I
Introduzione
Dei numerosi nuovi Ordini sorti, fra lo stupore e la preoccupazione dei contemporanei, nell'XI e XII secolo in Francia e in Italia, quelli dei Cistercensi e dei Premonstratensi furono i più importanti e i più considerati. Dopo la loro fondazione si diffusero con estrema rapidità in tutta Europa, cosicché poterono occupare un posto accanto ai Benedettini e ai Canonici, che fino a quel momento erano stati ritenuti i veri rappresentanti della vita regolare. In questi mutamenti, verso il XIII secolo, i Cistercensi godettero più di altri Ordini il favore della Curia, che apprezzò attraverso ricchi privilegi la loro vasta attività ed i loro vivi sentimenti riformatori, tanto che nel Concilio Lateranense del 1215 elevò la loro forma organizzativa a modello di tutti gli altri Ordini. La formazione degli Ordini mendicanti, strutturati in modo totalmente differente, pose soltanto fine al ruolo guida di entrambi questi grandi Ordini, il cui rigorismo originario aveva perduto di incisività già alla fine del XII secolo. L'importanza di questi due Ordini raggiunse l'apice attorno al 1200, tuttavia agli inizi non sembravano far presagire nulla di particolare. Il convento di Citeaux, fondato da Molêsmes, e quello di Prémontré, situato nella foresta di Coucy, all'inizio del XII secolo non erano assolutamente fatti straordinari ed isolati. Essi sorsero assieme ad altre fondazioni in cui chierici, monaci e laici, come Robert von Molêmes e Norbert von Xanten, insoddisfatti della vita monastica e canonica del tempo, tendevano, attraverso l'ascesi eremitica, al rinnovamento della vera "vita religiosa", o cercavano di coniugare la predicazione e l'attività di cura d'anime con la povertà apostolica e la vita contemplativa. La serie di fondazioni eremitico-monastiche, che a partire dall'XI secolo trasformarono l'Europa, dalla Calabria alla Scozia, in una nuova Tebaide, ha inizio con le fondazioni di Romualdo, Pier Damiani e Giovanni Gualberti, e comprende, accanto ai numerosi eremi rimasti sconosciuti o dimenticati, gli eremi di Stefano von Muret, la grande cattedrale di Bruno da Colonia ed i conventi dei predicatori pellegrini Roberto di Arbrissel, Bernardo di Thiron, Vitale di Savigny e Giraldo di Salles. Sebbene la storia di questo movimento di rinnovamento monastico ed i suoi presupposti spirituali, politici ed economici siano stati studiati intensamente negli ultimi decenni, alcuni Ordini e Congregazioni, operanti soprattutto in Italia e non lontani da questo movimento per quanto riguarda il periodo in cui sono sorti e la loro spiritualità, sono stati quasi completamente ignorati. A queste comunità, che è possibile considerare come testimoni della forza ancora notevole del pensiero eremitico nei secoli XII e XIII, appartiene fra le altre, accanto alle congregazioni degli eremiti di Monte Vergine e di Pulsano, il dimenticato, pressochè sconosciuto Ordine dei frati eremiti di S. Guglielmo (Ordo Fratrum Eremitarum Sancti Wilhelmi). Esso sorse nella diocesi di Grosseto pochi anni dopo la morte del suo fondatore Guglielmo di Malavalle, avvenuta nel 1157, e un secolo più tardi si diffuse, in una "marcia vittoriosa", breve ma imponente, dalla Toscana ai Paesi Bassi, alla Francia e alla Germania fino alla Boemia e all'Ungheria. Nonostante la sua ampia diffusione nel XIII secolo, la storia di questo Ordine eremitico non è stata fino ad oggi ancora scritta. Gli stessi suoi membri cominciarono tardi a dedicarsi ad essa, e soltanto forzatamente. Solo nel 1587 uno di loro, il conventuale e successivamente priore della sede di Parigi, Samson de la Haye (morto nel 1594), scrisse il "Liber de veritate vitae et Ordinis divi Gulielmi quondam Aquitanorum et Pictonum principis", su cui si sono basati fino ad oggi tutti i commenti e le osservazioni sui Guglielmiti. In questo scritto polemico, per il quale utilizzò soltanto parte del materiale d'archivio a sua disposizione a Parigi, egli si ribellò ai tentativi di negare la nobile origine e l'elevata condizione sociale del patrono dell'Ordine, e di affermare l'autonomia dell'Ordine che da lui prende il nome. Le "absurdae fabulae" che de la Haye combattè nella sua "Apologia", divenuta nel frattempo rara, erano state divulgate soprattutto dagli Eremiti agostiniani, i quali dall'unione temporanea dei due Ordini avvenuta nel XIII secolo, trassero l'errata conclusione che i Guglielmiti non fossero che una congregazione del loro Ordine. In questa controversia Samson de la Haye si occupò soprattutto della "Chronica Ordinis Fratrum Eremitarum S. Augustini" del Sacrista papale Giovanni Panfilio (†1581), apparsa a Roma nel 1589; ma la controversia continuò con asprezza anche nel XVII secolo. Essa diede origine, accanto ad altre pubblicazioni di minore importanza, alle uniche opere dedicate alla storia dei Guglielmiti. Con le argomentazioni sostenute da Samson de la Haye e con l'aiuto del priore della provincia monastica francese, il dotto ed imparziale bollandista Goffredo Henskens (†1681), nel suo "Commentarius Historicus de Ordine Eremitarum S. Guilelmi", pubblicato nel 1658 negli "Acta Sanctorum" di febbraio assieme ad una "Vita di S. Guglielmo di Malavalle", riuscì a dimostrare meglio di Samson de la Haye la singolarità dei Guglielmiti e a far luce sull'intricata storia più antica degli eremiti agostiniani, avversari dei guglielmiti. Tuttavia sembra che i risultati del suo trattato non siano serviti praticamente a nulla, se si dà uno sguardo ai manuali ed alle enciclopedie pertinenti. W. Rein, G. C. A. Juten, L. Crick, J. Truttman e A. M. Burg hanno tuttavia in tempi più recenti operato alcune integrazioni in relazione ad alcuni conventi e gruppi conventuali, sebbene non abbiano quasi affatto preso in considerazione il contesto in cui si colloca l'intera storia dell'Ordine. Essi si accontentarono di cenni relativi all'indagine di Henskens, che per motivi di ordine apologetico si limitava soltanto alla rappresentazione dei rapporti fra i due Ordini in contrasto. Solo la "Storia del convento guglielmita di Marienthal in Alsazia" di A. M. Burg, pubblicata nel 1959, si occupa di un legame fra la storia dei conventi e quella dell'Ordine. Molti altri contributi, per lo più piccole ricerche difficilmente accessibili, riguardanti la storia dei singoli conventi, ignorano volutamente le comunicazioni dei Bollandisti, di per sè già avare di notizie, e considerano spesso patriarca dell'Ordine Guglielmo da Gellone o Guglielmo da Hirsau o addirittura il fondatore di Montevergine, quando addirittura non rinunciano, nel loro interesse prevalentemente rivolto alla storia e alla geografia della propria regione, ad inquadrare in un contesto più ampio la storia del rispettivo convento. Paradossalmente furono proprio i già menzionati eremiti agostiniani a dedicarsi, anche se non in modo obiettivo, alla storia dell'Ordine guglielmita. Una temporanea unificazione con loro ebbe come conseguenza il fatto che dal XIV secolo gli storiografi agostiniani avessero presente almeno questo episodio della storia dei Guglielmiti, senza peraltro che ciò significasse occuparsi intensamente dei Guglielmiti, travalicando così i limiti della storia del loro Ordine. L'interesse storico dei Guglielmiti stessi, risvegliatosi tardi e rimasto comunque debole, è più comprensibile se si considera anche la particolare situazione del loro Ordine. La povertà e la durezza che nei primi secoli della sua storia caratterizzavano la vita dell'Ordine, non offrirono alcuno spazio all'attività scientifica. Mentre nel XVI e nel XVII secolo i Benedettini, i Cistercensi, i Domenicani ed i Francescani scrissero, in maniera enciclopedica sì, ma anche con senso critico, la storia dei loro Ordini, all'Ordine eremitico dei Guglielmiti, in continuo declino, mancarono storici di rango che, come Luca Wadding o Fernando del Castillo, potessero scrivere annali come quelli su cui ancora oggi si basano gli storici dei Francescani e dei Domenicani: Samson de la Haye non trovò nè sostenitori nè successori di egual valore. Nel XIX secolo, allorchè la storiografia degli Ordini cominciò ovunque ad utilizzare il metodo critico, non ci fu più alcun guglielmita che studiasse a titolo di interesse personale la storia della propria congregazione, e che quindi ponesse rimedio alle omissioni dei secoli precedenti. Il sorprendente disinteresse dei Guglielmiti nei confronti della loro storia, anche se non può essere spiegato, può almeno essere capito in riferimento a come essa è stata trasmessa: soltanto una ricerca molto intensa, difficilmente attuabile in passato, avrebbe potuto consentire il reperimento del materiale necessario. Gli archivi della casa madre di S. Guglielmo a Malavalle (danneggiata da un incendio nel XII secolo, poco dopo distrutta quasi completamente da una alluvione e più di una volta "visitata" da pirati e dal popolo in tempi di guerra), naturalmente ricchi di informazioni per quanto riguarda le origini e lo sviluppo primitivo dell'Ordine, andarono perduti dopo la soppressione del convento nel XVII secolo, laddove ancora esistevano. La stessa sorte toccò agli archivi dei più antichi conventi italiani affiliati, che già nel XIII e nel XIV secolo furono allontanati dall'Ordine o meglio sciolti. I loro stessi nomi vengono spesso dimenticati, e sembra che ormai anche indagini, ancora più intense di quelle un tempo possibili, possano portare alla luce soltanto una certa quantità di piccoli residui della loro tradizione dispersa o distrutta. Fortunatamente al di là delle Alpi la tradizione dei conventi guglielmiti è stata in generale meglio tramandata. Qui si ordinò nel 1304, nell'ambito di un capitolo della provincia francese dell'Ordine, che i privilegi monastici più importanti dovessero essere riuniti e depositati nei conventi olandesi o francesi di Baseldonck, Walincourt e Bernardfagne. Mentre l'archivio del convento brabantino di Baseldonck fu gravemente danneggiato dalle guerre di religione del XVI e del XVII secolo, gli archivi degli altri due conventi, situati rispettivamente in Francia ed in Belgio, conservano materiale che consente di concludere che la decisione del capitolo almeno per un momento abbia avuto validità. Probabilmente nello stesso secolo si decise che anche a Parigi venissero raccolti, in un "Liber ordinis", importanti documenti dell'Ordine, come le Costituzioni, gli statuti e i privilegi. Se ne conserva una copia del guglielmita di Walincourt Johannes de Monte, fatta fra il 1486 e il 1506 (si tratta del codice 1124 della Biblioteca Municipale di Cambrai) ed è, assieme ad altri documenti specialmente parigini, fra le fonti della storia dell'Ordine che non sono state ancora fino ad oggi elaborate. Questi sforzi, sostenuti per motivi puramente pratici, e cioè per tenere insieme i documenti più importanti dell'Ordine e di preservarli dalla dispersione, non possono certamente sostituire la tenuta ordinata di un registro o la raccolta accurata delle decisioni di un Capitolo. E' vero che all'inizio del XIV secolo si è cominciato nella casa madre a raccogliere gli statuti dei Capitoli Generali, ma si trattò soltanto di un primo tentativo. Non risulta sia stata tentata la registrazione delle lettere della direzione dell'Ordine, cosa invece comune negli altri Ordini. Anche nelle province mancava un interesse costante a raccogliere i protocolli dei Capitoli, che, almeno nella provincia francese, venivano tenuti regolarmente: ragion per cui negli archivi delle singole sedi oggi è possibile rinvenire soltanto frammenti, conservati fra l'altro casualmente, di questi documenti ricchi di informazioni sulla storia dell'Ordine. Accanto agli archivi centrali citati, purtroppo solo della provincia francese dell'Ordine, rimangono gli archivi dei restanti conventi, i quali sono in parte perfettamente conservati e contengono una grande quantità di materiale di grande importanza spesso trascurato, se si considera la povertà delle fonti, ma che nella maggior parte dei casi riguarda il periodo tardo dell'Ordine; inoltre tale materiale d'archivio, nell'ambito della decentralizzazione crescente del XIV secolo, tratta per lo più di fatti d'importanza locale a scapito della storia dell'intero Ordine. Da questo materiale disparato ed ampiamente disperso, che solo in rari casi è stato consultato, si deve tentare di offrire un primo quadro, certamente da completare, della storia dell'Ordine dei Guglielmiti e, contemporaneamente, di un tipo particolare di monachesimo. Al di là del fine di un simile inventario, deve essere studiata con più precisione la posizione e la possibilità di condizionamento degli Ordini eremitici rispetto al monachesimo occidentale in relazione alla storia di questo Ordine eremitico relativamente poco importante. Ad una interpretazione sintomatica di questo tipo, l'Ordine offre presupposti favorevoli. Esso appartiene infatti alle poche comunità di eremiti dell'alto medioevo che riuscirono ad affermare la propria esistenza fino all'età moderna. La maggior parte dei numerosi eremi sorti nello stesso periodo, già dopo alcuni decenni, andarono in rovina e furono dimenticati. Altri rinunciarono, volontariamente o meno, alla costituzione di un proprio Ordine eremitico e si unirono ai Benedettini, ai Cistercensi o ai Canonici, nei cui Ordini tuttavia venne conservata l'esistenza delle loro case, ma non il modo di vivere originariamente eremitico. I superstiti hanno cercato di affermare non soltanto la loro autonomia, ma anche, come nel caso dei Guglielmiti, la loro spiritualità, fin dall'inizio anacronistica ed eremitico-ascetica, di fronte al modello di vita cenobitico dei Cistercensi e all'attività apostolica dei Francescani e dei Domenicani. Almeno all'inizio i Guglielmiti sono riusciti in ciò in contrasto coi piani della Curia: nel 1256 Alessandro IV si vide costretto a rinunciare alla loro incorporazione in un Ordine mendicante e ad indicare l'Ordine non più come "Ordo monasticum" come prima, ma come "Ordo eremiticus", cedendo così alle loro resistenze. Un atto, questo, che superò l'antica suddivisione canonica in "Ordo monasticus" e "Ordo canonicus", e che riconobbe, almeno dal punto di vista giuridico, una terza possibilità di "vita religiosa". Ciò non impedì certamente che la vita e la posizione dei Guglielmiti (che nel XVIII secolo difesero nuovamente con energia il titolo di Ordo eremiticus") nell'ambito del diritto canonico si adeguasse quasi obbligatoriamente all'evoluzione generale degli Ordini e che le loro Costituzioni acquisissero elementi del monachesimo cenobitico, specialmente di quello dei Cistercensi e dei Mendicanti. La resistenza opposta dai Guglielmiti alla totale assimilazione negli Ordini monastici e mendicanti è sintomatica della lotta per la propria affermazione che l'anacoretismo, ossia la prima e la più originale forma di "vita religiosa", ha dovuto sostenere in occidente con il monachesimo cenobitico. Il forte adattamento dei Guglielmiti al cenobitismo rivela l'esito di questa lotta, e mostra contemporaneamente come la vita eremitica avesse prospettive minime accanto al "fortissimum genus", sebbene la dura vita dell' "athleta Christi" fosse considerata anche nella letteratura monastico-ascetica come molto più elevata rispetto alla "vita communis". Al di là di qualsiasi significato sintomatico, un singolo caso come quello dei Guglielmiti non può chiarire esaustivamente la problematica posizione del movimento eremitico nel monachesimo occidentale. La contrapposizione fra "vita eremitica" e "vita coenobitica", così ricca di tensioni, alla quale si collegava in parte la polarità della vita attiva e di quella contemplativa, non viene più di tanto evidenziata nella varietà dei suoi aspetti dalla realtà storica dell'Ordine, ma emerge maggiormente dalla letteratura monastico-ascetica, come l'autore si propone di fare nell'ambito di un'indagine più approfondita.