Comunità eremitiche italiane del XII e XIII secolo
Kaspar Elm

Comunità eremitiche italiane del XII e XIII secolo

Studi sugli antecedenti della storia dell'Ordine eremitano agostiniano

L'eremitismo in occidente nei secoli XI e XII

Società Editrice Vita e Pensiero, Milano 1962
II.5

I frati eremiti dell'Ordine di S. Agostino della Tuscia

 

E' stato relativamente semplice delineare le caratteristiche dei gruppi finora menzionati; si tratta di comunità che derivarono da una medesima radice e che, nonostante i mutamenti e le tensioni, rappresentano una unità. La storia degli Eremitani Agostiniani della Toscana crea al contrario maggiori difficoltà. Come l'Ordine eremitano agostiniano, questa forma preliminare sorta in esso non è il risultato di un processo evolutivo lineare, bensì di più influenze che soltanto nel corso di un decennio divennero un tutt'uno. Diversamente dall'Unione del 1256, non si trattava tuttavia di un numero limitato e definito di Ordini già stabiliti, ma di una molteplicità di singole sedi delle quali solamente poche erano legate l'una all'altra prima della loro fusione nell'Ordine eremitano agostiniano della Toscana. Come preludio alla grande Unione del 1256, i rappresentanti di queste case furono chiamati nel 1243, dietro loro richiesta, da Innocenzo IV a Roma (228), dove essi nel marzo dell'anno seguente adottarono "Regulam et Ordinem S. Augustini", ed in base alle direttive del cardinale Riccardo Annibaldi, incaricato dell'Unione, si riunirono in un Ordine secondo la regola agostiniana e proprie costituzioni abbozzate con la partecipazione degli abati cistercensi di Fossanova e Fallera (229). Il significato dell'Unione autorizzata da Innocenzo IV il 31 marzo 1244 (230), ed ampliata dal 1244 al 1256 mediante l'ingresso anche di altre case, sarebbe completamente chiaro solo se si ripercorresse la storia di ciascuna delle case riunite. Le indagini sulla storia primitiva dell'Ordine eremitano agostiniano della Toscana non sono però attualmente così ampie da consentire una rappresentazione sistematica e comprensiva di tutti i dettagli, della storia di questi "Proto-Eremitani-Agostiniani(231). Anche uno sguardo superficiale che si concentri su alcuni punti chiave mostra tuttavia che per quanto concerne l'Unione del 1244, si tratta di un risultato degno di nota nella storia monastica italiana, specialmente però della Toscana. Una parte rilevante dei conventi riuniti nel 1244 o unitisi all'Ordine subito dopo tale termine, viene nominata per la prima volta in un contratto di compravendita redatto in un Capitolo generale a Cascina e sottoscritto dai priori presenti (232). Per altri è invece possibile ripercorrere più ampiamente il passato. Ciò vale in primo luogo per un gruppo di eremi che erano diffusi a sud di Lucca, fra l'Arno e il Serchio, nella Garfagnana ed ai confini fra le diocesi di Lucca e Volterra. Tredici di questi romitaggi si erano riuniti nel 1228 in un'associazione (233) che già esisteva nel 1223, ma che comprendeva un tempo soltanto quattro case menzionate col loro nome (234). Una parte degli eremi unitisi nel 1228 vengono citati per la prima volta in quell'anno, altri, grazie alla tradizione documentale, è possibile seguirli fino alle loro origini, e cioè fin dal XII secolo. Ad alcuni di essi, nella misura in cui tale sede lo consente, deve essere rivolta una particolare attenzione.

Nell'Unione citata, all'eremo di S. Maria de Lupocavo (Rupecavo), situato nelle vicinanze di Flesso (Montuolo) a metà strada fra Lucca e Pisa, spettò un ruolo di guida. La sua esistenza è resa certa da un documento di donazione dei signori della vicina Ripafratta, che cita la consacrazione della chiesa del convento da parte del vescovo Roberto da Lucca già prima del 22 marzo 1214, data del documento di donazione (235). Se è possibile credere alle "Vite di Guglielmo" risalenti al XIII secolo, essa risale addirittura alla metà del XII secolo (236). Attorno al 1150, dopo il ritorno dalla Terra Santa, Guglielmo da Malavalle doveva aver intrapreso nella Silva Livallia, presso la località di Lupocavo già menzionata nel X secolo in un documento di Otto III, la costruzione di un ospedale e doveva aver raccolto attorno a sé eremiti là residenti, eremiti che egli esortò a "renuntiare illicetis et valefacere moribus assuetis", richiesta questa che porta a concludere che questi eremiti vissero già più a lungo secondo i loro"mores" bisognosi di riforma. Alcuni chilometri a sud di Lupocavo si trovava sul Monte Moricone nella parrocchia di Massa Carrara alla fine del XII (?) secolo un eremo con il caratteristico nome di S. Maria de Spelonca. Il 15 settembre 1198 il vescovo Guido da Lucca investì un "Magister" Giovanni de Pretis della già esistente chiesa mariana e trasferì la sua "administratio" (237) a lui e ad un presbitero di nome Dulcis, entrambi denominati "fratres heremitae". L'eremo più volte citato nella prima metà del XIII secolo, sorse come emerge dal documento di cui si è parlato, non prima del 1198. Esso doveva essere stato donato già nel 1187 ad un frate, Giovanni Honestus (238), da parte di Paganello Porcari, uno dei primi podestà di Lucca conosciuti, e doveva aver ricevuto nel 1191 un privilegio pontificio di protezione (239). Nel 1216 Onorio III concesse un tale privilegio ai due "presbyteri heremitae" Giovanni e Martino, che abitavano un eremo un po' a nord di Lucca sul monte Branca (Broncoli) (240). Anche la loro sede era più antica rispetto a tale citazione. Onorio nel 1216 rinnovò un privilegio che già il suo predecessore, Innocenzo III aveva conferito all'eremo nella medesima forma. Nello stesso periodo, nelle vicinanze di S. Maria de Spelonca sul Monte Compito, si trovava un eremo anch'esso consacrato alla Madonna. Di un abitante, chiamato per nome, di tale insediamento sappiamo che egli non era un "presbitero-eremita", ma un "monaco", e che prima del suo ingresso nell'eremo apparteneva come conventuale al convento pulciano di S. Michele in Guamo (241). Accanto ai due eremi appena menzionati, appartenevano al gruppo degli eremi riuniti già nel 1223 anche l'eremo di S. Giorgio e S. Galgano da Vallebuona, situato a nord di Lucca, nella Garfagnana. Doveva essere stato fondato nel 1214 e cioè da eremiti di S. Galgano (242) che abitarono non soltanto quest'eremo, ma anche altri due, S. Galgano di Cateste e Galgano de Fidento (243). I pochi dati da integrare quale necessità per una rappresentazione più completa, debbono bastare per dare uno sguardo alla diversità ma anche alla concentrazione spaziale degli eremi toscani. Un abbozzo della storia dell'eremo, conosciuto relativamente bene, nei pressi della chiesa di S. Giacomo in Colledonico, può forse offrire, meglio dei dati accidentali, uno sguardo al tipo ed alle modalità della "vita eremitica" condotta in quest'eremo, anche se generalizzazioni di questo tipo in relazione a fondazioni di diversa provenienza nascondono in sé un certo pericolo. Il 30 aprile 1202 il balivo, la badessa Ghisla e le conventuali del convento benedettino di S. Maria di Pontetetto a Lucca autorizzarono un accolito di nome Lothar, dietro il pagamento di un tributo in cera da versare in occasione della festa dell'ascensione di Maria, a vivere la "vita eremitica" presso la chiesa di S. Giacomo in Colledonico, appartenente al convento, dopo che questi aveva ottenuto il permesso di Innocenzo III attraverso il priore di S. Frediano (244). Poiché il contratto concluso nell'aprile del 1202 doveva valere non soltanto per Lothar, ma anche per i suoi "successores", si deve presumere che questi non pensasse solamente ad una "vita eremitica" limitata a se stesso, bensì facesse affidamento su una fondazione duratura. Alcuni atti notarili del 1216 confermano la supposizione (245). Un prete di nome Pietro era succeduto in questo periodo all'accolito quale "rector" della chiesetta e quale "prior" di una comunità di sei eremiti. I suoi successori proseguirono nel solco della continuità e portarono avanti l'incremento fondiario iniziato un tempo. L'ampliamento della proprietà della chiesa designata nel 1202 espressamente come povera, risultò dalla compravendita, ma anche da donazioni fatte soprattutto all'ingresso di nuovi membri provenienti in gran parte dai dintorni (246). La comunità eremitica che nel 1236, in occasione dell'accoglienza dei due novizi Mezzo Lombardo e Baldino, venne chiamata "ordo heremitarum cellae et ecclesiae presbyteri Rustici(247), non era una fondazione assolutamente nuova, come dimostra tale denominazione. Già nel 1202 la chiesa di S. Giacomo conservava la tomba di un presbitero, Rustico, che aveva condotto una vita da eremita in una cella vicino a tale chiesa (248). La sua fama, che probabilmente aveva indotto Lothar ad imitarlo, era talmente grande che la sua cella, nel frattempo acquisita dalla comunità eremitica, venne ufficialmente denominata ancora alla fine del XIII secolo "cella presbyteri Rustici(249). Poiché nessuno degli eremiti riuniti attorno alla sua tomba scrisse la sua vita, egli cadde nell'oblio come quasi tutti i fondatori degli eremi toscani e la maggior parte dei numerosi eremiti medievali. La condotta di vita degli eremiti di Colledonico viene come quella dei membri delle rimanenti fondazioni qui citate, definita come "vita eremitica". Dalle testimonianze presenti, per lo più di carattere privatistico, è possibile trarre il contenuto di questa definizione soltanto a grandi linee. E' certo che essa poté consistere in un "eremitismus purus" al massimo all'inizio degli insediamenti. Nella parte più rilevante della loro storia a noi conosciuta, si tratta al contrario di piccoli gruppi, di regola non superiori alla decina, che sotto la guida di un priore perlopiù nominato a vita, conducevano un'esistenza comune che non poteva essere definita né attraverso un'estrema povertà, né per grande ricchezza. Il fatto che queste case fossero spesso soggette ad un prete, "rector" della chiesa ad esse collegata, e che fra i conventuali ci fossero sempre alcuni preti in parte insediati in altre chiese, fa pensare che con questa "vita eremitica" si congiungesse in certa misura l'attività pastorale, forse addirittura l'attività pastorale parrocchiale (249b). Nell'ambito di questa condotta di vita è evidente la questione che giustifica le definizioni "vita eremitica" e "fratres eremitae". Secondo le nostre conoscenze attuali, essa non poteva significare altro se non che il ritiro dalla vita cittadina e la preferenza per territori isolati come quello della Garfagnana e del paesaggio collinare attorno a Lucca, erano criteri essenziali per il carattere eremitano di queste comunità. Con la scelta del luogo, gli eremi situati nella catena collinosa fra Pisa e Lucca portarono avanti un'antica tradizione eremitica. Secondo una tradizione formatasi nel XII e XIII secolo (250) ed ancora oggi rappresentata nel suo fulcro dalla ricerca locale lucchese, già nel I secolo dell'era cristiana un cosiddetto "presbyter-eremita" di nome Antonio doveva aver vissuto da eremita nei pressi del Monte Pisano dopo aver là seppellito i resti dei martiri lucchesi (250b). Durante l'alto medioevo visse sul Monte Pisano da eremita in una maniera non inconsueta nell'agiografia del XII e XIII secolo. Ma non soltanto il sacerdote paleocristiano, bensì anche il vescovo Frediano proveniente, secondo quel che si dice, dall'Irlanda prima che divenisse vescovo di Lucca (251), fece sì che la "secreta et devia loca" del "mons heremitae" diventasse luogo di vita eremitana a metà del XII secolo, in una maniera molto meno leggendaria. Fra il 1042 ed il 1044 tre sacerdoti, un chierico ed un laico edificarono qui il convento di S. Pantaleone, una delle prime fra le numerose fondazioni canoniche riformate della diocesi di Lucca. S. Pantaleone, i cui abitanti volevano sfuggire alle "conturbationes huius seculi" per vivere "a secularibus hominibus longe separati in asperibus montibus" secondo la "regula canonica(252), non era l'unica "canonica rurale" nei dintorni di Lucca. Essa formò un gruppo con altre otto fondazioni di cui due, S. Maria de Massa Pisana e S. Michele ad Montem, si trovavano in parrocchie nelle quali nel secolo successivo sorsero due dei più importanti e più recenti eremi, S. Maria de Spelunca e S. Salvator de Brancoli (253). La posizione, similitudini nell'organizzazione, l'unione di anacoretismo e cura d'anime, affinità di culto e relazioni giuridiche sollevano la questione circa il rapporto in cui gli eremi più nuovi si trovavano di fronte ai conventi più antichi di Lucca e dintorni, e circa quale ruolo fosse stato attribuito al movimento eremitano che raggiunse nel XIII secolo il suo culmine facendo dei dintorni di Lucca una "nuova Tebaide". Il problema non può essere risolto in tale sede; si dovrà tuttavia riflettere, quale ipotesi di lavoro, sul fatto che possa trattarsi, almeno in alcuni casi, di un tardo epilogo della riforma canonica, e se nei gruppi canonici della Toscana si sia o meno cercata nella "vita eremitica", ancora una volta per altri motivi, ma in forma simile a quanto accadde nell'XI secolo, una vita religiosa più intensa rispetto a quella che era possibile in istituti più antichi, irrigiditisi dopo la loro fioritura nell'XI e XII secolo (254). L'Unione degli eremi situati soprattutto nella diocesi di Lucca - unione concepibile per la prima volta nel 1223 - viene designata dagli storiografi più antichi dell'Ordine come il perno dell'Ordine eremitano agostiniano, i cui quattro primi priori, la cui sequenza li fa "cominciare" nel 1170 con Giovanni de Spelunca, provenivano con ogni probabilità da tale cerchia (255). Se si limita il fatto che a tale proposito si tratta non dei capi dell'Ordine costituito solamente nel 1256, bensì nel migliore dei casi di una delle sue antiche forme preliminari, questa tradizione fa presumere che l'unione degli eremi lucchesi si fosse verificata già nel XII secolo. Le scarse testimonianze del tempo non consentono di verificare questa prima datazione fissata probabilmente anche per altri motivi (256). Esse consentono solamente di stabilire che la "Universitas eremitarum" citata nel 1223 non nacque in tale anno, ma aveva un'origine indubbiamente più antica. Il fatto che vengano nominati soltanto quattro eremi e che si faccia sperare l'accoglienza di ulteriori eremiti, mostra che queste tensioni all'unificazione vennero esercitate da un piccolo gruppo, e che nel 1223 in alcun modo si trovavano in un stadio finale (257), il che viene sottolineato attraverso il numero di tredici membri raggiunto nel 1228. L'essenza di questa unione, che era probabilmente soggetta ad un "prior maior(258), viene definita mediante i termini "consortium vel hospitalis aut usus". Secondo tale definizione doveva trattarsi piuttosto di un'associazione di fondazioni autonome, e non di una forte organizzazione dell'Ordine. E' possibile che questa comunità, i cui stessi membri decidevano l'ingresso degli altri eremiti, rappresentasse una prima reazione alla costruzione di province promossa dal concilio Lateranense, e che avesse assunto, nel senso del concilio, una delle regole approvate, forse addirittura la regola agostiniana. Non è tuttavia possibile affermare tutto ciò con sicurezza. Come nei dintorni di Lucca, nel XII e XIII secolo si trovavano anche nella diocesi di Siena numerosi eremi dei quali una serie nacque nell'Ordine degli Eremitani Agostiniani della Toscana (259). In questa sede è purtroppo possibile trattare solamente la storia di tre delle più antiche case unite con particolare intensità nella metà del XIII secolo. Il più antico componente di questo gruppo apparteneva nel 1119, come emerge da un atto di donazione del conte di Ardinghesca, quale "romitorium" ad una "ecclesia S. Leunardi sita silva de lago", ed era soggetto ad un presbitero di nome Alberto (260). L'eremo, al quale nel primo quarto del XII secolo appartenevano già un "claustrum" ed un "coemiterium", era più antico del documento citato. Come emerge da un privilegio di Papa Anastasio IV del 23 gennaio 1154, già un predecessore di Alberto si era obbligato di fronte al vescovo Walfried (1085-1127) a riconoscere la dipendenza della sua casa dalla chiesa cattedrale di Siena mediante un tributo annuale in cera (261). Sotto i successori di Alberto, che erano senza eccezioni sacerdoti e che erano a capo della loro comunità quali "priores", "praepositi" o "abbates", l'eremo conobbe uno sviluppo degno di nota (262). Di ciò danno testimonianza non soltanto le donazioni da parte di signori toscani accanto a numerosi contratti di compravendita, bensì anche una grande quantità di privilegi papali secondo i quali l'eremo, le sue proprietà e dipendenze, fra cui una "domus hospitalis", vennero prese sotto la protezione pontificia a fronte di un tributo annuale (263). Nel XIII secolo i Papi, ai quali era soggetta la casa "nullo medio", si riservarono la conferma dell'elezione del priore, come accadde nel 1239 e nel 1249 quando Gregorio IX ed Innocenzo IV riconobbero, attraverso legati, la scelta di priori che fino ad allora erano appartenuti ad altre chiese (264). In tale occasione i membri della comunità furono chiamati in maniera informativa "canonici" e la loro casa "canonica", il che rende probabile il fatto che si trattasse in tal caso di una "canonica rurale" la quale, derivata da una vera e propria radice eremitica, era stata fondata nell'XI secolo probabilmente da Siena, alla cui chiesa cattedrale essa doveva tributi in cera. Il 26 maggio 1252 S. Leonardo, che prima del 1250 si era unito all'Ordine eremitano agostiniano, venne unito all'eremo di S. Salvatore de Fultignano (265). Questo eremo, che nel 1244 venne incluso nell'unione, si trovava nelle vicinanze di S. Leonardo, come risulta dall'aggiunta "in silva de lacu" comune ad entrambe le case (266). La comunità un tempo soggetta al priore Bandino, non venne tuttavia ad esistenza solamente in tale anno (267), ma poté contare su una storia "preliminare" risalente fino al XII secolo; a tale proposito ci sono prove se si fa riferimento ai privilegi concessi da Lucio II e dai suoi successori Clemente III ed Innocenzo III ad una "ecclesia S. Salvatoris(268) non all'eremo, bensì all'anonima chiesa in Siena (269). L'eremo, che sotto Bandino, suo priore per molti anni, giunse ad un certo benessere (270), fu nel XIV secolo il centro di un'intensa vita spirituale attiva aldilà dei confini dell'Ordine e della Toscana (271). A metà del XIII secolo sembra si sia trovato tuttavia temporaneamente in una certa stasi. Ancor prima dell'Unione del 1244, senza autorizzazione da parte del vescovo competente, esso venne privato della sua autonomia dall'eremo di S. Maria de Monte Speculo, senza poter opporre resistenza nel giusto modo. Questa situazione, tuttavia, non durò a lungo. Nel 1255 l'incorporazione venne nuovamente annullata dal Cardinale Riccardo Annibaldi (272), cosicché S. Salvatore di Lecceto - come veniva perlopiù chiamato nel XIV secolo, poté intraprendere uno sviluppo che nel 1387 lo rese capo di una congregazione di riforma direttamente soggetta al priore generale (272b). E' possibile ripercorrere fin dall'inizio la storia dell'eremo di S. Maria sul Monte Specchio, che nel 1433 toccò a Lecceto (273) a differenza della storia delle due case confinanti. Nel 1189 Guazulinus Capulongi donò ad un certo frate Giovanni una parte della sua proprietà "ad hedificandum heremitorium ad honorem Dei et S. Mariae de Rocca Amadoris ad heremum tenendum et hedificandum", riservando ai membri della sua casa il diritto di poter condurre qui eventualmente la "heremitica vita(274). L'eremo privilegiato da Papa Celestino III (275) fu più duraturo di quanto i conti di Ardinghesca, che nel 1238 fecero inserire in un documento di donazione una clausola nell'ipotesi della chiusura (276), potessero prevedere. Non scomparve, come spesso accadde a fondazioni simili, dopo la morte del fondatore, al contrario sotto i suoi successori divenne così importante da potersi unire ad altre fondazioni come S.Salvatore. Sulla vita interna della casa soggetta per lo più ad un sacerdote - un raro e fortunato caso - riferisce una Bolla di Gregorio IX del 3 gennaio 1231, dalla quale emerge il fatto che i novizi, all'ingresso nella comunità, rinunciavano alle loro proprietà, promettevano castità e giuravano obbedienza, per cui non vivevano soltanto nell' "habitus religiosus", come risulta dal testo, bensì facevano anche i voti costituenti lo "status religiosus(277). Fino al 1231 la loro esistenza fu priva di un Ordine preciso che ad esempio regolasse il corso del "divinum officium" o la disciplina, cosicché gli eremiti del Monte Specchio e della "Sylva Lacus", che si trovavano nella medesima situazione, chiesero al Papa un regolamento del quale Gregorio IX incaricò il vescovo di Siena, assegnandogli il compito di imporre agli eremiti una delle regole approvate, di visitarli e, se necessario, di riformarli. La disposizione della Curia di dare agli eremiti una regola approvata e di riformarli, non si limitò ai due conventi menzionati, essa fu estesa a tutti gli eremi della diocesi di Siena che avevano bisogno di un tale regolamento. E' soltanto una supposizione il fatto che il vescovo di Siena avesse imposto agli "acephali", come furono chiamati nel 1231, la regola agostiniana (278), supposizione che poteva appoggiarsi al fatto che fondazioni simili, come S. Lucia situata nella vallata del Rosia e S. Antonio (279), seguissero questa regola che nella sua tipicità corrispondeva agli scopi delle comunità provenienti certamente in parte dall'ambito canonico. Il regolamento stesso è una chiara dimostrazione del fatto che la Curia già sotto Gregorio IX fosse interessata ad una unificazione e ad un ordinamento del movimento eremitano, senza certamente insistere su una concentrazione organizzativa. Che a tale proposito le due case fossero state trattate come esponenti degli eremiti di un'intera diocesi, corrispose al procedimento che la Curia nel 1240 applicò quando diede disposizioni sugli abiti ai Zambonini ed ai Brettinesi quali "maior pars" degli eremiti nella marca di Ancona e della Romagna, cercando così allo stesso tempo di comprendere con i gruppi conosciuti quelli non ancora organizzati e conosciuti, e di influenzarli (280).

Alla domanda sulla dichiarazione della regola e le origini degli eremi più antichi situati attorno a Lucca e Siena, viene data una risposta in maniera più decisa e di maggior effetto attraverso la tradizione degli Eremitani Agostiniani formulata nel XIV secolo, quando è possibile, sulla base dei fatti finora conosciuti. Tale tradizione non si contenta dell'antica età delle case derivate da cerchie clericali, essa fa risalire le sue origini piuttosto all'età arcaica del cristianesimo toscano. Essa narra che Lecceto, cuore dell'Ordine, aveva già cominciato a battere nel IV secolo, quando studenti del vescovo Ansano avevano qui cercato protezione durante la persecuzione di Valeriano (281), e che nel territorio del Monte Pisano, specialmente Lupocavo, già nel IV secolo vivevano eremiti che non soltanto nel XII o XIII secolo, bensì dallo stesso Agostino, avevano ricevuto la regola redatta appositamente per loro quando egli sulla via per Ostia si era fermato presso di loro e si era trattenuto insegnando ed imparando (282). Tale rappresentazione servì nel corso dei secoli ad opporre alle pretese dei canonici l'autonomia e la priorità per anzianità degli eremitani Agostiniani. La si può dimostrare a stento in questa forma leggendaria. Se tuttavia deve essere trovata da qualche parte la relazione diretta, ripetutamente affermata, fra il monachesimo agostiniano emigrato dall'Africa nell'alto medioevo e l'Ordine eremitano agostiniano costituito nel XIII secolo, allora la si deve cercare negli eremi di Acquaviva (283) e Centumcellae (284), eccellenti per tradizione simile. Di fatto non si trova per questa tesi alcuna prova plausibile. Almeno per quanto riguarda S. Giacomo di Acquaviva sembra al contario si sia trattato di una comunità di canonici dediti alla vita eremitica, cosicché qui come in alcune altre case si dovrebbe parlare più di una priorità dei canonici rispetto agli eremiti - per utilizzare la terminologia degli storici più antichi dell'Ordine.

La rappresentazione offerta fino ad ora potrebbe indurre a considerare l'Unione del 1244 come la riunione di comunità relativamente omogenee sorte in un territorio molto limitato. Questa impressione sarebbe errata. Le fondazioni unitesi nel 1244 e negli anni seguenti non si limitavano infatti alle diocesi di Lucca, Pisa e Siena, si estendevano piuttosto all'intera Toscana, in parte addirittura fino alle campagne confinanti con essa. Appartenevano ad epoche diverse, erano sorte nel XII e nel XIII secolo o, come vuole la tradizione degli eremi di Acquaviva e Centumcellae, le loro origini risalivano fino al medioevo. Esse risalivano ad eremiti, ma anche a gruppi eremitani; avevano, se ci si vuole esprimere in modo esagerato, carattere canonico, monastico, impresse da personalità come Guglielmo da Malavalle e Galgano da Chiusdino, e percorse da correnti come il movimento delle Crociate, i pellegrinaggi, la cura di ricoveri e le ondate di devozione laica. Qualora seguissero assolutamente una regola approvata, si trattava allora sia della regola benedettina sia di quella agostiniana, alla quale esse aggiunsero in un caso le consuetudini di Pier Damiani (284b). Le une rimasero nell'Osservanza scelta un tempo, le altre la cambiarono più volte nel corso di pochi decenni, cosicché già nel XIII secolo non era più possibile sapere dove andavano ricercate le radici dei singoli fondatori. L'unica cosa che univa le une alle altre queste comunità considerate nel 1243 dalla curia come affini, era la loro indipendenza da associazioni religiose più grandi, indipendenza che soltanto in alcuni casi era limitata da accordi, e la lontananza delle loro sedi, in gran parte povere e con pochi abitanti; l'isolamento spaziale ed organizzativo, al quale poteva aver corrisposto una condotta di vita lontano dal mondo e difficilmente descrivibile nei dettagli, fa quindi sì che si possa parlare delle loro case come di "eremi" e dei loro membri come di "eremiti". Questa molteplicità fu anche il motivo per cui la Curia non chiamò a Roma solamente determinati gruppi, bensì tutti gli eremiti in blocco della Toscana ad eccezione dei guglielmiti, già organizzati (284c). Si trattava di porre fine all'isolamento e ad una pericolosa "indominabilità" dell'eremitismo toscano, di portare le "oves errantes" in un unico Ordine, ad un sistema stabile, e di contrastare così i pericoli che minacciavano tali gruppi isolati in un periodo caratterizzato da tensioni religiose e politiche. A tale fine, destinato a non essere raggiunto attraverso le unioni locali e gli sforzi vescovili di riforma del secolo che stava cominciando, dovettero servire provvedimenti energici, come la liberazione da osservanze seguite fino ad allora ed in parte contraddittorie (285); l'estensione dei privilegi accordati alle singole case (286), il regolamento del "Divinum Officium" in una forma vincolante per tutti (287); l'introduzione di un abito nero trattenuto da una cintola (288); ed infine, quale compendio di tutti questi sforzi, la costruzione di una unitaria organizzazione dell'Ordine, il cui fondamento erano la regola agostiniana e le Costituzioni proprie legate alla sua interpretazione (289). Il cardinale Riccardo, "spiritus rector" di questa unione e "provisor et corrector" del nuovo Ordine (290), non si limitò all'aspetto negativo di tale Ordine, ma gli impresse una svolta positiva quando subito dopo l'unione prese provvedimenti che nel perdurare di tendenze derivanti dalle origini "canoniche" di singole case, fecero dell' "ordo canonicus secundum Deum et b. Augustini regulam in domibus ipsis auctoritate apostolica institutus(291) uno strumento per la cura d'anime ed un'arma contro le minacce politiche e religiose nei confronti della Chiesa (292). Questo compito, specialmente l' "officium praedicationis ad vestram et proximorum salutem", venne svolto ben presto con vigore tale, da consentire di dire dell'intero Ordine ciò che fu detto nel 1255 dai visitatori (292b): "Quaerant dumtaxat, quae Jesu Christi sunt, non quae sua: praedicationi, correctioni et reformationi vacando". Questa disposizione alla "vita activa" corrispondeva alla volontà di espansione esterna. In alcuni anni i Toscani, con l'aiuto della Curia e l'appoggio diretto del cardinale politicamente molto influente, riuscirono a fondare numerose sedi non soltanto a Roma (S. Maria del Popolo), ma anche aldilà delle Alpi (293). Tale espansione, che suscitò stupore per la sua rapidità e consistenza, è un chiaro segno del fatto che per quanto riguarda l'Unione del 1244 non si trattò della riunione di comunità spente nella loro vita religiosa, bensì della raccolta di forze che solo nella comunità e sotto una guida lungimirante riuscirono a provare quanto fossero forti e vive (294).

_____

NOTE

228) Innocenzo IV, 16.12.1243, EMPOLI, pag. 164; POTT., nr. 11199; Innocenzo IV, 16.12.1243, TORELLI, IV, pag. 378; BERGER, I, nr. 336.

229) TORELLI, IV, pag. 383. Bei der Angabe ROTHS (AUG. II (1952), pag. 115), das die Versammlung in S. Maria del Popolo stattgefunden habe, handelt es sich um ein Versehen, wie aus der weiteren Darstellung hervorgeht (AUG. II, (1952), pag. 118).

230) Innocenzo IV, 31.3.1244, EMPOLI, pag. 165; POTT., nr. 11315.

231) Mit der "toskanischen Eremitenbewegung", die F. SCHNEIDER "eines der unbekanntesten Gebeite" nannte (Regestum Senense, Rom 1911, pag. XLIX, LI) hat sich neben den Ordensgeschichtsschreibern (u. a. HERRERA, TORELLI) auch die ältere toskanische Lokalgeschichtsforschung beschäftigt (u. a. M. BARSOTTI, La coronatione della mirac. Imagine di Maria Vergine detta del Sasso nella chiesa di S. Agostino di Lucca, Lucca 1693; F. M. FLORENTINIUS, Hetrusciae pietatis origines..., Lucca 1701; D. PACCHI, Ricerche istoriche... della Garfagnana, Modena 1785; E. REPETTI, Dizionario geografico-fisico-storico della Toscana, Firenze 1833-1846). Einen wirklichen Ueberblick über die später in den Orden der Augustiner-Eremiten der Toskana aufgegangenen Häuser hat jedoch erst ROTH (AUG. III (1953), pag. 284-298) gegeben, der sich z. T: auf bisher unveröffentliche Materialsammlungen von S. Lopez und I Aramburu stützen konnte: A. RANO, B. VAN LUIJK, El fundo (Lopez) del Archivio General de la Orden de S. Augustin, in "Archivio Agustiniano", LV (1961). Weitere Klärung ist von R. ARBESMANN und B. VAN LUIJK, der mit der Zusammenstellung eines Bullariums begonnen hat (AUG., XII (1962), zu erhoffen.

232) TORELLI, IV, pag. 453. Cfr. ROTH (AUG. II (1952), pag. 180); AUG. III (1953), pag. 284.

233) S. BONGHI, Inventario del R. Archivio di Stato in Lucca, Lucca 1872, I, pag. 6-7; IV, pag. 145. Listen dieser Klöster: M. BARSOTTI, pag. 100-195; FLORENTINIUS, pag. 128-129; A. GUERRA, P. GUIDI, Compendio di storia eccl. Lucchese dalle origini a tutto il sec. XII, Lucca 1924; ROTH, in AUG., II (1952), pag. 113-114.

234) Arch. Archiep. Lucca L 64: Cfr. BARSOTTI, pag. 133; ROTH, in AUG. III (1953), pag. 292.

235) REPETTI, II, pag. 74; IV, pag. 843.

236) MGH, DD III, nr. 223; Ms. Bibl. Nat. Lat. 755, fol. 172. Cfr. G. BINDOLI, Cella summa, Lucca 1921; FR. BARONI, "Cella summa", Notizie e ricordi del paese Cerasomma, Lucca 1932; A. LETTIERI, La Madonna del Pan del Lupo in Fognano, Pescia 1950.

237) B. Guido v. Lucca, 15.9.1198, AS Lucca, Fondo S. Agostino.

238) TORELLI IV, pag. 113.

239) BARSOTTI, pag. 127-128.

240) Onorio III, 27.9.1216, AS Lucca, S. Agostino; BARSOTTI, pag. 13.

241) Arch. Archiep. Luc. O num. 87; BARSOTTI, pag. 131.

242) BARSOTTI, pag. 129. Die Urkunde vom 29.10.1204, AS Lucca, S. Maria di Pontetto in der von Abhängigkeiten zwischen Spelunca und S. Galganus die Rede ist, kann sich auf das Eremitorium, aber ebenso gut auf die Abtei beziehen.

243) ARBESMANN, The three earliest Vitae, pag. 34ss.

244) 30.4.1202, AS Lucca, Fondo S. Maria di Pontetetto; 8.5.1202, ebd.; 1.9.1202, ebd.

245) 24.9.1216, ebd.; 9.10.1216, ebd.

246) z. B. 5.2.1221, ebd.; 1229, ebd.. Cfr. BARSOTTI, pag. 128.

247) 16.1.1236, ebd.

248) 30.4.1202, ebd.

249) P. GUIDI, Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV, Studi e Testi 58, Roma 1932, pag. 253 nr. 4872; P. F. KEHR, Italia Pontificia, III, pag. 455.

249b) L. NANNI, La Parrocchia studiata nei documenti Lucchesi dei secoli VIII-XIII, in "Analecta Gregoriana", XLVIII, Roma 1948, gibt auf unsere Frage keine klare Antwort.

250) Vita S. Antonii, AA. SS. Aprilis III, pag. 482-488; AA. SS. Mai IV, pag. 7.

250b) G. BARSOTTI, Lucca. Guida storico-artistico-religiosa di Lucca, Lucca 1923, pag. 317-319; L. CONSORTINI, Intorno agli scavi nel sottosuolo della Basilica dei SS. Paolino e Donato in Lucca, in "Atti R. Accad. Lucch.", VI 1938; FR. BARONI, Le origini cristiane di Lucca nella leggenda e nella storia secondo i più recenti studi, ebd.; GUERRA-GUIDI, Compendio, pag. 30-32.

251) P. GUIDI, L'antica vita di S. Frediano e il vetusto catalogo dei vescovi di Lucca, Lucca 1919; P. PUCCINELLI, S. Frediano vescovo di Lucca, Lucca 1952.

252) 28.2.1042, Arch. Archiep. Ag. 27; 26.7.1044, AS Lucca, Fondo S. Ponziano; BARSOCCHINI, Memorie e documenti, V, 3, nr. 1787.

253) M. GIUSTI, Le Canoniche della Città e Diocesi di Lucca al tempo della Riforma Gregoriana, in "Studi Gregoriani", III (1948), pag. 321-367. DERS., Notizie sulle canoniche lucchesi, in "La vita comune del clero nei secoli XI e XII", I (1962), pag. 451-454.

254) Cfr. J. C. DICKINSON, The Origins of the Austin Canons and their Introduction into England, London 1950, pag. 142-143; CH. DEREINE, Chanoines, DGHE, XII (1953) c. 384; J. LECLERQ, On monastic priesthood according to the ancient medieval tradition, in "Studia Monastica" III (1961), pag. 137-155.

255) Tractatus, pag. 111-112, 62-63; Vfr., 46-47 (kritischer); Bibl. Laur. Firenze Cod. Plut. 90 sup. 48, fol. 62v-63.

256) Die frühe Geschichtsschreibung der Augustiner-Eremiten ist bemüht, die Existenz des Ordens vor 1215 zu beweisen, um zu zeigen, dass die 1274 erwogene Auflösung nicht gerechtfertigt gewesen wäre. Cfr. Anm. 329.

257) Arch. Archiep. Lucca L 64, 22.3.1223: Schenkung an die Eremiten von Vallebuona, Colledonico, Spelunca und Cascina "et pro universitate heremitarum predictorum locorum et omnium aliorum heremitarum, quos predicti heremite ad suum consortium vel hospitalitatem aut usum recipere et admittere voluerint".

258) BARSOTTI, pag. 136.

259) Neben beiläufigen Erwähnungen (z. B. G. GIGLI, Diario Senese, Lucca 1723, pag. 382ss) und älteren, z. T. ungedruckten Kompilationen (z. B. U. BENVOGLIENTI, Notizie sul S. Leonardo presso il piano del lago, Bibl. Com. Siena C-V-2; M. ALTESI, Illicetana Galleria, ebd. B-IX-10 gibt es nur eine Geschichte dieser Eremitengruppe (A. LANDUCCI, Sacra Leccetana selva cioè origine e progressi dell'antico e venerabile eremo e congregatione di Lecceto in Toscana, Roma 1657, Siena 1653), die -stark legendär- sich vornehmlich mit den um Lecceto gruppierten Eremitorien beschäftigt. Ihre Ersetzung durch ein kritische Auswertung des trotz aller Verluste noch umfangreichen Materials (u. a. AS Siena, AS Firenze, Bibl. Com. Siena, Westdeutsche Bibl. Marburg) steht noch aus, wurde jedoch von B. HACKETT angekündigt (The Irish Ecclesiastic Record, LXXXVII (1957), pag. 17, Anm. 3) Ein solche monographische Arbeit wird erst die Probleme lösen können, die hier nur angedeutet werden.

260) Juli 1119, AS Siena, Acq. Piccioli; A. LISINI, Inventario delle pergamene conservate nel diplomatico del R. Archivio di Stato di Siena, Siena 1908, pag. 72; SCHNEIDER, nr. 159.

261) Anastasio IV, 23.1.1154; S. LÖWENFELD, Papstbullen in der Kgl. Bibliotehk zu Berlin, in "Neues Archiv", XI (1886), pag. 610; A. HESSEL, Le bolle pontificie anteriori al 1198 per S. Leonardo "de Lacu Verano", in "Bull. Sen.", VIII (1901), pag. 336.

262) AS Siena, Fondo S. Salvatore di Lecceto, Acq. Piccioli. Cfr. LISINI, Inventario, passim.

263) Lucio II, 6.5.1144; Anastasio IV, 23.1.1154; Adriano IV, 16.3.1155; Alessandro III, 14.4.1178; Lucio III, 9.10.1185; Urbano III, 12.12.1186; Gregorio VIII, 1187; Clemente III, 1187-1191; Celestino III, 1191-1198; Gregorio IX, 3.2.1228. Westdeutsche Bibl. Marburg (ehem. Preuss. Staatsbibliothek Berlin); LÖWENFELD, in "Neues Archiv", XI (1886), pag. 609-616; HESSEL, in "Bull. Sen.", VIII (1901), pag. 333-344.

264) Gregorio IX, 22.4.(20.2)1236, AS Siena, Acq. Piccioli; LISINI, pag. 273; 24.1.1249, AS Siena, Acq. Piccioli; LISINI, pag. 418.

265) Innocenzo IV, 26.5.1252, LÖWENFELD, pag. 611, nr. 13; Alessandro IV, 25.6.1255. EMPOLI, pag. 10; POTT., nr. 15904 (Bestätigung).

266) Gregorio IX, 3.2.1228, Bibl. Com. Siena; SCHNEIDER, pag. 334, nr. 751. Die Weihe erfolgte nach Schneider (pag. 337, nr. 757) im Jahre 1228. Cfr. SCHNEIDER, pag. 339, Anm. I.

267) So SCHNEIDER, pag. LII.

268) Lucio III, 1181-1185; Clemente III, 1187-1191; Innocenzo III, 12.6.1198; KEHR, Italia Pontificia, III, pag. 225.

269) SCHNEIDER, pag. LII, Anm. 2. Das 1223 einem Prior Martin unterstellte Eremitorium (AS Siena, Acq. Piccioli) wurde möglicherweise von S. Leonard gegründet und erkannte 1228 für seine "ecclesia noviter facta" das Patronat der Kommune von Siena an. (AS Siena, Kaleffo vecchio, fol. 191, SCHNEIDER, pag. 337, 347). Die durch das Nebencinander mit S. Leonard verwirrende Ueberlieferung bedarf jedoch noch der Klärung, bevor ein definitiver Ansatz für die Gründungszeit gewagt werden darf; mit einer gewissen Wahrscheinlichkeit kann man jedoch das 12 Jahrhundert in Betracht ziehen.

270) Vorwiegend AS Siena, Acq. Piccioli.

271) LANDUCCI, Leccetana Selva, pag. 48; R. FAWTIER, S. Catherine de Sienne. Essai critique de source, Paris 1921, pag. 53-81; P. MISCIATTELI, Gli Assempri di fr. Filippo degli Agazzani, Siena 1922; Sanctus Augustinus II, pag. 385-386.

272) Richard Annibaldi, 16.6.1255, AS Siena Acq. Piccioli. Gregorio IV, 3.1.1231, EMPOLI, pag. 125; POTT., nr. 8646 zeigt schon 1231 eine Verbindung zwischen den Eremitorien von Sylva Lacus und Montespecchio. Obwohl meist nur im Zusammenhang mit S. Salvator von der "eremus de silva lacus" die Rede ist, muss im Auge behalten werden, dass auch das 1252 im Verfall begriffene, mit S. Salvator vereinigte S. Leonard gemeint sein könnte.

272b) LANDUCCI, Leccetana Selva; E. ESTEBAN, De capitulis generalibus observantiarum Italiae O.E.S.A., in AA. VII (1917), pag. 74-88; S. LOPEZ, Notitiae circa observantiam in genere contentae in registris ordinis, in AA. XIX (1943), pag. 110-130, 169-179; D. GUTIRREZ, in "Dictionnaire de Spiritualité", IV 1960, cc. 683-1018; B. VAN LUIJK, Introduccion bibliografica a la espiritualidad de los Eremitaños de San Agustin, in Rev. August. de Espir.", IV (1963), pag. 294-295; F. X. MARTIN, Giles of Viterbo and the Monastery of L., in AA. XXV (1962), pag. 237ss.

273) REPETTI, III, pag. 457ss.

274) 15.10.1189, AS Siena, Fondo S. Salvatore di Lecceto; SCHNEIDER, pag. 134, nr. 344; 23.10.1189, AS Siena, Fondo S. Salvatore di Lecceto; SCHNEIDER, pag. 135, nr. 345; 27.9.1191, AS Siena, Fondo S. Salvatore di Lecceto; SCHNEIDER, pag. 137, nr. 350 etc.

275) 25.3-31.8.1193, AS Siena, Fondo S. Salvatore di Lecceto; SCHNEIDER, pag. 140, nr. 357; KEHR, III, pag. 230.

276) 24.4.1228, AS Siena, Fondo S. Salvatore di Lecceto; SCHNEIDER, pag. 338, nr. 759: "si heremitorium dissiparetur, ita quod fratres non morarentur ibi, territorium deveniat ad nos, donec fratres reverterentur".

277) Gregorio IX, 3.1.1231, EMPOLI, pag. 125; POTT., nr. 8646.

278) ROTH, in AUG. II (1952), pag 113: "In 1231 the hermitages of Lecceto and Montespecchio asked for the Rule of St. Augustine". Ob bis dahin der "ordo antiqus" beachtet wurde, ist noch zu untersuchen.

279) Gregorio IX, 7.3.1228, AS Siena, Fondo S. Agostino di Siena; LISINI, "Bull. Senese", XV (1908), pag. 170.

280) Gregorio IX, 24.3.1240, EMPOLI, pag. 126; POTT., nr. 10860-8504; L. AUVRAY, Les registres de Grégoire IX, Paris 1899. Gregorio IX, 18.8.1240, TORELLI, IV, pag. 353; POTT., nr. 10932.

281) Die beste Zusammenfassung dieser legendären Berichte, wie sie sich in der Literatur innerhalb (z. B. HERRERA, Alphabetum, I, pag. 491ss) und ausserhalb (GIGLI, Diario, II, pag. 382ss) des Ordens finden und durch häufig plumpe Fälschungen (z. B. Schenkungsurkunde von 370, Bibl. Com. Siena, C-IV-3, fol. 59) "bewiesen" wurden, gibt Landucci in der erwähnten Geschichte von Lecceto. Cfr. auch Anm. 250ss.

282) Ms. Verodunensis 41, fol. 134, AUG., VI (1936), pag. 128; FLORENTINIUS, Hetrusciae pietatis origines, pag. 118-120; R. ARBESMANN, The "Vita A. Aug. Hipp. Ep." In Cod. Laur. Plut. 90, sup. 48, in "Traditio", XVII (1962), pag. 319ss.

283) Cfr. zur Geschichte und dem legendären Ursprung des seit dem 12 Jahrhundert bekannten Eremitoriums S. Jacob von Acquaviva (Livorno): V. SANTELLI: Stato antico e moderno di Livorno, Firenze 1771, III, pag. 44-61; V. TARGIONI, Gli Agostiniani in Livorno. Cenni storici, Firenze 1856, pag. 8; M. G. GUIGGI, S. Jacopo d'Acquaviva nella tradizione e nella storia, in "La Rivista di Livorno", I (1926); Z. LAZZARI, S. Francesco a Livorno, ebd., pag. 443ss.

284) Heinrich v. Friemar, Tractatus, pag. 96. Zur Lage des am 30.3.1243 in einer Bulle Innozenz IV zuerst erwähnten Hauses cfr. F. ROTH, in AUG. II (1952), pag. 141-142.

284b) VAN LUIJK, Bullarium O.E.S.A., in AUG. XII (1962), pag. 170-180.

284c) Innocenzo IV, 16.12.1243, EMPOLI, pag. 164; POTT., nr. 11199: "Dilectis filiis universis eremitis, exceptis fratribus S. Guillelmi, in Tuscia constitutis" - "Nos nolentes vos sine pastore sicut oves errantes post gregum vestigia evagari universitati vestrae per apostolica scripta mandamus, quatenus in unum vos regulare propositum conformantes, regulam b. Augustini et ordinem assumatis...".

285) Innocenzo IV, 26.3.1244, Arch. Vat. Reg. an. I, nr. 577, fol. 93; BERGER, I, nr. 578; ders. 28.3.1244, Arch. Vat. Reg. an. I, nr. 576, fol. 93; BERGER, I, nr. 576.

286) Innocenzo IV, 25.9.1245, AA. IV (1904-1906), pag. 274-275; BERGER, I, nr. 1534.

287) Innocenzo IV, 31.3.1244, EMPOLI, pag. 165; POTT., nr. 11315.

288) Innocenzo IV, 1.7.1253, L. WADDING, Ann. Minorum II, pag. 466; POTT., nr. 15035. Alessandro IV, 22.7.1255, Bull. Rom. Taur. III, pag. 616; POTT., nr. 15942.

289) Innocenzo IV, 16.12.1243, EMPOLI, pag. 164; POTT., nr. 11119. Alessandro IV, 31.7.1255, Bull. Rom. Taur. III, pag. 616-618; POTT., nr. 15965.

290) Innocenzo IV, 16.12.1243, EMPOLI, pag. 164; POTT., nr. 11119. Alessandro IV, 23.3.1257, EMPOLI, pag. 23; POTT., nr. 11381.

291) Innocenzo IV, 26.4.1244, EMPOLI, pag. 166; POTT., nr. 11353.

292) Innocenzo IV, 23.3.1244, Arch. Vat. Reg. an. I, nr. 570, fol. 92; BERGER, I, nr. 572. Das Original im AS Siena, Fondo S. Agostino wird von LISINI, pag. 118, Papst Innozenz III zugeschrieben, ahnlich Innozenz IV, 19.4.1244; 22.4.1244, AS Siena, Fondo S. Agostino (LISINI, pag. 117).

292b) Alessandro IV, 31.7.1255, Bull. Rom. Taur. III, pag. 617; POTT., nr. 15965.

293) Ueber die Erforschung der Ausbreitung der 1256 vereinigten Orden cfr. ROTH, in AUG. II (1952); AUG. III (1953); AUG. IV (1954); AUG. VIII (1958); ELM, in "Archiv für Kulturgeschichte", XLII (1960).

294) Das schliesst die Notwendigkeit von Reformen (Innocenzo IV, 28.5.1244, AS Siena, Fondo S. Agostino; LISINI, pag. 342) und das Bestehen auf Sonderrechte (Innocenzo IV, 16.4.1248, BERGER, II, nr. 3909) nicht aus.