fuit per sedem apostolicam approbatus et nunc est in Almaniam destinatus", come si legge in un documento, dell'I agosto 1245, del prevosto di Froendenberger, Menricus. Un anno dopo, il 30 aprile 1246, Innocenzo IV, da Lione, raccomandò il nuovo Ordine all'arcivescovo di Colonia Corrado von Hochstaden, pregando lui ed i vescovi suffraganei della sua diocesi di offrire particolare sostegno alle "personae humiles". Affinchè tuttavia la loro attività non si limitasse soltanto all'ambito di giurisdizione dell'episcopato fedele al Papa ed ai territori della nobiltà alleata, permise ai suoi protetti "quos frequentius inter excommunicatos morari contingat", di operare in territori interdetti e di frequentare scomunicati senza dover temere la semplice forma della scomunica che la volontaria, e non la necessaria frequentazione di persone scomunicate, aveva come conseguenza. Come già Gregorio IX ai Francescani e ai Domenicani, così Innocenzo IV, il 6 ottobre 1250, consentì ai Guglielmiti non soltanto di celebrare messe in determinate circostanze durante l'interdetto, ma anche di frequentare scomunicati e di accettarne perfino le elemosine ed il sostegno, allo scopo di assicurare la loro vita e l'esistenza delle loro case. Oltre a ciò, egli concesse al loro superiore il diritto di accogliere nell'Ordine come novizi individui colpiti da censura ecclesiastica, di assolverli da scomuniche e di liberarli da irregolarità, qualora si fossero dichiarati pronti a fare penitenza. Non fu solo la particolare situazione dovuta ai contrasti fra Impero e Papato a consentire all'Ordine di ottenere dal Papa raccomandazioni e privilegi per poter prender piede nel suo nuovo campo di azione. Nel Brabante e nelle Fiandre, nella Francia settentrionale, nella Renania e nell'Alsazia, dove l'Ordine in un primo momento si sforzò di creare delle sedi, la volontà dei Guglielmiti di fondare dei monasteri, e di ottenere a tale scopo l'appoggio dei credenti, si scontrò con le aspirazioni di molti Ordini, soprattutto con quelle dei Domenicani e dei Francescani. Con sospetto i due grandi Ordini mendicanti vigilavano soprattutto affinchè altri Ordini meno conosciuti, come i Guglielmiti, i Carmelitani o gli Eremiti Agostiniani, non sfruttassero, per così dire da parassiti, la grande stima di cui essi godevano, il che accadeva abbastanza spesso a causa della somiglianza eccessiva nell'aspetto esteriore, soprattutto nel modo di vestirsi. I Guglielmiti, che come i frati mendicanti indossavano tonache di lana non colorata per mostrare in tal modo di voler seguire "pauperes paupere Christum" - come confermava loro Innocenzo IV con una massima che dal XII secolo venne spesso citata nel movimento di povertà - incontrarono quindi la resistenza "quorundam religiosorum", tanto più che essi, anche in questo simili ai frati questuanti, fino alla fondazione di insediamenti stabili vennero più o meno assimilati ai mendicanti. Essi furono perciò costretti dai loro rivali a cambiare il loro abito e addirittura ad indossarne uno di diverso tipo. Contro una simile riduzione dei loro diritti - che risalivano fondamentalmente a Guglielmo stesso e che di conseguenza erano ben più antichi di quelli dei frati mendicanti - i Guglielmiti cercarono la protezione della Curia. Il 5 gennaio 1249 Innocenzo invitò quindi i vescovi tedeschi a difendere i Guglielmiti da tali coercizioni, qualora avessero girato per le loro diocesi o vi si fossero insediati, e confermò il loro diritto al proprio abito, che egli aveva fatto conoscere al clero fondamentalmente nella forma fissata sotto Gregorio IX: una tonaca non colorata, di lana, sandali e bastone, segno caratteristico degli eremiti. L'espansione dell'Ordine all'estero, lo sviluppo della sua organizzazione ed il consolidamento della sua posizione giuridica, che avevano avuto inizio sotto il Papa Gregorio IX, ma che fino all'entrata in carica di Innocenzo IV avevano fatto solo scarsi progressi, procedettero di pari passo. Nel 1249 si parla per la prima volta di un priore generale. Un anno dopo fu consentito a lui ed ai rimanenti priori dell'Ordine di rimuovere in un Capitolo generale le contraddizioni, contenute nelle Costituzioni, che avevano generato dei contrasti, e fu loro consentito di completarle ed adattarle il più possibile alle nuove esigenze. Per consolidare i rapporti dell'Ordine verso la Curia, per poterlo proteggere e sorvegliare, Innocenzo nominò un cardinale protettore, portando avanti così una prassi divenuta comune dal 1217, da quando cioè Francesco Ugo da Ostia aveva richiesto la sua speciale protezione. Nel 1266 fu insignito di questa carica l'arcivescovo Stefano Vancha von Gran, allora cardinale vescovo di Praeneste. Probabilmente però questi, già nel 1252, quando decise definitivamente di rimanere vescovo di Praeneste dopo un ritorno temporaneo all'arcivescovato di Gran, fu incaricato della "cura specialis" del giovane Ordine, incarico che dopo di lui fu assunto da Giacomo Savelli e da Benedetto Gaetani, i futuri papi Onorio IV e Bonifacio VIII. Innocenzo, dopo aver confermato, l'8 aprile 1248, al priore ed ai fratelli dell'"Heremus S.Guilelmi" l'adozione della regola benedettina avvenuta sotto Gregorio IX, e dopo averli nuovamente esonerati dall'"Observantia beati Guilelmi Statutorum", l'anno successivo portò a termine l'approvazione dell'Ordine, che si trascinava da oltre un secolo: con una grande Bolla sottoscritta da sette cardinali, l'Ordine venne riconosciuto come "Ordo monasticus secundum Deum et beati Benedicti regulam atque institutionem fratrum Ordinis sancti Guilelmi". La grande Bolla "Religiosam vitam eligentibus", che, a causa del gran numero dei diritti conferiti attraverso essa, si è soliti chiamare "Mare Magnum", non fu redatta per la prima volta nel 1249. A partire dal XII secolo già numerose comunità religiose ed Ordini monastici e di chierici erano stati approvati mediante questo privilegio collettivo. Il suo formulario, le cui singole disposizioni erano in parte già state fissate nell' IX secolo, consentiva infatti di soddisfare Ordini estremamente diversi, come i Cistercensi ed i Domenicani. Dei circa cinquanta singoli privilegi, la Curia doveva soltanto scegliere o modificare leggermente quelli che corrispondevano alle intenzioni delle comunità da approvare. Il privilegio riconosciuto ai Guglielmiti si adegua nei suoi tratti fondamentali al privilegio dei Cistercensi, divergendo da esso soltanto in alcuni punti. Oltre al privilegio di poter avere e, all'occorrenza, riscuotere le decime, ed al regolamento relativo alla scelta del priore generale, è soprattutto per i privilegi parrocchiali e per quelli di sepoltura che il privilegio dei Guglielmiti si differenzia da quello dei Cistercensi. Questi diritti, significativamente desunti dal privilegio dei Premostratensi, indicano le intenzioni della Curia: l'Ordine non doveva limitarsi ad una vita puramente monastica, ma servire alla cura delle anime dei credenti, alla "cura animarum". Questa tendenza risulta ancora più chiara dai privilegi "Promptum circa illa" e "Indulsisse dicimur", entrambi garantiti quasi contemporaneamente. Con essi Innocenzo IV permise ai Guglielmiti in Germania "iuxta datum a Deo donum scientie", su richiesta del clero, di predicare e di raccogliere le confessioni dei fedeli mandati loro dagli ecclesiastici competenti. Con ciò il Papa, nel 1250, anticipò per i Guglielmiti un ordinamento dei diritti della predicazione e della confessione, che, con la Bolla "Etsi animarum affectantes" del 21 novembre 1254, rese obbligatorio anche per gli Ordini mendicanti, suscitando così la riprovazione dei Francescani e dei Domenicani che fino ad allora erano stati molto più privilegiati. Già due anni prima, il 21 dicembre 1248, il Papa aveva attribuito ai Guglielmiti in Germania lo stesso diritto, che avevano i confratelli della Toscana, di utilizzare un altare portatile per la celebrazione della messa. Con questo "privilegio peculiare dei frati mendicanti", "culmine dei loro privilegi originari", i Guglielmiti ebbero la possibilità di celebrare gli uffici religiosi ancor prima di avere una dimora stabile, e laddove la loro povertà impediva loro di erigere altari fissi. Il primo secolo di esistenza portò i Guglielmiti - per quanto riguarda i loro privilegi e la loro posizione giuridica - dalle loro origini eremitiche in prossimità degli Ordini mendicanti. Malgrado ciò, ad Innocenzo, il forte promotore di questa evoluzione, il quale, con maggior diritto rispetto a Gregorio IX, può essere definito il padre dell'Ordine, non interessava certo raccomandare agli eremiti il concetto di povertà degli Ordini mendicanti. Al contrario egli affermò espressamente il loro diritto di accettare beni nella misura in cui questi pervenivano loro in modo lecito. Gli premeva evidentemente di più mobilitare le loro forze a favore della "utilitas animarum", senza certamente andare a violare in modo eccessivo i diritti del clero, che in quel periodo lottava sotto la giuda di Guglielmo di St. Amour contro i frati mendicanti. L'invio dell'Ordine nei territori legati dal punto di vista spirituale e secolare al Papa ed alla sua politica antisveva, fa presumere che egli vedesse nei guglielmiti degli alleati in lotta contro il suo nemico imperiale, contro il quale egli cercava di mobilitare tutte le forze della Chiesa e dei suoi Ordini. Un'indagine più precisa sulle sedi, e sull'attività dei Guglielmiti nel XIII e nel XIV secolo, mostrerà certamente che questi piani - qualora siano realmente esistiti - fallirono. I Guglielmiti, a parte alcune eccezioni, non divennero mai alleati della Curia, nè sotto il profilo della predicazione, nè sotto quello dell'azione politica, nè tantomeno divennero un Ordine dedito all'attività pastorale. La maggiore importanza delle loro origini eremitiche era troppo grande per volgerla del tutto nella direzione del comune sviluppo di un Ordine.