David Gutierrez
["LOS ESTUDIOS EN LA ORDEN AGUSTINIANA DESDE LA EDAD MEDIA HASTA LA CONTEMPORÁNEA"]
1970
I
PERIODO DI FIORITURA 1256-1356
1. Circostanze Favorevoli
Gli agostiniani (scrisse, il cardinale Ehrle) "coltivarono in seguito, gli studi con tale decisione, che già dagli ultimi decenni del secolo, che li vide nascere, ebbero a Parigi una posizione di tutto rispetto" (6). Questo fatto, cosi come la "sorprendente prontezza" con la quale, secondo lo stesso autore, i nostri religiosi si misero alla pari dei domenicani e dei francescani, si spiega tenendo conto di alcune circostanze favorevoli, che raggiunsero la loro massima influenza nel 1256, anno nel quale i nostri predecessori furono riuniti in una sola famiglia religiosa da Alessandro IV. Alcune circostanze furono di carattere generale, altre furono circostanze particolari legate agli ordini mendicanti e alcune, pure propizie, furono peculiari della famiglia agostiniana.
Le circostanze di carattere generale si riducono a tre fatti che determinarono il periodo in cui sbocciò la scienza scolastica nel suo secolo d'oro: la fondazione dell'Università di Parigi, la conoscenza quasi integrale delle opere di Aristotele e della letteratura arabo-ebraica e la fondazione dei due primi ordini mendicanti dei domenicani e francescani(7). Infatti nel 1256 la principale fra le università medievali, dopo mezzo secolo d'esperienza, aveva già perfezionato i suoi primi statuti; l'enciclopedia aristotelica e gli scritti d'autori arabi ed ebrei (con altri di tendenza neoplatonica) non solo erano meglio conosciuti di prima, ma erano anche oggetto di studio intenso e attento da parte dei migliori rappresentanti della scolastica-cristiana, e i domenicani e i francescani riconoscevano già, dopo le prime titubanze di entrambi e le lotte interne dei secondi, che lo studio era indispensabile per dedicarsi all'apostolato.
Circostanze favorevoli all'origine della scienza propria degli ordini mendicanti furono le reiterate prove di benevolenza e protezione che diede Papa Alessandro IV ai seguaci di S. Domenico e S. Francesco nello stesso anno 1256: prove che culminarono nella condanna del testo "De periculis novissimorum temporum", che contro di loro aveva lanciato Guglielmo de saint-Amour (8), negli elogi che nella stessa data (5 ottobre) tributò il Papa a quei religiosi, "qui salutem animarum zelantes ardenter et sacris studiis procurantes, multos in Ecclesia Dei operantur spirituales profectus et magnum faciunt ibi fructum" (9) e nel mandato che due settimane dopo fece inviare alle autorità accademiche di Parigi, perché ammettessero i dottori di entrambi gli Ordini "ac nominatim fratres Thomam de Aquino et Bonaventura de ordine Minorum" (10).
Però tutte queste circostanze non spiegano da sole la "sorprendente prontezza" della quale parla il cardinale Ehrle nel riferirsi agli agostiniani, dato che non si può dire lo stesso dei Carmelitani e neppure dei Serviti che furono chiamati dal Papa all'attività apostolica e alla vita di studio nello stesso periodo. Le circostanze peculiari che favorirono gli studi tra gli agostiniani nei cento anni successivi al 1256 possono riassumersi a due: all'unanimità con la quale i superiori generali promossero il nuovo orientamento della loro famiglia religiosa e al buon numero di seguaci (specialmente quello che sarà il responsabile della sua scuola) che mostrarono attitudine per coltivare con successo gli studi e per guadagnarsi un posto nella storia della scolastica. L'unanimità dei quattro primi superiori generali (membri tutti delle congregazioni eremitiche riunite nel 1256) ebbe probabilmente origine dall'attività del cardinale protettore dell'Ordine, Riccardo degli Annibaldi, che si preoccupò molto dei suoi protetti fino al 1276, anno della sua morte; si sa, infatti, che era unito non solo da vincoli di parentela, ma anche da una profonda amicizia con San Tommaso d'Aquino e che gli piaceva conversare con il Santo (11). Da questo si può comprendere che desiderava vedere gli agostiniani imitare l'esempio del suo grande amico nella vita dello studio. Nonostante tutto questo sia molto verosimile, l'influsso decisivo del cardinale Annibaldi in questo aspetto della storia agostiniana non è certo come lo sono le altre due circostanze e la loro azione simultanea.
Nell'anno 1259 il priore generale Lanfranco di Milano comprò una casa a Parigi destinata ai giovani agostiniani che dovevano frequentare quella Università (12) e, verso il 1260 entrò in questa casa fra Egidio Romano che negli anni 1269-1272 ebbe come maestro e tutore San Tommaso d'Aquino, "qui nos posuit in semitas veritatis" (13). La stessa cosa fece successivamente Egidio con alcuni dei suoi confratelli, che terminarono con profitto gli studi nella capitale francese tra gli anni 1285-1293; e ottenne per quelli che studiarono dopo, che l'Università desse validità ai corsi in altri centri dell'Ordine (14); nel 1293 ricevette in regalo dal re Filippo il Bello un altro edificio più grande e più vicino all'Università, trasformato dallo stesso Egidio e dai suoi primi successori nel migliore "studium generale" che ebbero gli agostiniani fino ad oggi (15); ottenne per loro la benevolenza di altri prìncipi che li aiutarono in Francia, Inghilterra e Belgio (16); e continuò aiutandoli negli ultimi venti anni della sua vita (durante i quali fu arcivescovo della diocesi di Bourges) e, pochi giorni prima di morire, affidò tutti i suoi libri "philosophicos, theologicos, iuridicos et omnes alios cuiuscumque facultatis" al convento di Parigi, "de cuius uberibus a pueritia nutriti fuimus" (17).
2. Egidio Romano e la "ratio studiorum" del 1290
Egidio ha anche altri meriti nella storia dei nostri studi. Le disposizioni dei capitoli generali relative all'istruzione della gioventù agostiniana che cominciano ad essere più chiare e numerose da quando lui prende parte a questi capitoli: Padova nel 1281, Orvieto nel 1284, Ratisbona nel 1290, Roma nel 1292 e Siena nel 1295. Nel primo introdusse l'uso delle "disputationes" su questioni di filosofia e teologia (che si continuarono a celebrare nei nostri capitoli generali fino alla soppressione napoleonica) e spiegò ai suoi ascoltatori non meno di venti questioni (18); nel capitolo di Orvieto ebbero origine le Costituzioni agostiniane più antiche che si conoscano, con il cap. intitolato "De forma circa studentes et lectores et praedicatores servanda", nella cui redazione Egidio ebbe una parte decisiva: 1°, perché tra suoi confratelli era il più esperto in questa materia per avere dedicato più di quindici anni di studi a Parigi e aver pubblicato non meno di 25 opere filosofiche e teologiche (19); 2°, perché, nonostante la sua assenza nel 1287 al capitolo celebrato a Firenze, fu proclamato maestro ufficiale dell'Ordine, "ut eius doctrinae omni qua poterunt sollicitudine sint seduli defensores" (20) e 3°, perché nel capitolo di Ratisbona del 1290, nel quale furono promulgate le Costituzioni proposte sei anni prima ad Orvieto, appare un'altra volta Egidio come la principale autorità tra i suoi in materia di studio; dicono gli atti capitolari: "Definimus et committimus auctoritatem fratri Aegidio Romano magistro nostro, ut possit baccellarios Parisius as legendum sententias vocare, prout sibi pro bono ordinis videbitur expedire: quod facimus intuitu personae, ut hoc ad consequentiam non trahatur" (21).
Per queste ragioni, la sua dottrina, la sua probità, la sua lunga esperienza e l'alta considerazione che avevano delle stesse i suoi confratelli, si considera lui il principale autore della nostra prima "ratio studiorum", formulata nel cap. 36 delle Constitutiones Ratisboneses. La prima decisione del capitolo celebrato a Roma nel 1292 (nel quale Egidio fu nominato priore generale) recitava "quod de studiis generalibus habeatur optima cura, ne studentes sint vagabundi et ne impediantur propter defectum necessariorum" (22); il nuovo superiore poco tempo dopo scrisse a tutti i priori provinciali: "Ipsi etiam studia theologiae toto vestro conamine manuteneatis ac etiam foveatis, quia per ea, simul cum observantia regulari, opotet nostrum ordinem in humilitate crescere" (23). Nominato arcivescovo di Bourges da Bonifacio VIII il 25 aprile 1295, Egidio volle salutare i suoi confratelli nel capitolo celebrato a Siena il 24 maggio: "Et fuit ibi -dicono gli atti- venerabilis pater frater Aegidius...olim generalis prior praeteritus et nunc factus archiepiscopus Bituricensis novus, et fecit generales disputationes de quolibet... Et tunc postea ivit ad archiepiscopatum primo" (24); però non si dimenticò dei suoi vecchi confratelli ne' smise mai di aiutarli fino alla sua morte, come è già stato detto. In sintesi, Egidio Romano occupa senza dubbio il primo posto in quel periodo della nostra storia, per essere stato la persona che maggiormente promosse, orientò e consolidò la direzione dottrinale propria degli agostiniani, che sempre l'hanno venerato come loro primo maestro, non solamente in ordine di tempo, ma anche d'importanza.
In questo ultimo senso non gli fanno giustizia molti manuali di storia che, senza spiegazioni, uniscono il suo nome a quelli di Enrico di Gante e Goffredo de Fontaines; poichè nell'anno 1286 il nostro "Doctor fundatissimus" era considerato il migliore filosofo e teologo di Parigi: "Qui modo melior de tota villa in omnibus reputatur" (25): e continuò ad essere considerato in questo modo durante gli ultimi trent'anni che gli rimanevano da vivere. La sua attività di scrittore (dal migliore periodo della scolastica) comprende mezzo secolo, perché cominciò nell'anno 1266 e non smise mai di scrivere fino alla sua morte, avvenuta nel dicembre 1316.
La sua produzione letteraria si può confrontare solamente, per la sua estensione e varietà, con quella dei tre migliori dottori della scolastica del secolo d'oro, S. Alberto Magno, S. Tommaso d'Aquino e S. Bonaventura (26). Per i suoi commenti aristotelici e l'opuscolo De erroribus philosophorum (scritto verso il 1270), il suo nome è l'unico che può aggiungersi a quelli di Alberto Magno e del Dottore Angelico nella storia dell'aristotelismo cristiano (27). Infine Egidio influì nella diffusione del sapere con il più conosciuto dei suoi libri, il De regimine principum (tradotto in breve tempo nelle principali lingue europee e anche in ebraico), nel quale esorta i re a moltiplicare nei loro domini i centri d'insegnamento e ad avere uomini di scienza che comunichino la stessa ai loro sudditi, se vogliono meritarsi il nome di re e non quello di tiranno:
Debet igitur rex sollicitari, ut in suo regno vigeat studium litterarum et ut ibi sint multi sapientes et industres; nam ubi viget sapientia et fons Scripturarum, oportet quod inde torus populus aliquam eruditionem accipiat. Ne ergo exsistentes in regno sint tenebris ignorantiae involuti, spectat ad reges et principes valde esse sollicitos de studio litterarum. Immo, si dominator regni non promoveat studium et non velit sibi subditos esse scientes, non est rex sed tyrannus (28).
3. Programmi e case di studio
La formazione dell'agostiniano cominciava dal noviziato, nel quale non poteva essere ammesso nessun giovane minore di quattordici anni e che non sapesse "legere vel cantare competenter", o che non fosse capace di dimostrare almeno che fosse "docibilis et aptus ad addiscendum" (29). Doveva passare un anno intero di prova, dedicandosi alla sua formazione religiosa, ad esercitarsi nella pratica dell'orazione privata e liturgica, e a conoscere gli obblighi dello stato che si apprestava ad assumere; e tutto questo sotto la direzione di un maestro "esperto e dottore, di virtù provata e particolarmente custode del bene dell'Ordine", il quale doveva perfezionare l'istruzione cristiana del giovane e iniziarlo a quella monastica, con le spiegazioni della regola e delle abitudini dell'Ordine. Il novizio non solo doveva seguire le lezioni del maestro, ma anche leggere ("seorsum ab aliis et pluries in anno") le leggi che doveva seguire, e cominciare a conoscere la parola divina: "Sacram Scripturam avide legat, devote audiat et ardenter addiscat" (30).
Terminato l'anno di noviziato e fatta la professione, il nuovo religioso era mandato ad uno "ex honestioribus fatribus conventus in curam, quousque annum vicesimum aetatis attigerit" (31). Questa prima tappa della vita conventuale, la cui durata dipendeva dall'età che aveva il candidato all'ingresso nell'Ordine, era dedicata principalmente allo studio. Se non era persona istruita, l'aspirante doveva rimanere come minimo un anno nelle scuole grammaticali, divise spesso in inferiori e superiori, imparando le regole di Elio Donato o quelle di Prisciano, sostituite qualche volta con quelle del Dottrinale di Alessandro di Villadei e più tardi con quelle dei primi grammatici umanisti (32). Terminato con successo il corso di grammatica, lo studente rimaneva tre anni nelle scuole di logica, nelle quali si spiegavano le categorie o Praedicamenta di Aristotele e il suo scritto De interpretazione, con l'Isagoge di Porfirio e i trattati logici di Boezio = "Logica vetus", alla quale è stata aggiunta verso il 1260 la "Logica nova", che comprendeva tutto l'Organon dell'Estagirita (33). Gli inventari delle nostre biblioteche del medioevo dimostrano che sono stati utilizzati in queste scuole anche gli scritti logici di Pietro Hispano e di Alberto di Sassonia, e più tardi le due summe (parva e magna) dell'agostiniano Paolo Veneto († 1429), le quali ancora propongono, come testo obbligatorio per gli allievi dell'Ordine, le Costituzioni del 1686. Durante il triennio dedicato alla logica, gli allievi cominciavano i loro studi filosofici ascoltando regolarmente la spiegazione degli scritti "naturali" di Aristotele, che comprendevano anche la Metaphysica; la preparazione filosofica proseguiva con i cinque anni dedicati allo studio della teologia. I due libri principali per professori e allievi in questa ultima tappa del ciclo scolastico ecclesiastico erano la Bibbia = "Textus" e i Sententiarum libri quatuor di Pietro Lombardo; le lezioni e le dispute scolastiche, che nelle scuole conventuali duravano dalla seconda settimana di settembre fino al 28 giugno, dovevano svolgersi in uno "studium generale" dell'Ordine o, almeno, della provincia religiosa dello studente, poiché le Costituzioni del 1290 sollecitavano ognuna di queste ad aprire al più presto possibile un centro di formazione per questo ciclo di studi:
Et in unoquoque ex ipsis studiis sint duo lectores, quorum unus, de mandato ipsius Generalis, legat de Textu et disputet tempore opportuno, et aliquam aliam lectionem in philosophia legat, prout consideraverit magis ad utilitatem studentium expedire, et studium ipsum debita sollicitudine ordinet et dirigat; alius vero legat Sententias et in logicalibus vel in philosophia, secundum quod magis utilitas et commoditas studentium exigebit. Const. Ratisb., c. 36.
Le scuole di grammatica e di logica dipendevano dal superiore della rispettiva provincia e dal suo definitorio, che decidevano il convento nel quale dovevano stabilirsi spostando frequentemente le loro sedi; inoltre nominavano i maestri di grammatica e di canto ecclesiastico nelle prime, i lettori di logica e di filosofia naturale nelle seconde e controllavano la disciplina scolastica loro stessi o per mezzo di loro collaboratori. Il programma di insegnamento in queste scuole (grammatica, canto, logica e filosofia) sostituì il vecchio programma del "trivium" e del "quadrivium" da quando i religiosi mendicanti cominciarono ad avere influenza nella vita universitaria, cioè dalla metà del XIII secolo (34). Dipendeva anche dal superiore provinciale e dai suoi definitori il centro di formazione teologica chiamato "studium generale provinciae": i capitoli provinciali assegnavano la sede e i professori e anche stabilivano che il buon funzionamento del centro fosse controllato dal superiore e dai suoi collaboratori. La cura dello "studium" era importante per la buona preparazione teologica dei futuri sacerdoti nell'esercizio del sacro ministero e nella difesa della fede: i lettori in questo centro non potevano avere altri incarichi nella comunità e dovevano essere dispensati dalla partecipazione ad altre attività, per dedicarsi meglio al loro impegno. Il priore poteva obbligare tutti i frati a partecipare alle lezioni di teologia, quando non fossero impediti, e le Costituzioni del 1290 raccomandavano "ut studium sollicite et ardenter foveat, et studentibus pius et favorabilis semper assistat, et ad hoc suos conventuales inducat et adstringat". Cost. Ratisb. c. 36.
I principali centri di formazione erano chiamati "studia generalia Ordinis", perché dovevano (o almeno potevano) avere allievi di tutte le Province. Il primo, in ordine di tempo e di importanza fu quello di Parigi, il più sostenuto dai priori generali dal XIII fino al XVII secolo, il più internazionale per professori e allievi, il quale servì da modello con i suoi statuti e con il suo esempio a quelli che lo seguirono in fama e internazionalità. In questo senso i primi furono gli "studi" di Bologna e Padova; seguì a questi lo "studium curiae", che si trovava normalmente a Roma, ma che doveva trasferirsi (con la corte pontificia) a Viterbo, Orvieto, Perugia e successivamente ad Avignone; possono collocarsi quasi allo stesso livello gli studi di Firenze, Cambridge e Oxford; furono meno internazionali quelli di Napoli, Siena, Milano, Vienna, Magonza, Colonia, Bruges, Metz, Strasburgo, Lione, Montpellier e Tolosa; rimasero spesso limitati al servizio delle rispettive Province gli studi generali di Gran o Esztergom, Aix, Cahors, Bordeaux, Lerida, Valencia, Toledo e Lisbona, e non furono chiamati "generali" gli "studia generalia Italie", nonostante che i capitoli della prima metà del secolo XIV li avessero istituiti in molti città d'Italia: a Barletta, L'Aquila, Viterbo, Rieti, Ascoli Piceno, Arezzo, Lucca, Rimini, Venezia, Treviso, Genova, Pavia e Asti. I superiori dell'Ordine accettarono la moltiplicazione di questi centri su richiesta delle autorità locali e di benefattori insigni; ma è evidente che questo fatto sottrasse allievi ai cinque migliori e più antichi studi generali della Penisola: Padova, Bologna, Firenze, Roma e Napoli.
Non ci sono dati per dire con certezza l'anno della fondazione della maggior parte dei suddetti "studi", solamente si sa che quello di Parigi comincia la sua storia nel 1259 e che la continuò fino al 1790. I nomi di quasi tutti gli altri "studi" appaiono negli atti dei capitoli generali in cui sono indicate nomine e trasferimenti di maestri e allievi: questo indica che già esistevano prima della data segnalata. Quelli di Oxford e Cambridge appaiono negli atti del capitolo del 1318, nei quali sono concessi a questi studi gli stessi diritti dello "studium Parisiense": questo fa presupporre che erano studi di primaria importanza e che avevano probabilmente diversi decenni di storia (35). Lo "studium Strigoninse" o di Gran è nominato nelle fonti storiche dell'Ordine prima dell'anno 1384; ma è quasi sicuro che esisteva già all'inizio dello stesso secolo, perché nel 1290 il re Andrea II d'Ungheria aveva nei suoi domini gli agostiniani - dei quali si professava benefattore "ob eorum religiosam et Deo placitam vitam" - che fondarono subito a Gran uno "studium theologiae et aliarum artium, cum aliis ministeriis studiorum" (36). Neanche si può proporre l'anno 1287 come data sicura della fondazione dei quattro migliori "studi" italiani (che, come vedremo furono cinque), benché questa data sembrava essere indicata negli atti capitolari di quell'anno e sebbene così dicano gli autori che abbiamo citato nelle note dalla 2 alla 5 del presente studio. In effetti dicono gli atti del capitolo del 1287: "Statuimus et ordinamus ut quatuor studia generalia ad minus sint in Italia, scilicet in curia Romana, Bononiae, Paduae et Neapoli. Ad horum quodlibet quaelibet provincia ordinis mittat studentem unum sufficientem et idoneum" (37). In virtù di questo mandato, promulgato "in die sancto Pentecostes" (cioè, il 26 maggio di quell'anno) la provincia romana designava il 24 giugno "in nativitate beati Ioannis Baptistae" quattro dei suoi migliori allievi per i seguenti studi: "Definimus quod frater Petrus de Clusio sit studens pro provincia in studio generali Paduano..., frater Alexander de Viterbio sit studens pro provincia in studio Florentino... frater Ioannes de Orto sit studens pro provincia in studio Bononiensi..., frater Ranunctius de Viterbio sit studens pro provincia in studio Neapolitano" (38). A questi quattro dobbiamo aggiungere lo "studium curiae", che non fu sostituito con quello di Firenze come sospettò P. Esteban, dato che negli atti del capitolo romano del 1288 appare un "frater Ioannes de Castello lector primus in curia".Crediamo non si possa posporre la fondazione di questi cinque studi dopo l'anno 1287 per le seguenti ragioni: 1° perché non è verosimile che in meno di un mese (dal 26 maggio al 24 giugno) potessero aprirsi cinque case di studio per ricevere allievi di tutte le Province dell'Ordine che già erano più di quindici; 2° perché non è probabile che i priori generali, che tre anni dopo la grande unione già diedero inizio allo studio di Parigi, aspettassero più di tre decenni per fondarne alcuni in Italia, dove avevano il maggior numero di allievi; 3° perché gli agostiniani seguirono da vicino, nella loro attività scientifica, i domenicani e i francescani, che già prima del 1240 avevano studi generali in diverse città d'Italia (Padova, Bologna, nella corte pontificia, ecc.) (39); e 4° perché non si può supporre che avessero studiato a Parigi tutti i predicatori, "discreti et a vobis examinati", che esistevano nelle Province italiane nel 1290, quando il beato Clemente da Osimo mise a disposizione del Papa non meno di 20 allievi con questo titolo (40). Per queste ragioni crediamo che la disposizione del capitolo generale del 1287, nella quale i legislatori dell'Ordine stabilivano che ci fossero in Italia "ad minus quatuor studia generalia", non deve intendersi come fondazione, ma come conferma di questi centri, della cui origine si può parlare con sicurezza prima dell'anno 1270, cioè, nel primo decennio dopo della grande unione.
Gli studi generali dipendevano nella loro istituzione e governo, cosi come nella designazione di professori e allievi, dai capitoli generali e dal superiore dell'Ordine; ma questo delegava con frequenza la sua autorità ai superiori delle Province lontane. Il priore del convento controllava l'osservanza regolare e il reggente degli studi, e quando non c'era questo, il primo dei lettori, che poteva essere un baccelliere oppure un maestro; aiutava il priore e il responsabile principale degli studi, il "magister studentium", che era sempre un sacerdote giovane di fiducia, che frequentava allo stesso tempo gli studi per arrivare almeno al lettorato. Gli allievi dovevano rimanere nello studio generale cinque anni, ma già prima del 1306 furono ridotti a tre per quelli che avessero fatto un triennio in uno studio generale di minore categoria. Se il religioso studiava sostenuto finanziariamente dalla sua Provincia, mandato dal superiore della stessa e dal suo definitorio, il provinciale doveva mandare al priore dello "studium", all'inizio dell'anno scolastico, il denaro stabilito per il mantenimento dell'allievo; la stessa cosa doveva fare il priore del convento nativo, quando il religioso era mandato a studiare "sumptibus proprii conventus"; non mancavano allievi che rimanevano in uno studio più tempo del normale, potevano farlo se "sumptibus suis", cioè, se gli pagavano le spese i suoi genitori o qualche benefattore; infine nei secoli XIV e XV i registri dell'Ordine ci fanno conoscere molti studenti "de gratia", che erano quelli che il priore generale mandava a uno di questi centri. Il priore dello studio e il reggente ammonivano, per le proprie competenze, gli allievi che claudicavano nell'osservanza o che non progredivano negli studi, e quelli incorreggibili erano rimandati, previo avviso, ai superiori delle rispettive Province.
4. Maestri, allievi e livello di cultura.
I principali studi generali erano incorporati a una Università, che concedeva il titolo di baccelliere e più tardi la "licentia docendi" e il magistero in teologia agli allievi che avessero concluso con profitto il corso accademico, e che avessero insegnato (leggendo la Bibbia e i libri delle Sentenze) e aver fatto gli esercizi prescritti dagli statuti universitari: dispute pubbliche, sermoni, "principia" e lezione solenne "in aula episcopi" (41). I religiosi che ottennero il magistero furono una piccola minoranza nel primo secolo della nostra storia; dovevano risaltare nella dottrina e nell'esemplarità di vita, e dovevano esercitare l'attività di reggenti o lettori primari (con l'obbligo di tenere almeno una lezione al giorno) negli studi generali dell'Ordine. Esercitavano queste mansioni negli studi provinciali i baccellieri e con più frequenza i lettori, che furono sempre i laureati più numerosi, e questo derivava dalla necessità di avere professori che insegnassero nelle Province, e perché il lettorato poteva essere conseguito mediante un corso di cinque anni in uno studio generale. I superiori dell'Ordine esortarono fin dall'inizio i superiori delle Province a scegliere buoni candidati per questo compito "qui sint vitae laudabilis et in grammaticalibus et logicalibus competenter instructi", e a mandarli a Parigi o ad un altro buono studio, nel quale dessero prova di poter essere utili poi nelle loro Province:
Cum autem provincialis et definitores praedictum studentem suae provinciae circa quinquennium revocare debent, sic ordinent ut a tribus lectoribus positis per Generalem examinetur... Et si sufficiens inventus fuerit, officio lectoriae de mandato ipsius Generalis de cetero tamquam lector habeatur, et legat in loco qui sibi pro tempore a suis maioribus fuerit assignatus. Cost. Ratisb. Cap. 36.
Quindi abbiamo, dalla fine del XIII secolo, tre tappe (grammatica, logica-filosofia e teologia) nei corsi di studi ecclesiastici, e tre tipi di questi: uno per il sacerdozio, che durava normalmente nove anni (dai 15 ai 24 anni d'età) e che aveva più tardi un complemento con l'esame per predicare e per dispensare il sacramento della Penitenza (42); un altro per il lettorato, che tra i religiosi era già un corso accademico e che durava poco più del primo, se l'allievo era rimasto un lustro in uno studio generale e se superava l'esame che lo abilitava all'insegnamento di filosofia e teologia ai suoi confratelli; e il terzo, che non durava meno di quindici anni e che frequentavano solamente i religiosi che dovevano conseguire tutti i gradi accademici, per esercitare le mansioni di reggente o di professore in uno "studium generale" incorporato ad una Università. Sono conosciute le tappe di questo corso, che possiamo seguire attraverso la vita dei due primi dottori agostiniani, Egidio Romano e Giacomo da Viterbo (43). Sono meno conosciuti gli studi dei lettori, che sono descritti vagamente negli atti dei capitoli generali. Si sa, dagli statuti universitari (ai quali si conformavano i corsi degli studi generali dei religiosi mendicanti) che l'allievo doveva assistere a tre lezioni giornaliere: la prima, che era impartita dal maestro reggente tra le ore canoniche di prima e di terza, era di esegesi biblica; nella seconda, che si svolgeva tra le ore terza e sesta, il baccelliere spiegava "in biennio" i libri delle Sentenze; e nella terza, all'ora dei vespri, il baccelliere biblico "leggeva" ai suoi allievi uno dei libri della sacra Scrittura "cursorie" o "textualiter", cioè, spiegando solamente il senso grammaticale dei termini. Dei tre tipi di studio ecclesiastici, il meno conosciuto era il primo, cioè l'ordinamento al sacerdozio, che era senza dubbio quello che era frequentato dalla maggioranza degli allievi nell'ambito dei diversi ordini religiosi. Non è possibile fissare esattamente la sua durata e neanche determinare il grado di cultura di quelli che lo concludevano con profitto, perché i programmi già menzionati di grammatica, logica, filosofia e teologia rappresentavano un ideale, ma in molti casi non erano realizzati in maniera adeguata (44). Siccome non si ha sufficente documentazione inerente al livello intellettuale del clero nei tre ultimi secoli del medioevo, non sarà inopportuno ricordare qualche fatto o alcuni testi, che potranno illustrare questo aspetto ignorato della nostra storia, cioè il grado di preparazione teologica degli agostiniani che studiavano per diventare sacerdoti e per dedicarsi al sacro ministero. Il migliore esempio in questo senso l'offre la vita di S. Nicola da Tolentino, che entrò nell'Ordine contemporaneamente al nostro miglior rappresentante nei corsi universitari, Egidio Romano. Nicola frequentò le scuole di grammatica e logica nello "studium provinciae" della Marca di Ancona dal 1259 al 1269 (45); nel 1270 era già sacerdote; durante i trentacinque anni che gli rimanevano da vivere si dedicò assiduamente all'attività apostolica, percorrendo come predicatore le quattro province delle Marche, dando prova di zelo e di prudenza nel ministero della confessione; testimoni oculari affermano nel suo processo di canonizzazione che erano molte le persone che andavano ad ascoltare le sue prediche, "propter magnam devotionem quam populus habebat erga eum"; altri parlavano del molto tempo che dedicava alla somministrazione del sacramento della Penitenza, soprattutto nel periodo di quaresima, nel quale "omni die erat tam impeditus confessionibus et orationibus, quod non comedebat usque sero"; alcuni dichiarano che non imponeva penitenze molto gravi o difficili da compiere, "sed contentabatur ut iidem peccatores ad cordis contritionem redirent", ed era noto che le persone che si confessavano da lui "recedebant multum contentae et consolatae et devotae ab eo" (46). Benché sia da attribuire gran parte di tutto questo alla sua santità, che gli dava quel "rectum iudicium inclinationis" di cui parla il Dottore Angelico (47), pure si deve supporre che l'apostolo delle Marche non trascurò lo studio necessario per compiere bene la sua missione. Le leggi vigenti nell'Ordine durante gli ultimi quindici anni della sua vita imponevano che potessero confessare solo i religiosi ordinati "qui sint bonae famae et scientiae competentis"; e nell'ambito della predicazione "non nisi viris providis et suffcientis litteraturae sit permissum", dopo un esame nel quale il candidato dimostrasse di avere entrambe le qualità (48).
Con lo scopo di aiutare i suoi confratelli a compiere bene la prima delle obbligazioni menzionate, Giacomo da Viterbo scrisse (nella vita dello stesso S. Nicola) una Summa de peccatorum distinctione (49), che è il primo contributo di un agostiniano alla copiosa letteratura didattico pastorale del medio evo, rappresentato dalle numerose summae di casi, di uffici, "de vitiis et virtutibus", "de sacramentis" ecc. (50). Nel 1302 Bonifacio VIII ricordava al priore generale e ai provinciali agostiniani il dovere di non affidare la cura delle anime che ai religiosi dell'Ordine "qui sacerdotibus abundat et in suis fratribus viget scientia et vitae sinceritate per Dei gratiam pollet", sempre che fossero "in sacra pagina eruditi, examinati et approbati a vobis" (51). Tommaso da Strasburgo, priore generale dal 1345 al 1356, non solo aveva affermato, quando insegnava teologia a Parigi, la necessità della "scientia morum quae est habitus discretivae cognitionis" per svolgere proficuamente quelle mansioni, solo che aggiungeva chiaramente "quod graviter peccant episcopi ordinantes eos in quibus deficit talis habitus..., peccat etiam iste qui, carens scientia, seipsum ingerit ut iam dictam auctoritatem suscipiat" (52). Il beato Simone Fidati da Cascia che tra il 1320 e il 1348, con la parola e con la penna, in Umbria e Toscana ammoniva i sacerdoti a esercitare bene il loro ministero e a non approfittare della doppia potestà ("remittendi et retinendi") ricevuta da Cristo: "Et propter pietatem in reum, quem videt suis pedibus provolutum, impietatem exerceat in Deum, Quem desuper habet iustissimum iudicem... Noverit primo se, antequam super reum decernat, si auctoritate debita fungitur, si plene deprehenderit crimina criminosi et signa recognitionis in reo ad facultatem aspiciat: et tunc sententiam proferat sive suspendat" (53). Si possono aggiungere ancora altri testi di superiori vigilanti e di buoni allievi, del secolo compreso tra l'anno della grande unione e il 1356, per dimostrare che il livello intellettuale degli agostiniani era abbastanza elevato, non solamente riferito ai suoi maestri e lettori, ma anche a quelli che frequentavano solamente gli studi per diventare sacerdoti, senza aspirare ai gradi accademici. Non si deve prendere alla lettera e neanche generalizzare il senso di un decreto capitolare del 1281, che dice: "Nullus ad prioratum assumatur, nisi distincte legere sciat in breviario et missali" (54); perché in questa disposizione (e in altre equivalenti di date posteriori) non si menziona l'ignoranza che sembra indicare quel testo. Per prima cosa, perché questa frase era una norma di diritto canonico, che esigeva le stesse obbligazioni da tutti i candidati, compresi quelli che aspiravano al sacerdozio senza arrivare ai gradi accademici (55). Inoltre, perché è molto probabile che nel 1281 vivessero ancora, tra gli agostiniani religiosi delle congregazioni unite nel 1256, coloro che avevano vissuto come eremiti e che successivamente sarebbero stati chiamati al sacerdozio di devozione. In terzo luogo, perché è anche possibile che questa ultima classe di sacerdoti, che fu numerosa nel clero secolare del medio evo, avesse già la sua rappresentanza nell'Ordine, come l'aveva già avuta (nel nostro e negli altri) in maggiore numero durante il periodo di decadenza, che comincia a metà del XIV secolo e si protrae fino alla riforma tridentina. Vediamo, per ultimo, che leggere "distincte" (o "clare et expedite" come dicono altri testi) in un codice medievale, scritto con lettere fitte, pieno di abbreviazioni e con scarsa punteggiatura, non è facile come con un testo uscito da una tipografia moderna, nel quale il lettore non incontra nessuna di queste difficoltà.
Neanche troviamo indizi di penuria di religiosi preparati in teologia, né una base per fissare la loro età e la loro carriera in un testo delle Costituzioni del 1290, che si porta per provare queste due cose (56). Il testo (cap.36) dice: "Statuimus... inviolabiliter observari, ut nullus qui tricesimum quintum annum aetatis attigerit vadat Parisius ad studium". Il divieto indica che fino ad allora andavano a studiare a Parigi religiosi di trentacinque o più anni di età; dopo il testo indica anche che esisteva nell'ordine scarsità di persone dotte e penuria di professori. Ci sembra che non si possa raggiungere tale conclusione: 1°, perché il passo citato segue la linea di un altro dell'anno 1284 che dice: "Definimus, propter multitudinem scholarium Parisius exsistentem, quod de nulla provincia possit nisi unus studens Parisius ire usque ad capitulum generale sequens" (57), 2°, perché il capitolo del 1290 stabilì di intensificare la disposizione precedente (non abrogata dal capitolo del 1287) a causa delle difficoltà economiche che erano sorte nella capitale francese e che obbligarono i domenicani e i francescani a limitare il numero di studenti, nonostante le loro sedi di Parigi fossero più ampie di quelle che avevano a disposizione gli agostiniani fino al 1293 (58), e 3° perché il divieto di mandare allo "studium" della capitale francese religiosi di trentacinque anni ammetteva eccezioni che lasciavano aperta la porta a molte possibilità: potevano effettivamente andare a Parigi nonostante l'età, quelli che fossero "tam sufficientis scientiae et subtilis ingenii quod, pro communitate et aommoditate ordinis, generale capitulum vel prior generalis decreverit aliter observandum"; e non solo questi, ma anche i lettori "qui mittuntur Parisius ut ad magisterium perveniant theologicae facultatis" (59). Non diciamo che abbondassero i religiosi preparati per l'insegnamento superiore durante la prima generazione che seguì il 1256, nonostante sia sicuro che molti degli eremiti uniti in quella data già si dedicavano al sacro ministero; però non si deve dimenticare la "sorprendente prontezza" con la quale, secondo Ehrle, i nostri predecessori della prima ora si posero a fianco dei domenicani e francescani, che avevano cominciato gli studi sacri trenta anni prima. Gli atti capitolari della Provincia romana (e delle altre i cui atti sono andati perduti) pongono in evidenza l'importanza che davano i superiori alla buona formazione scientifica della loro gioventù: nel capitolo romano del 1281 "imposita fuit et ordinata maxima collecta pro tribus studentibus sive lectoribus novis", che erano appena tornati da Parigi; ed erano tutti lettori i quattro consiglieri che parteciparono al capitolo del 1285 che nominò il nuovo provinciale romano (60). Le Costituzioni del 1290 dicono che uno dei principali obblighi del priore generale era questa: "Attente quidem provideat quomodo studia, in quibus fundamentum Ordinis consistit, per universum Ordinem sollicite continuentur et maxime quomodo generalia studia in fervore et assiduitate studii nutriantur, et apti ad studium per singulas pronvincias promoveantur" (61). La maggior parte dei successori di Egidio Romano nel governo dell'Ordine (e anche nel dovere di adempiere a quella legge) furono professori di teologia, a Parigi, Bologna o Padova, e non pochi sono conosciuti per i loro scritti: Alessandro di Sant'Elpidio, priore generale negli anni 1312-1326, Guglielmo da Cremona 1326-1342, Tommaso di Strasburgo 1345-1357, Gregorio da Rimini 1357-1358, Ugolino da Orvieto 1368-1371 e Bonaventura da Padova 1377-1385 (62). I tre ultimi governarono nel periodo di decadenza generale; però il clero regolare, specialmente quello degli ordini mendicanti, continuò ad essere quello che diede i migliori teologi alla scienza scolastica e anche quello di più elevato livello culturale come già lo era dall'anno 1250. Nel trattare dei requisiti per ricevere il diaconato e il sacerdozio, dice Guido di Baysio che se i candidati "in monasteriis sunt educati, citius admittuntur" (63); un quarto di secolo dopo, verso il 1325, il nostro Agostino di Ancona scriveva "quod omnia armaria sunt plena de libris et operibus quae fecerunt religiosi": i quali, a suo parere dovevano essere preferiti come confessori, specialmente di re e principi, perché "communiter sacra Scriptura, per quam saluti animarum consulitur, sunt magis illustrati, in sanctitatis vero exemplo et vitae moribus communiter sunt magis modificati" (64).
C'è chi afferma che nell'Ordine agostiniano, formato nel 1256 da quattro congregazioni di eremiti, continuò la tendenza alla vita eremitica in contrasto alla vita di studio promossa dai superiori dell'Ordine. In contrapposizione ad Egidio Romano, secondo Elm, si devono considerare il beato Simone Fidati e l'inglese Guglielmo Flete come promotori di quella tendenza (65). Però questo è semplificare la storia, per presentare una sintesi con mancanza di basi: 1°, perché Fidati e Flete non furono nemici degli studi, ma soltanto della filosofia aristotelica, del formalismo ecclesiastico e dei gradi accademici, che in quel tempo davano già occasione di non pochi abusi contro l'osservanza regolare; 2°, perché si tratta di due "spirituali", difensori dell'osservanza, che aveva adepti in tutte le famiglie religiose e in alcune in maggior numero che in quella agostiniana; 3°, perché non si può parlare di due tendenze opposte, una favorevole e un'altra contraria alla vita di studio, se nella prima figurano più di cento autori e nella seconda appena due, perché in questo caso l'eccezione confermerebbe la regola. E la regola non è solamente a favore dei priori generali e di molti scrittori agostiniani che fiorirono tra gli anni 1256 e 1551, ma anche di quelli che allo stesso tempo scrissero libri per istruire la propria gioventù secondo lo spirito agostiniano, come Enrico di Friemar, Giordano di Sassonia e loro imitatori fino al periodo tridentino. Uno di loro, il simpatico umanista milanese Andrea Biglia, ricordava a un giovane confratello che un vero figlio di S. Agostino deve imitare il padre in tutto quanto gli sia possibile, nell'amore alla sapienza e allo studio: "ut quam maxime fieri potest, parentis et doctoris nostri documenta discamus, nec simus tantum religionis filii, verum etiam, si hoc detur sapientiae et doctrinae illius discipuli" (66).
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6) F. EHRLE, I più antichi statuti della facoltà teologica dell'Università di Bologna, 1932, pag. xciv ss.
7) M. GRABMANN, Die Geschichte der kathol. Theologie, 47, vers. spagnola, 6°.
8) DENIFLE, I, 331, 339.
9) Ibidem; DENZINGER, Enchiridion symbolorum, 842.
10) DENIFLE, I, 331, 339. Indicativa la promozione simultanea da parte del Papa dei due maggiori teologi del medioevo, dei quali il primo aveva solo 30 anni e il secondo 35.
11) "Richardus arctissimo necessitudinis vinculo coniunctus fuit cum divo Thoma Aquinate..., saepe saepius Richardum cardinalem visitabat Thomas, vicissim Thomae cellam frequentabat Richardus; iucundissima enim erat illa amicitia, quam morum similitudo coniugarat". ALPHONSUS CIACONIUS, Historia pontificum Romanorum et S.R.E. cardinalium, II, Romae 1677, 88. Cfr. Dictionnaire d'hist. et de geogr. ecclés. III, 389 s.
12) "...quamdam domun cum quodam iardino eidem domui adiacente... ultra portam sancti Eustachii, in vico per quem itur ad Montem Martyrum". DENIFLE, I, 405-408.
13) AEGIDIUS ROMANUS, De grabidus formarum, parte 2°, c. 6; AA. SS., martii, Venetiis 1735, I, 672. Gli statuti universitari di Parigi già stabilivano nel 1215, "quod nullus sit scholaris qui certum magistrum non habeat". DENIFLE, I, 79.
14) DENIFLE, II, 144 e 172; AA. XXII, 36.
15) Era il convento dei "fratres sachitae" o del sacco, soppressi nel 1274 dal 2° concilio di Lione. Il re lo donò agli agostiniani, "ob favorem potissimum dilecti et familiaris nostri mansionem absque impedimento quocumque". DENIFLE, II, 61. Il convento fu soppresso dai rivoluzionari nel 1790.
16) F. LAJARD, Histoire littéraire de la France, XXX, 433; AA. XXVIII, 214; F. ROTH, The English Austin Friars, New York 1966, 24 e 413.
17) DENIFLE, II, 172; AA. XXIII, 232; Diction. de spiritualité, VI, 385.
18) Edizione di G. BRUNI, in AA. XVII, 125-157.
19) G. BRUNI, le opere di E. R., Firenze 1936: pubblicato in Bibliofilia dal 1934 al 1936; id., Un'inedita "Quaestio de natura universalis" di E. R. con un saggio di cronologia egidiana, Napoli 1935, 25-43.
20) DENIFLE, II, 12; AA. II, 275.
21) DENIFLE, II, 40. Attribuire a Egidio una parte decisiva nella redazione di un capitolo delle nostre prime Costituzioni, non cambia un fatto sicuro: che i due autori principali di quelle leggi sono i beati Clemente di Osimo e Agostino da Tarano in Sabina, come dice Giordano di Sassonia nei suoi "Vitasfratrum", parte 2, cap.14.
22) AA. II, 337.
23) Ibid. IV, 203. E per ottenere quello che era scritto, aggiungeva: "Ad haec detis et dari faciatis pro viribus omnem operam cum effectu, ut boni novitii possint in vestra provincia recipi, recepti religiose tractari et informari morum modestia et sutudii disciplina".
24) DENIFLE, II, 64; AA. II, 368.
25) DENIFLE, II, 10; A. ZUMKELLER, in AA. XXVII, 176-186.
26) Cfr. P. GLORIEUX, Repertoire des maitres en théeologie, I, 62-77, 86-104, II, 38-51, 294-308, per comprovare quello che si dice nel testo.
27) J. KOCH, Giles of Rome, Errori philosophorum, testo critico con versione inglese, Milwaukee 1944. Koch non solo ha tolto qualsiasi dubbio all'autenticità egidiana dell'opuscolo, ma ha anche illustrato la sua importanza fondamentale per l'accettazione moderata della dottrina dei "filosofi" nelle scuole cristiane. Cfr. Revue des sciences philos. et théologiques 32 (1948) 107.
28) De regimine principum, lib. 3, parti 2, cap. 8. Questa opera scritta nel 1280, ebbe un grande successo in tutta Europa fino al periodo tridentino, come lo provano le centinaia di codici e molti documenti che ancora sono scritti in latino, italiano, tedesco, francese, inglese, fiammingo, catalano, castigliano, portoghese ed ebraico, e anche le imitazioni, riedizioni, compendi e glosse a cui diede origine. Cfr. G. BRUNI, Le opere di E. R., Revue des sciencies philos. et théologiques 32 (1948) 107.
29) Cost. Ratisb. Cap. 16. I passi che citiamo appresso si trovano nei cap. 15-17; questi parlano dell'ammissione e formazione dei novizi; di questo soprattutto dovevano preoccuparsi i superiori delle Province e conventi, come ricordava loro il generale Guglielmo di Cremona nella circolare del 1326, "quia sanctius esset non recipere, quam receptorum curam negligere". AA. IV, 31. Nell'anno 1327 i definitori della provincia romana determinavano: "quod nullus prior audeat aliquem novitium recipere deformem, de legitimo toro non natum, apostatam alius ac vilis condicionis et nescientem aliqualiter legere". Ibid. 36.
30) Cost. Ratisb. Cap. 17. Tutti i codici medioevali di queste Costituzioni hanno il testo menzionato, che non è stato citato da Staupitz nella sua edizione di 1504, come ripetono molti studiosi di Lutero, seguendo a Th. KOLDE, Die deutsche Augustiner-Congregation und Johann Staupitz, Gotha 1879, 22 e 224.
31) Lettera di Guglielmo di Cremona, già citata nella nota 29; il testo si ripete quasi uguale nel cap. 18 delle "Additiones" del generale Tommaso di Strasburgo, che rimanessero in vigore - nelle Costituzioni del 1290- fino l'anno 1551.
32) E. R. CURTIUS, Europaische Literatur und latein. Mittelalter, Berna 1948, 50. Cost. Ratisb. C. 36: "Provincialis vero et definitores scholas logicales et grammaticales in quibus rudes scholares de provincia studeant, in provincialibus capitulis ordinent... Nullus nisi aptus studio numeretur".
33) S. VANNI-ROVIGHI, in Enciclopedia filosofica, ed. 1957, III, 120.
34) St. d'IRSAY, Histoire des universitès, I, Paris 1933, 165: la facoltà delle arti "se développa en une véritable faculté de philosophie".
35) AA. III, 224. Gli agostiniani seguirono anche in questo caso l'esempio dei domenicani e francescani. St. d'IRSAY, o.c., I, 127-129; I. FELDER, Storia degli studi scientifici nell'Ordine francescano, Siena 1911, 265 e 320.
36) F. KNAUZ, Monumenta ecclesiae Strigoniensis, Gran 1882, II, 274; F. FALLENBUCHL-G. RING, in AUGUSTINIANA 15 (1965) 150-156.
37) AA. II, 275; YPMA, La formation..., 22s.
38) Ibid. II, 271. Nell'anno 1276 appare lo "studium curiae": ibid. II, 227.
39) FELDER, o.c., 155-163; A. SORBELLI, Storia dell'Università di Bologna, I, 130.
40) L. EMPOLI, Bullarium ord. erem. S. Augustini, Romae 1628, 260; ibid. 103.
41) EHRLE, I più antichi statuti..., p. CXCII ss; GLORIEUX, Répertoire, I, 21; ibid., L'enseignement au moyen-age... à la faculté de théeologie de Paris en Archives d'histoire doctrinale et littér. Du moyen-age 35 (1968) 65.186; I. W. FRANK, Hausstudium und Universitatsstudium der Wiener Dominikaner bis 1500, Vienna 1968: opera utile anche per noi, per la somiglianza delle leggi e abitudini di entrambi gli Ordini. Vedere per la stessa ragione L. ROBLES, nella rivista domenicana Studium 8 (1968) 61-85.
42) Cost. Ratisb. Cap. 8 e 36; Diction. de spiritualité, IV, 997. Il capitolo generale del 1287 ordinò ai provinciali, "ut nullum fratrem faciant infra annos viginti quatuor ad sacerdotium promoveri". AA. II, 277.
43) P. MANDONNET, La carrière scolaire de Gilles de Rome, en Revue des sciences philos. et théologiques 4 (1910) 480-499: G. BRUNI, Una inedita "Quaestio" (v. nota 19) 25-43; D. GUTIERREZ, De beati Iacobi Viterbiensis vita, operibus et doctrina theologica, Roma 1939, 13-21.
44) Si vedano i testi pubblicati nella prima Appendice.
45) I bollandisti suppongono che studiò a Tolentino, Fermo e Recanati: AA. SS. sept. Venetiis 1761, III, 672. L'ultimo biografo del Santo dice che finì la teologia a Cingoli: D. GENTILI, San Nicola da Tolentino, Milano-Roma 1966, 20, e nella Bibliotheca sanctorum, IX, Roma 1967, 957.
46) Siena, Bibl. Comunale, Ms. K. I. 14, ff. 33, 38, 54 e 108. Questo è il migliore codice del processo de canonizzazione del santo, istruito per ordine di Giovanni XXII nell'anno 1325.
47) "Homo spiritualis ex habitu caritatis habet inclinationem ad recte iudicandum de omnibus secundum regulas divinas". 2-2, 6°, dal 1° al 2°.
48) Vedansi i luoghi citati nella nota 42.
49) Napoli, Bibl. Nazionale, ms. VII G 101. L'autore scrive nel prologo: "familiari sermone, ad utilitatem copiosae confessionis... Nonnulla etiam inseruntur de peccatorum remediis". Cfr. D. AMBRASSI, nella rivista napoletana "Asprenas" del 1959.
50) Lexikon für Theologie und Kirche, IX, 1166s.
51) EMPOLI, Bullarium (v. nota 40), 51.
52) Thomas Argentinensis, In 4 ° Sent., dist. 18, a. I.
53) De gestis Domini Salvatoris, lib. 14, cap. 16. L'agostiniano tedesco Godescalco Hollen ricordava un secolo dopo le qualità del buon confessore in questa forma: "...sufficiens in scientia, idoneus, bonae vitae et probatae, persona discreta ut sciat solvere et ligare et misericordiam cum rigore miscere, modestus, cautus et circumspectus, scrutando conscientiam peccatoris in confessione quasi medicus vulnus et iudex causam". W. ECKERMANN, Gottschalk Hollen: Leben, Werkw und Sakramenten, Würzburg 1967, 298.
54) AA. II, 250: YPMA, La formation, 3.
55) E. ODIGER, Die Bildung der Geislichen im Mittelalter, Leiden 1953-54.
56) MINISTERI, in AA. XXII, 8, 41-45; YPMA, La formation, 4.s.
57) AA. II, 2451. I capitoli generali si celebravano in quel tempo ogni tre anni.
58) Monumenta ordinis Praedicatorum historica, III, Romae 1898, 250; circa i francescani, FELDER, o.c. 366-371.
59) Cost. Ratisb. 36. In queste due classi di allievi non vi era limite d'età.
60) AA. II, 246 e 248.
61) Cost. Ratisb. cap. 40 dove aggiungono: "Et ad hoc non solum in generali capitolo Generalis vigili et sollicita cura debet intendere, sed saepe per suas litteras et maxime in provincialibus capitulis provinciales, lectores et priores ad hoc inducere et monere...Praeterea consideret sollicite et provideat quomodo ordo in aliquibus pertibus mundi, ubi debilis est, fortificari et augmentari possit, et ubi nondum deplantatus est, quomodo plantari et radicari possit".
62) Dà notizia di tutti loro, sotto il nome di ciascuno, il Lexikon für Theol, und Kirche, cosi come di diversi successori dal Favaroni al Seripando.
63) Rosarium ad c. 5, d. 24: citato da ÖDIGER, o.c., 82.
64) Summa de potestate ecclesiastica, q. 105, art. 2 e 6.
65) K. ELM, in "L'eremitismo in Occidente nei secoli XI e XII", ed. Univ. Cattol., Milano 1965, 491-559, e spec. 493 ss.
66) Andreae Mediolanensis († 1435), De ordinis nostri forma et propagatione, ed. R. ARBESMANN, in AA. XXVIII, 154-218, p. 191.