Kaspar Elm
Studi sugli antecedenti della storia dell'Ordine eremitano agostiniano
L'eremitismo in occidente nei secoli XI e XII
Società Editrice Vita e Pensiero, Milano 1962
III
I motivi della formazione dell'Ordine Eremitano Agostiniano
Quando dopo la morte di Innocenzo IV il cardinale Riccardo, con l'appoggio di Alessandro IV, suo parente, riprese l'opera di unificazione degli eremiti intrapresa nel 1244, allo scopo di portarla avanti entro limiti più grandi e di completarla, si trovò a fronteggiare un'altra situazione (295). Questa volta non si trattava di raccogliere un gran numero, difficilmente calcolabile, di fondazioni piccole e poco ordinate, bensì di unire in forma nuova, sotto un altro nome e con un unico abito, un numero limitato di Ordini viventi secondo regole approvate, bene organizzati ed in parte protetti da cardinali molto influenti; soltanto gli Eremitani Agostiniani della Toscana poterono provare la soddisfazione di veder continuare a vivere la loro tradizione, i loro nomi ed il loro abito. La rappresentazione finora offerta ha mostrato che gli Ordini indotti nel 1256 ad unirsi, in tutta la loro diversità quanto ad età ed origini, avevano in comune una originaria tendenza alla vita isolata dal mondo (296), tendenza che tuttavia si unì con la volontà di vita apostolica in povertà, mendicità e predicazione culminante nella prima metà del XIII secolo, e che fu sempre più celata dalla dinamica di questo ideale, il che fu incoraggiato ed accelerato dalla Curia, soprattutto sotto Innocenzo IV, attraverso indulti e privilegi apostolici. Relativamente a questa situazione sorge la domanda sul perché il cardinale Riccardo Annibaldi, nonostante l'organizzazione promossa sotto Innocenzo IV e l'attività di cura d'anime rafforzata sotto il suo pontificato, insistette su un'unione, soprattutto su provvedimenti presi dopo il 1256 allo scopo di intensificare la cura d'anime, come l'ordine di lasciare gli eremi isolati e di insediarsi nelle città, provvedimenti che avrebbero potuto essere seguiti anche all'interno dei singoli Ordini (297). Una prima risposta viene data dal desiderio "ex pluribus cuneis acies una consurgeret fortior ad hostiles spiritualis nequietie impetus conterendos" espresso nella Bolla "Licet Ecclesiae Catholicae" (298). Essa afferma che per la Curia, per quanto riguarda i provvedimenti messi in atto sostanzialmente da Riccardo, non si trattò dell'attivazione della cura d'anime nell'ancor relativamente piccolo Ordine, bensì della creazione di una comunità numericamente più grande e più potente di quella esistita fino ad allora. Quale modello avesse a tale proposito davanti agli occhi, lo mostrano non soltanto il tipo di privilegi e la forma dell'organizzazione dell'Ordine (299), ma anche le chiare affermazioni degli storici dell'Ordine del XIV secolo, che con una franchezza fuori dal comune fra gruppi in competizione, spiegano come il Papa si fosse lasciato guidare dal modello dei Francescani e dei Domenicani, i quali per la Chiesa si erano dimostrati molto importanti (300). Volendo vedere nell'Ordine di nuova fondazione una comunità di egual valore rispetto ai Francescani ed ai Domenicani, non si può dimenticare che entrambe le unioni non vennero ideate e realizzate da istanze anonime, ma furono, in una maniera certamente fuori dal comune, soprattutto l'opera di un uomo, il cardinale Riccardo Annibaldi (301). L'aristocratico, discendente da un'importante famiglia romana, che dal 1237 fino alla sua morte avvenuta nel 1276, appartenne al Sacro Collegio quale cardinale diacono di S. Angelo in Pescheria, non aveva in fondo una natura monastica alla quale sarebbe stata necessaria una fondazione di un Ordine. Si tratta di un principe della Chiesa il quale, circondato da un vasto seguito, sostenuto da cardinali a lui fedeli e reso più forte da papi suoi parenti, giocò un ruolo importante non soltanto nelle grandi questioni politico-ecclesiastiche, bensì anche in quelle romane ed italiane, ruolo che fece sì che l'avversario degli Svevi divenisse sostenitore dichiarato della politica inglese, amico e fautore di Carlo d'Angiò ed infine, dopo la sua svolta verso una politica contrastante con le intenzioni della Curia, sostenitore degli interessi imperiali. E' improbabile che un politico impegnato in tale misura e non estraneo a rivalità interne alla Curia non si sia occupato con inaudito zelo, perfino in questioni di dettaglio della formazione, espansione e guida dell'Ordine - solo per poter attuare in maniera non egoistica il XIII canone del Concilio Lateranense del 1215. E' più ovvio che formazione dell'Ordine ed interessi politico-ecclesiastici coesistessero, che un uomo come Riccardo Annibaldi sapesse valutare il significato e l'importanza di un Ordine molto diffuso e guidato centralmente, e che a lui, come ai suoi confratelli, sostenitori o avversari che fossero, fosse chiaro quanto il protettorato avrebbe potuto aumentare il potere e l'influenza su un Ordine simile. L'interesse personale del cardinale, il cui "Guelfismo" indubbiamente influenzò l'atteggiamento successivo dell'Ordine, volutamente fedele al Papa, non deve illudere sul fatto che l'Unione senz'altro venne incontro completamente a bisogni oggettivi. Come viene accennato nella Bolla "Licet Ecclesiae Catholica" (302), la coesistenza degli Ordini, di tanto in tanto divisi e con abiti diversi, era già da tempo motivo di serie preoccupazioni. Nel loro aspetto esteriore e nella loro condotta di vita i membri degli Ordini uniti si distinguevano poco da quelli delle istituzioni scaturite dai movimenti eremitani, di povertà e di penitenza, che quale espressione visibile dei loro principi indossavano l' "habitus paupertatis", l'abito perlopiù grigio o incolore (grezzo). Certamente nella grande quantità di gruppi e comunità diversi di essi dovettero correre il pericolo di essere scambiati con eretici e spie similmente vestiti. Questa molteplicità era pericolosa perché induceva in errore i fedeli ai quali mancava necessariamente la capacità di distinguere. Essa divenne tuttavia un pericolo reale soltanto con le tensioni che essa produsse nella struttura degli Ordini religiosi. I Minoriti, esponenti ortodossi del movimento religioso di povetà del XIII secolo, esigevano per sé in atteggiamento monopolistico anche il programma visibile di questo movimento, e cioè l' "habitus paupertatis", il semplice abito grigio, trattenuto da una cintola intrecciata. Le tensioni fra i Minoriti e gli Ordini dei Zambonini, dei Brettinesi e dei Guglielmiti, organizzati non senza il loro modello, non si espressero quindi soltanto in tentativi, ad esempio di portare l'Ordine dei Zambonini all'annessione (303), bensì anche in frequenti proteste ed interventi nell'ambito della Curia che si risolsero nell'indurre questi Ordini alla rinuncia al loro abito o alla particolare caratterizzazione, come press'a poco il mantenimento del bastone da eremita il quale, a chi si era fatto vecchio nella vita eremitica, iniziava a pesare (304). In una serie di pretese, contropretese, minacce di punizioni e compromessi sollevate con la Bolla "Dudum apparuit" del 24 marzo 1240, la Curia cercò di indurre gli Ordini in questione, in particolare i Zambonini ed i Brettinesi, così come altre comunità scaturite dai movimenti religiosi del XII e XIII secolo, ad assumere un abito bianco o nero allo scopo di contraddistinguere anche esterioriormente i Minoriti quali veri rappresentanti del concetto di povertà legittimato dal punto di vista ecclesiastico, e di adeguare gli altri Ordini, approvati o come "ordo canonicus" o come "ordo monasticus", anche nel loro abito: "nigri" o "albi" (305). Le disposizioni di Gregorio IX incontrarono la vigorosa resistenza soprattutto da parte dei Brettinesi, e portarono soltanto a dei compromessi. Solo il Cardinale Riccardo, attraverso l'Unione, fece qualcosa di concreto anche a tale proposito. Egli prescrisse l'abito nero, già proposto da Gregorio IX, nella forma già indossata dagli Eremitani Agostiniani della Toscana all'intero Ordine, il quale lo accettò dopo qualche indugio (306) e lo intese nel XIV secolo quale espressione del suo carattere impresso, a quel che si dice, dallo stesso Agostino (307). Che con l'Unione del 1256 si fosse giunti all'unificazione dell'Ordine, e quindi per la prima volta al congiungimento di gruppi omogenei, divenne evidente pochi mesi dopo l'assemblea di unione in S. Maria del Popolo. L' 1 agosto 1256 un provinciale, certo Nicola, dichiarò "nomine meo et omnium fratrum totius provinciae et locorum dicti Ordinis", di essere pronto ad aderire all'Ordine eremitano agostiniano su disposizione del Cardinale Riccardo, delegato del Papa (308). Si trattava del Priore della "domus S. Augustini" a Milano e del Provinciale degli ultimi rappresentanti dell'Italia settentrionale dei "Pauperes Catholici", che nel 1207, sotto Durando di Huesca di Diego di Osma e Domenico, erano stati convertiti e riappacificati con la Chiesa, dopo il 1237 avevano adottato la regola agostiniana, ed ora avevano perduto in importanza (309). E' vero che tale sviluppo aveva allontanato sempre di più gli eretici riconciliati dal loro "propositum" originario, e li aveva condotti nelle vie del sistema religioso tradizionale; è tuttavia sbagliato quanto emerge dalla storiografia religiosa, secondo cui cioé tale sviluppo avrebbe reso eremiti dei predicatori della vita apostolica, a meno che non si considerassero eremiti non soltanto simili comunità viventi isolate come gli eremi toscani, ma anche gruppi viventi al di fuori dei grandi Ordini, in un ampliamento quasi eccessivo del concetto (310). L'esternazione fatta da Alessandro IV in occasione dell'incorporazione dei "Pauperes Catholici", secondo la quale il Cardinale Riccardo Annibaldi era incaricato di riunire "omnes eremitas cuius cumque Ordinis" (311), è uno degli indizi (312) che fanno capire che almeno temporaneamente esistevano progetti in Curia relativamente alla riunione di altri gruppi rispetto a quanto accaduto nel 1256 con la Grande Unione. Il fatto che Serviti (313), Camaldolesi (314) e Carmelitani (314b), che nell'anno dell'Unione si erano affrettati a richiedere il rinnovamento dell'approvazione dei loro Ordini, non fossero stati inclusi nella grande riunione di eremiti, non fu uno svantaggio per l'opera del cardinale. Un Ordine di simili dimensioni, composto da membri di origine diversa e con un passato ricco di tradizione, sarebbe andato oltre le forze e le possibilità anche di un uomo più potente e più energico di quanto non fosse il cardinale in questione. La realizzazione dell'Unione più piccola comportò sufficienti difficoltà. La rigida pretesa di povertà ispirata al modello dei Minoriti dovette essere mitigata (315) e ad alcuni eremi dovette essere riconosciuta la possibilità di permanere nella condotta di vita avuta fino a quel momento (316). Anche queste concessioni non bastarono tuttavia a salvare l'unità del giovane Ordine. Già nel 1256 si accese nuovamente fra i "Poveri Cattolici" l'antico fuoco rivoluzionario. A Milano essi si rifiutarono di vivere "in choro, refectorio, dormitorio et in capitulo sicut ipsius Ordinis fratres" ed in luogo di ciò fuggirono dal convento agostiniano di S. Marco, dove erano stati insediati per favorire una loro migliore "assimilazione", verso la loro "Schola", molto discussa già all'inizio del secolo. Qui essi affermarono ancora per alcuni anni la loro autonomia. Solo nel 1272 furono ricondotti nell'Ordine con la forza delle armi come peccatori pentiti (317). Più duratura e più ricca di successi fu l'opposizione dei Guglielmiti. Al Capitolo di unione nel marzo del 1256, essi avevano aderito all'unione con riluttanza, ma in forma giuridicamente vincolante (318); subito dopo questo passo, tuttavia, essi dovevano aver riconosciuto la portata di una decisione che li privava del titolo del loro Ordine e del loro abito, e che poneva fine impietosamente ad una storia più o meno secolare, durante la quale essi erano dinvenuti una comunità insediata in vaste parti d'Europa. In un periodo di tempo relativamente breve essi riuscirono, facendo presente fra gli altri la loro rigida condotta di vita, ad ottenere l'uscita dall'Unione (319) e, in una maniera fino ad allora inconsueta, ad ottenere la conferma di "ordo eremiticus" (320). Sebbene Alessandro IV avesse nell'agosto del 1256 permesso agli eremiti dell'Ordine guglielmita di restare "in solito habitu", la bolla dell'Unione "licet Ecclesiae Catholicae" non mancò di produrre i suoi effetti. Numerosi conventi guglielmiti situati soprattutto in Germania ed in Ungheria, si unirono agli Eremitani Agostiniani, e nel corso del nuovo orientamento di questo Ordine furono soppressi e trasferiti nelle città in parte contro le resistenze del clero. L'Ordine gugliemita cercò, contro questa illegittima diminuzione, l'aiuto della Curia. Ma nonostante molteplici minacce di punizioni contro l'apostasia dei singoli membri, e la conversione di intere case (321), ci vollero ancora dieci anni prima che Clemente IV inducesse i cardinali protettori degli Ordini in conflitto ad un compromesso col quale il Cardinale Riccardo poté spingere il suo confratello Cardinale Stefano di Gran, protettore dei Guglielmiti, a concedere di lasciare nell'Ordine eremitano agostiniano circa dieci conventi guglielmiti, e ad accontentarsi della restituzione di probabilmente quattro conventi (322). La diminuzione dei "pauperes Catholici" e l'uscita dei Guglielmiti dovettero al momento sembrare una perdita che faceva dell'unione grandemente pianificata un'opera incompiuta. Lo sviluppo successivo dell'Ordine eremitano agostiniano mostra tuttavia come la limitazione a tre Ordini, ai quali erano comuni già prima dell'Unione la regola agostiniana ed una intenzionale conversione alla mendicità ed alla cura d'anime, evitò tensioni profonde. La molteplicità così limitata in maniera tollerabile, si perdette nel corso del XIII secolo e ricevette soprattutto nel XIV secolo una particolare legittimazione allorquando, in mancanza di una proprio grande fondatore, si cominciò a considerare S. Agostino, la cui regola tutti e tre seguivano, come padre dell'Ordine, e l'Ordine stesso come la "più agostiniana" di tutte le comunità viventi secondo la regola agostiniana (323). In tale luce l'unione apparve come la concentrazione dell'antico e venerabile monachesimo agostiniano, e la coesistenza di ascesi eremitica e cura d'anime attiva, caratteristica ancora nel XIV secolo, come seguito allo stesso modo legittimo del padre dell'Ordine, che, quale eremita e predicatore, vescovo e monaco, poteva essere modello per tutti i membri dell'Ordine. Da uno sguardo a posteriori alla nostra lacunosa rappresentazione, che lascia irrisolti più problemi di quanti non ne risolva, emerge che l'Ordine eremitano agostiniano non fu il risultato di un unico atto costitutivo da datare nell'anno 1256. Esso fu piuttosto il prodotto di un'intera serie di provvedimenti presi innanzitutto all'inizio del XIII secolo ancora senza l'intenzione di una costruzione dell'Ordine, ma ricondotti più tardi all'interno di una pianificazione ispirata dalla Curia. In realtà soltanto alla fine del XIII secolo si fece notare nell'efficace e ben organizzato Ordine il frutto di questi molteplici sforzi. Retrospettivamente si può anche osservare il fatto che per quanto riguarda la formazione di questo Ordine non si trattò di una riorganizzazione violenta e dolorosa di anacoreti vissuti fino ad allora nel perfetto isolamento della contemplazione, come invece percepì tutto ciò Guglielmo Flete in un romantico disconoscimento della preistoria dell'Ordine. Il desiderio di eremitico isolamento che era all'origine di tutti i gruppi riuniti nel 1256, si realizzò solo raramente nelle forme di un anacoretismo idealtipico, e senza dubbio non trovò spesso una spensierata scappatoia non toccata da tensioni politiche e religiose, come quella cercata dall'eremita inglese che tentava di conservarla quando Caterina da Siena lo esortò a difendere la causa della ricostruzione dell'unità ecclesiastica e della riconquista della Terra Santa. Già nei primi anni della loro esistenza, i Zambonini ed i Brettinesi, ad esempio, furono sottratti al loro isolamento e coercitivamente riportati "nel mondo" alla mendicità e al desiderio di azione apostolica, e posti di fronte all'alternativa fra "vita contemplativa" e "vita activa" sempre avvertita nel medioevo come assillante. Quando con l'Unione del 1256 la cura d'anime attiva divenne il vero e proprio compito dell'Ordine, ciò non significò certo un nuovo orientamento di base, ma soltanto il rafforzamento di una tendenza già presente. Negli Ordini dei Brettinesi e dei Zambonini, la decisione fra l'eremitisno e l'attività pastorale era già presa, per quanto riguarda gli Agostiniani della Toscana la promozione, conforme ai piani, della cura d'anime, aveva nell'unione del 1244 soltanto rafforzato un più antico disegno risalente alle origini di alcune case, e non aveva quindi posto alcuna nuova funzione; anche in questo caso, di conseguenza, l'Unione del 1256, con la sua energica pretesa di porsi completamente al servizio della cura d'anime, fu soltanto una tappa, sebbene importante, di un più lungo cammino.
Entrambe le tendenze dell'unificazione e della trasformazione, operanti per quasi un secolo, furono determinanti nel XIII secolo non soltanto per la storia dell'Ordine eremitano agostiniano. Solo per citare due esempi fra loro molto lontani dal punto di vista spaziale, è possibile seguirle con riguardo agli eremiti di S. Paolo (324), originari dell'Ungheria, ed agli eremiti del Monte Carmelo (325), provenienti dalla Terra Santa, di cui gli uni vennero "acquisiti", gli altri convertiti ad una esistenza improntata alla mendicità ed alla cura d'anime. Essi vanno collocati nel contesto degli sforzi aumentati sotto Innocenzo III, e sempre rinnovati nel corso del XIII secolo, di organizzare le numerose comunità risalenti al XII secolo o sorte nel XIII, e di porle al servizio della Chiesa e dell'attività pastorale (326). Questi sforzi raggiunsero il loro culmine quando il Concilio di Lione su consiglio degli esperti consultati (327), decise di sciogliere gli Ordini mendicanti più piccoli sorti dopo il 1215, che dal punto di vista dei potenti ed influenti Ordini mendicanti potevano sembrare pallide imitazioni e deboli epigoni (328). Questo provvedimento, che escludeva solamente i Francescani e i Domenicani (329), riguardava anche gli Eremitani Agostiniani e significava che l'opera del Cardinale Riccardo era stata posta di fronte alla sua più grande prova di resistenza. Il Concilio si astenne nel 1274 da una decisione definitiva sul destino degli Eremitani Agostiniani e dei Carmelitani. Poco più tardi la Curia si decise a favore di entrambi gli Ordini e dei Serviti che miravano ad uno sviluppo simile, allorquando fu loro concesso di continuare ad esistere e ad assumere sedi degli Ordini sciolti (330). Questo privilegio continuò ad essere garantito soltanto dopo importanti mediazioni. Senza dubbio in tale occasione si operò nel senso che le effettive origini sia degli Eremitani che dei Carmelitani ebbero la priorità sul Concilio Lateranense. Il vero argomento, che la decisione positiva della Curia potesse aver determinato, fu tuttavia il richiamo al fatto che gli Ordini menzionati, così come i Francescani e i Domenicani, si fossero resi indispensabili per la Chiesa attraverso la loro "utilitas", ed avessero così il diritto di continuare ad operare. Il riconoscimento di tale esigenza significò un ultimo "placet" al lungo processo di unificazione e trasformazione al quale l'Ordine eremitano agostiniano era stato soggetto. La "utilitas" per la Chiesa e per i suoi fedeli confermata all'Ordine non può essere misurata con il parametro che risponde alle funzioni dell'eremitismo classico. Cura d'anime, scienza ed attività ecclesiastico politica sono campi d'attività che non corrispondono al senso di una condotta di vita che serve la comunità soltanto in maniera indiretta mediante l'autosantificazione, un'esistenza esemplare e la preghiera per gli altri. La rinuncia alla vita eremitica e l'assunzione di un'attività rivolta al mondo, il cambiamento dalla "vita contemplativa" alla "vita activa" si realizzò nell'Ordine eremitano agostiniano non senza il tentativo di una giustificazione teologica. Inquadrarlo nel contesto della storia spirituale del XIII e XIV secolo è un compito che in tale sede può essere soltanto abbozzato, ma non essere risolto.
_____
NOTE
295) Innocenzo IV, 15.7.1255, AA. IV, pag. 297; ders. 23.3.1257, EMPOLI, pag. 23; POTT., nr. 16806.
296) Trotz der von B. VAN LUIJK, in "Archiv für Kulturgeschichte", XLVI (1962), pag. 130-131, gegen eine ähnliche Formulierung im "Archiv für Kulturgeschichte", XLII (1960), pag. 357, vorgebrachten Bedenken, möchte ich an der obigen Darstellung festhalten. Cfr. In diesem Zusammenhang auch Anm. 307-309.
297) Alessandro IV, 12.4.1256, AA. IV, pag. 441; BOUREL I, 314; ders. 13.12.1259, TORELLI IV, pag. 639. Die nach 1256 zunehmende Verlegung bisher abgelegener Eremitorien in die Städte genau zu belegen, würde zu weit führen. Cfr. AUG. VI (1956), pag. 76, Anm. 156.
298) Alessandro IV, 9.4.1256, AUG. VI (1956), pag. 10-13; POTT., nr. 16335. Der von R. KUITERS, in AUG. VI (1956), pag. 14ss, gegebene Kommentar zur Bulle "Licet Ecclesiae Catholicae" verdient besondere Beachtung.
299) Statt Einzelnachweise: E. A. VAN MOÉ, Recherches sur les Eremites de S. Augustin entre 1250 et 1350, in "Revue des questions historiques", LX (1932), pag. 257-316 und J. RODRIGUEZ, La exención de la Orden de S. Augustìn en el aspecto teórico y en su aplicación pratica, in "Ciudad de Dios", CLXIX (1956), pag. 537: "En todo esto sigue el camino de las otras ordenes mendicantes: franciscanos y dominicos".
300) JORDANUS DE SAXONIA, Vfr., pag. 46, 57; ENRICUS DE FRIEMAR, Tractatus, pag. 103.
301) Grundlegend für die Biographie Richards jetzt ROTH, Cardinal Richard Annibaldi, cfr. Anm. 2. Der hier angedeutete Zusammenhang zwischen kirchenpolitischer Aktivität und Orden bildung müsste noch näher untersucht werden.
302) Alessandro IV, 9.4.1256, AUG. VI (1956), pag. 10-11: "Verum circa edificationis babricam que in templum sanctum in domino operariorum eius studio moliente succrescit, credimus assidue providendum, ut in varietatibus partium que ad decorem structure dominice adhibentur, sic appareat distincta diversitas, ut non sit confusio indiscreta, nec alterius forma importuna consimilitudine speciem pretendat alterius, sed singula queque certum proprii modi ordinem sortiantur".
303) P. 846.
304) Innocenzo IV, 14.3.1253, BERGER, III, nr. 6417; POTT., nr. 14914.
305) An die Johannboniten und Brettiner, die sich unter ihrem Prior Andreas heftig widersetzten (Gregorio IX, 18 juli 1240, TORELLI, IV, pag. 352; POTT., nr. 10917; Gregorio IX, 18.8.1240, TORELLI, IV, pag. 355; POTT., nr. 10932) richtete sich vornehmlich die Forderung, das graue Gewand mit einem schwarzen zu vertauschen, die Eremitenstäbe beizubehalten und einen breiten, gut sichtbaren Gürtel umzulegen (Gregorio IX, 24.3.1240, EMPOLI, pag. 128; AUVRAY, nr. 5122). Es gelang ihnen, ihr Gewand beizubehalten, jedoch unter Verzicht auf den Gürtel (Gregorio IX, 18.8.1240, TORELLI, IV, pag. 355; POTT., nr. 10932). Unter Alexander IV (22.2.1256, POTT., nr. 16261) wurde das Problem wieder akut, nachdem Innozenz IV ihm weniger Aufmerksamkeit schenkte. Er liess z. B. den Wilhelmiten ihr bisheriges Gewand (5.1.1249, POTT., nr. 13154). Den Toskanischen Eremiten wurde schon bei ihrer Union die schwarze "cuculla" vorgeschrieben. Mit einigen Aenderungen wurde ihr Gewand zur Kleidung des 1256 gebildeten Ordens. Cfr. Anm. 288.
306) Alessandro IV, 9.4.1256, AUG. VI (1956), pag. 10ss; Ders., 17.6.1256, EMPOLI, pag. 21; POTT., nr. 16425. Ders., 16.10.1256, EMPOLI, pag. 21; POTT., nr. 16583. Bischof von Prato, 8.11.1268, AA. XIX (1943), pag. 23; WADDING, Ann. Minorum, IV, 452.
307) ENRICUS DE FRIEMAR, Tractatus, pag. 92-94; JORDANUS DE SAXONIA, Vfr., pag. 48-57.
308) Alessandro IV, 23.10.1256, TORELLI, IV, pag. 545-607, BOUREL, II, nr. 2299.
309) Zur Geschichte dieser Gruppe und ihres Gründers: J. B. PIERRON, Die katholischen Armen. Ein Beiträg zur Entstehungsgeschichte der Bettelorden mit Berücksichtigung der Humiliaten und der wiedervereinigten Lombarden, Freiburg 1911; GRUNDMANN, Religiöse Bewegungen, pag. 100-118; A. DONDAINE, Durand de Huesca controversiste, X Congr. Internaz. di Scienze Storiche. Riassunti, VII, pag. 218-222, Firenze 1955, ders., AFP, 29 (1959), pag. 228-276.
310) TORELLI, IV, pag. 545.
311) Cfr. Anm. 308.
312) Cfr. ROTH, VIII (1958), pag. 31-32.
313) Alessandro IV, 6.4.1256, Monumenta Ordinis Servorum Sanctae Mariae, XVI, Brussel-Roma 1897-1930, pag. 218. ROSSI, Manuale di Storia dell'Ordine dei Servi di Maria, pag. 348 glaubt, dass bereits 1251 Wilhelm Fieschi eine um die Serviten zentrierte Eremitenunion plante, wie sie Richard nach Wilhelms Tod durchführ.
314) Alessandro IV, 30.4.1256, AUG. VIII (1958), pag. 10-12.
314b) Alessandro IV, 3.2.1256, E. MONSIGNANO, Bullarium Carmelitanum, Roma 1715, pag. 15-16.
315) Alessandro IV, 9.4.1256, EMPOLI, pag. 18; POTT., nr. 16334; ders., 13.6.1257, AA. III, pag. 29-31; BOURBEL, I, 1867. JORDANUS DE SAXONIA, Vfr., pag. 343-347. Cfr. R. KUITERS, in AUG. VI (1956), pag. 26-27.
316) JORDANUS DE SAXONIA, Vfr., pag. 57-58. Alessandro IV, 7.7.1260: EMPOLI, pag. 32; POTT., nr. 17915: gestattet, dass im Eremitorium von Brettino "vita eremitica perpetuis temporibus observetur". Die "vita eremitica" wurde von einzelnen Ordensleuten in den alten Eremitorien gelebt: Nicolaus de Tolentino (AA. SS. Sept. III, pag. 646); Augustinus Novellus (AA. SS. Mai IV, pag. 260). Neuerichtung von Eremitorien: AA. XII, pag. 110ss; AUG. VI (1956), pag. 76, Anm. 156.
317) Uebergabeurkunde: 3.10.1372; TORELLI, IV, pag. 768-769; E. LATTES, Repertorio Diplomatico Visconteo, Milano 1911, I, pag. 13.
318) Clemente IV, 30.8.1266; M. FÉLIBIEN, Histoire de la ville de Paris, Paris 1725, III, pag. 234-238; K. ELM, Die Bulle "Ea quae iudicio" Clemens IV, in AUG. XIV (1964).
319) Alessandro IV, 22.8.1256; S. HAIUS, Liber de veritate vitae et ordinis divi Guilielmi quondam Aquitanorum et Pictonum principis, Paris 1587, pag. 71-72; POTT., nr. 16528.
320) Alessandro IV, 28.8.1256, Bull. Rom. Taur., III, pag. 641-644; POTT., nr. 16533.
321) Alessandro IV, 21.7.1260, Monumenta Boica, XXVI, München 1826, pag. 10; POTT., nr. 17896a; Urbano IV, 6.10.1261, Arch. Vat. Reg. 26, fol. 3v; GUIRAUD, I, nr. 13; ders., 1.1263; HAIUS, pag. 75; POTT., nr. 18477; ders., 9.2.1263, Generallandesarchiv Karlsruhe, piar 752, fol. 26; ders., 26.2.1264, Ms. Bibl. Munic. Cambrai 1124, fol. 207; ders., 3.1264, GLA Karlsruhe, Kopiar 752, fol. 52.
322) Clemente IV, 30.8.1266, FÉLIBIEN, III, pag. 234-238; POTT., nr. 19807, Anm. 318.
323) Frühe Zuegen für das an Augustinus orientierte Selbstbewusstsein des Ordens sind inrich von Friemar, Jordan von Sachsen und der anonyme Verfasser der Augustinusvita Cod. Laur. Plut. 90 Sup. 48 (Cfr. ARBESMANN, in "Traditio", XVIII (1962), pag. 319ss).
324) A. EGGERER, Fragmen panis corvi proto-eremitici sivi annales eremi-coenobitiorum tinum, in "Carmelus", VI (1959), pag. 153-223.
325) E. MONSIGNANUS-J. XIMENEZ, Bullarium Carmelitanum, 4 vol., Roma 1715-1768; S. TEUWS, De evolutione privilegiorum ordinis Carmelitarum usque ad Concilium Tridentinum, in "Carmelus", VI (1959), pag. 153-223.
326) Zuletzt: MACCARRONE, Riforma e sviluppo della vita religiosa con Innocenzo III.
327) J. AUER, Studien zu den Reformschriften für das zweite Lyoner Konzil, Freiburg 1910; B. BIRKMANN, Die vermeintlichen und wirklichen Reformschriften des Dominikaner-Generals Humbertus de Romanis, Frieburg 1916; K. MICHEL, Das "Opus tripartitum" des von Romans, Graz 1926.
328) FRA SALIMBENE, Cronica, MGH, SS, XXXII, pag. 253-255.
329) J. D. MANSI, XXIV, pag. 61-68; ST. KUTTNER, Conciliar Law in the making, in "Miscellanea P. Paschini", Roma 1949, II, pag. 74; R. W. EMERY, The second Council of Lyons and the mendicant orders, in "Cath. Historical Review", 39 (1953), pag. 323-334.
330) Bonifacio VIII, 5.5.1298; Empoli, pag. 46; POTT., nr. 24675.