Il Cardinale Riccardo degli Annibaldi primo protettore dell'Ordine Agostiniano
Francis Roth OSA

Il Cardinale Riccardo degli Annibaldi primo protettore dell'Ordine Agostiniano

"CARDINAL RICHARD ANNIBALDI FIRST PROTECTOR OF THE AUGUSTINIAN ORDER"(Augustiniana, II - 1952 / III - 1953)

1952-1953
III

LA GRANDE UNIONE DEL 1256 E LA COSTITUZIONE DELL’ORDINE AGOSTINIANO NELLA SUA FORMA MODERNA

 

LA GRANDE UNIONE DEL 1256 E LA COSTITUZIONE DELL’ORDINE AGOSTINIANO NELLA SUA FORMA MODERNA

Il 15 luglio 1255 Papa Alessandro IV inviò una lettera a tutti i superiori degli Eremiti di Sant’Agostino e San Guglielmo[i] con la quale egli comandava ad ogni singolo convento di mandare due delegati con pieni poteri per votare a nome dei loro confratelli. La data ed il luogo dell’incontro furono lasciati alla discrezione del Cardinale Riccardo Annibaldi, che convocò il capitolo a Santa Maria del Popolo a Roma per il marzo 1256[ii]. Questi presenziò all’incontro e quando riuscì nella sua grande opera di unire gli Ordini lì radunati, il Papa ratificò il suo lavoro con la bolla Licet Ecclesiae del 9 aprile 1256, il documento più importante nella storia dell’Ordine ed il solo documento di questo evento.

 

Licet Ecclesiae Catholicae

Seguendo esattamente lo stile agostiniano, la bolla comincia col sottolineare l'unità armoniosa nel corpo mistico di Cristo nonostante le diversità individuali e mette in rilievo la necessità che ogni membro debba essere chiaramente distinguibile dagli altri ed avere una sua propria ordinata collocazione. Poiché tutti i religiosi in questione seguivano la vita eremitica e vi erano solamente poche e leggere differenze nel professarla, non c’era ragione per una diversità di titoli ed in alcuni casi per una diversità di abito, e perciò il papa stesso aveva deciso di incorporarli tutti in un unico Ordine sotto un unico generale. I padri riuniti erano stati concordi su questo principio, ma avevano chiesto di non essere obbligati a ricevere o avere possedimenti, di essere liberati dalla necessità di portare il bastone e che da quel momento in poi il Cardinale Riccardo potesse avere l’autorità  di nominare un priore generale per l’intero Ordine. Il papa acconsentì e garantì tutte queste richieste, ratificò la nomina di Lanfranco da Milano a nuovo priore generale e domandò, per il voto di severa obbedienza, che tutti si sottomettessero a lui. Approvò poi gli altri atti del capitolo, prese l’Ordine sotto la protezione della Santa Sede, li dispensò dai precedenti voti, professioni ed obbligazioni, prescrisse un abito nero e chiese che quelle case che non avevano mandato delegati aderissero senza eccezioni e pretese a questa unione come membri di un corpo. La bolla è un capolavoro di conciliazione e moderazione. Con grande tatto si toccano appena le condizioni necessarie all’unione, ma si mettono in rilievo i suoi vantaggi e vengono presentate le varie disposizioni come l’opera dei frati stessi. Il papa non fece nemmeno allusione alla visione che, secondo gli storici agostiniani, lo indusse ad unire gli eremiti. Questi storici sostengono che S. Agostino d’Ippona, comparve diverse volte al Papa Alessandro IV con una grande testa, ma con un corpo piccolissimo, implorandolo di rendergli un corpo adeguato alla testa unendo tutti gli eremiti sotto la sua guida spirituale. Enrico di Friemar, che è il primo a narrare la visione, conobbe alcuni membri dell’Ordine che presero parte al primo capitolo generale e la sua testimonianza pertanto non può essere trascurata, specialmente quando altri documenti contemporanei indicano che l’argomento era generalmente conosciuto[iii]. La visione, comunque, non spiega specificatamente perché i cinque gruppi sopra menzionati furono uniti, né perché furono aggiunti i Guglielmiti che seguivano la Regola di S. Benedetto e i cui punti di vista circa la povertà sembravano contrari agli ideali della maggioranza dei frati. La storia d’altra parte ci dice che ognuno dei primi quattro gruppi aveva sperimentato grosse difficoltà negli anni immediatamente precedenti il 1256. I Guglielmiti dovettero deporre il loro generale Giovanni che si era dimostrato inadatto al suo ufficio; e il contrasto che ne seguì tra lui ed i membri del suo Ordine fu portato davanti al papa[iv]. Essi inoltre sperimentarono difficoltà in Germania dove “fugutives” dall’Ordine avevano fondato nuove case senza permesso[v]. Potrebbe essere stata l’incapacità di far fronte a tali situazioni a causare l’attrito tra il generale Giovanni e i suoi sottoposti. I Brettinesi erano ancora in contrasto con i Francescani che erano risentiti per la somiglianza dell’abito e per le conseguenti perdite di elemosine. Numerose lettere erano state mandate ai vescovi del Nord Italia; ma l’obbedienza era sempre stata rimandata. Il papa sperava di eliminare la confusione dell’abito e gli scandali e le liti che ne seguivano, unendoli in un unico Ordine. Un atteggiamento puramente negativo, comunque, non avrebbe potuto dare sufficiente ispirazione e forza per vincere le molte difficoltà inerenti a tali unioni. Era necessaria una nuova forza vivificante: ed era quella insita nell’apostolato attivo assegnato all’Ordine. Gli Agostiniani dovevano lasciare i loro eremi ed entrare nelle città per predicare e ascoltare le confessioni. La chiesa necessitava di nuove forze per combattere le molte eresie diffuse da predicatori itineranti. Le città erano cresciute velocemente: ma la cura d’anime dei molti nuovi arrivati, in modo particolare nei sobborghi era stata trascurata e così queste zone offrivano un campo fertile ai seminatori di inquietudine e di individualismi religiosi. Se non fosse stato per gli Ordini Mendicanti, la Chiesa nel XIII secolo avrebbe subito una disfatta come quella del XVI secolo; ma si rese conto in tempo della grandezza di questo pericolo con le guerre Albigesi e lo superò chiamando al suo servizio tutte le forze disponibili. Queste ragioni positive sono espresse nella Licet Ecclesiae con le parole: “Ut ex pluribus cuneis acies una consurgeret fortior, ad hostiles spiritualis nequitie impetus conterendos”. Quando queste ragioni furono spiegate ai frati convenuti, essi furono unanimamente d’accordo all’unione, dopo di che il Cardinale Riccardo nominò Lanfranco Settala nuovo priore generale. Egli dette all’Ordine anche il suo nuovo nome: “Ordo Eremitarum Sancti Augustini”, ma il papa stesso prescrisse l’abito nero. Non si fa menzione di nuove costituzioni; le uniche usate a garanzia dell’uniformità della professione furono probabilmente quelle dei Toscani. Gli Zanbonini avevano soltanto nel 1253 composto lo scisma che aveva diviso il loro Ordine nelle fazioni di Cesena e di Romagna, e aveva dato loro due generali, ciascuno dei quali aveva scomunicato i seguaci dell’altro. I Francescani non erano soddisfatti della decisione papale che dispensava gli Eremiti dal portare larghe maniche svolazzanti, una alta cintura e l’odiato bastone. Essi riuscirono a far rinnovare la bolla Recordamur liquido che richiedeva queste cose ed armati di questo documento pretesero che i vescovi procedessero contro gli Agostiniani per costringerli persino a portare il bastone[vi].  Dopo tre mesi gli Agostiniani si appellarono alla Santa Sede ed Alessandro IV con la Litteras nostras scrisse ai vescovi di richiedere a tutti gli eremiti uniti solo ed unicamente di portare l’abito nero e di non procedere contro i recalcitranti sino al giorno di Ognissanti. L’opposizione all’abito nero fu originata senza dubbio dal movimento apostolico che chiedeva di portare  il tipo di vestito meno costoso come la stoffa da sacco grigia, mentre l’abito nero classificava quelli che lo portavano come appartenenti al vecchio ordine monastico, un concetto che non volevano che facesse presa tra la popolazione o i loro stessi membri. In verità l’abito nero era molto appropriato, perché gli Agostiniani erano nutriti  sia dal vecchio che dal nuovo corso di ideali religiosi ed erano più di ogni altro Ordine l’anello di connessione tra i due ideali, in quanto non arrivavano agli estremismi dello Spiritualismo francescano e nemmeno erano trattenuti dalla incapacità dei vecchi Ordini a conformarsi ai tempi, mentre si attenevano strettamente all’essenziale per condurre una vera vita monastica. Dopo aver superato il pericolo dei predicatori eretici itineranti, la Chiesa volse ogni sforzo a frenare gli spostamenti incessanti dei Mendicanti con una adeguata legislazione e sicuramente la sua richiesta, che non potessero essere fondati nuovi Ordini a meno che non fosse garantito il sostegno di almeno 12 membri [per convento], servì a diminuire grandemente le differenze tra le vecchie e le nuove forme di vita religiosa. La questione dell’abito non era ancora del tutto sistemata nel 1274, quando gli Agostiniani si riunirono durante il periodo del Concilio di Lione[vii], ed il Capitolo della Provincia Romana del 1290 dovette prendere severi provvedimenti per regolamentare il vestito dei frati[viii]. Il disprezzo dell’abito nero non durò; gli scrittori spirituali dell’Ordine nei secoli seguenti cercarono di dimostrare che esso era il vero abito di Sant’Agostino[ix], ma l’evidenza storica non lascia dubbi che esso fu introdotto dalla Chiesa stessa per distinguere gli Agostiniani dai Francescani. Fatto abbastanza curioso, i Francescani cambiarono il colore del loro abito negli anni seguenti e fino ad oggi l’abito dei Francescani Conventuali può essere distinto da quello degli Agostiniani solo per una cintura bianca.

 

Il primo Priore Generale e i suoi Vicari

I frati riuniti non avevano osato eleggere un generale, ma avevano chiesto al Papa che fosse il Cardinale Riccardo a nominarlo ed il protettore scelse Lanfranco Settala, il generale dei Zanbonini. Questi non fu scelto perché il suo Ordine era il più grande, come Salimbene vorrebbe farci credere[x], ma per la grande fama ed il profondo rispetto che si era guadagnato[xi]. Gli scrittori gli hanno sempre attribuito il titolo di “beato” ed egli fu sepolto certamente come un santo in S. Marco di Milano[xii], ma non si è mai avuto un processo per riconoscergli ufficialmente questo titolo, anche se sarebbe un compito facile e certamente un dovere di rispetto filiale il farlo. Senza dare alcuna fonte, Torelli[xiii] ed altri stabilirono che egli era nato a Milano dalla nobile famiglia Settala o Settare[xiv], che entrò nella Congregazione di Giovanni Bono e che ricevette l’abito in SS. Giacomo e Filippo sulla riva destra del fiume Savena, vicino a Milano (=Bologna), dove gli eremiti dimoravano prima di entrare in città. La prima data sicura la troviamo nel Processo di Canonizzazione di Giovanni Bono[xv], che rivela che Lanfranco era sacerdote e che stette con il santo a Butriolo da febbraio ad agosto del 1241. E’ piuttosto allettante considerare questo periodo come il tempo del suo noviziato, ma egli non lo dice e l’intera cronologia della sua vita seguente dice il contrario, a meno che S. Giovani Bono fosse così pressato dal bisogno di trovare superiori validi da nominare ad alte cariche persino uomini molto giovani[xvi]. Tra gli anni 1245 e 1249 Lanfranco soffrì di una ripugnante malattia della pelle che si pensava potesse trattarsi di un inizio di lebbra[xvii], ma riuscì ugualmente a lavorare come segretario del generale Ugo a Venezia, Bologna, Ferrara e Milano. Quando Giovanni Bono morì il 23 ottobre 1249, Lanfranco era a Mantova e pregò sulla sua tomba aperta con tale devozione e fiducia nella intercessione del suo santo fondatore, che al nono giorno si trovò improvvisamente e completamente guarito dalla malattia, e non un segno di questa rimase sul suo corpo[xviii]. La sua preghiera di rassegnazione, molto bella, è il solo sguardo che possiamo gettare nella sua vita interiore, ma essa rivela un grado di sottomissione tale  che solo i santi posseggono. Due anni dopo egli era provinciale di Lombardia e nel 1254 era responsabile della erezione della magnifica chiesa di S. Marco[xix] che rimase di proprietà dell’Ordine attraverso i secoli. Quando lo scisma all’interno del suo Ordine finì, egli fu eletto generale e questa scelta lo caratterizza come uomo che, attraverso una lunga e amara malattia, aveva acquistato la pazienza necessaria per sopportare le fazioni sempre in lite e lentamente ristabilire la piena armonia tra di loro. Il Papa lo descrisse come “vir utique providus et discretus ac in spiritualibus et temporalibus circumspectus[xx]. Il primo generale del nuovo Ordine unito di eremiti aveva esperienza nel governo dell’Ordine sia per quanto riguardava la direzione dei suoi uomini che per l’erezione di nuove case; egli aveva una forte ed attraente personalità, come solo un santo può avere. Un uomo di tale carattere ed abilità era necessario in quel momento più che un uomo di grande sapienza allo scopo di effettuare una piena e completa unione, il trasferimento nelle città con un impegnativo programma di costruzione e l’educazione dei giovani dell’Ordine, cosicchè esso potesse partecipare alla vita attiva della chiesa e combattere le eresie del momento. Il compito principale era l’unione di tutte le case che non avevano mandato delegati al primo capitolo generale e il raggiungimento di un pieno governo centrale; a questo proposito egli mandò i suoi vicari nei vari paesi. Crusenio, la cui limpida storia dell’Ordine si classifica ancora tra le migliori,  è la sola autorità ad attestare che come risultato di questo comando papale Lanfranco inviò immediatamente eremiti italiani nelle fondazioni ultramontane: Guido Salano e più tardi Andrea da Siena in Germania, Marco Ventonus e dopo di lui Pietro da Gubbio in Francia, Giovanni Lombardo e Pascasio Dareta in Spagna e Albertino di Verona e Guglielmo da Sengham in Inghilterra[xxi]. Questa narrazione del Crusenio non sembra essere una pura invenzione, poiché alcune dichiarazioni possono essere provate con documenti; probabilmente deve essersi basato su una fonte a noi sconosciuta.  Se accettiamo questo resoconto dobbiamo concludere che nessuna delle comunità ultramontane fosse rappresentata al primo capitolo generale e che Lanfranco abbia mandato delegati che erano ignoranti della lingua, usi e costume di queste nazioni[xxii]; ma noi sappiamo che Pascasio Dareta e Giovanni Lombardo lavoravano in Spagna già nel 1243 e poi c’è una dichiarazione non confermata che Guglielmo Sengham si era unito ai primi Agostiniani che erano stati mandati da Lanfranco in Inghilterra nel 1252 per individuare luoghi dove fondare nuove case[xxiii]. La storia incerta dei primi vicari generali, come raccontata dal Crusenio, dovrebbe pertanto essere sostituita con quella più probabile che questi uomini fossero i rappresentanti delle case ultramontane al capitolo generale del 1256, che fossero ben informati sulle condizioni delle loro Provincie e che  probabilmente avessero fondato molte delle prime case. Una più dettagliata descrizione del lavoro di Guido Salano verrà da me fornita nel prossimo paragrafo; la falsa identificazione del Beato Pietro da Gubbio con Giovanni da Gubbio è stata corretta da Padre Mattioli[xxiv], ma non abbiamo un solo documento sulle attività di Marco Ventonus, Andrea da Siena e Albertino da Verona. Crusenio afferma anche che tutta l’Italia formava una sola provincia, ma era invece stata quasi immediatamente divisa nelle provice di Lombardia, Romandiola, Marca di Ancona, Pisa e Lucca[xxv]. E’ assai più probabile che le tre Provincie dei Zanbonini[xxvi]: Lombardia, Marca di Treviso e Romandiola si fossero mantenute così come la Marca di Ancona, dove gli eremiti di Brettino prevalevano. I Toscani erano divisi in diverse Provincie, sebbene troviamo il primo documento della provincia di Pisa solo nel 1259 e un anno più tardi uno della provincia di Siena. Le provincie di Roma e Napoli erano senza dubbio esistenti al momento del primo Capitolo Generale, sebbene si abbia la prima indicazione della loro esistenza solo nel 1274[xxvii]. Francia-Inghilterra, Ungheria, Spagna e Germania formavano le altre Provincie dando così un totale di dodici Provincie al tempo della Grande Unione. Fino ad ora è stato trovato un solo documento  con la firma di Lanfranco[xxviii]e siccome concerne la fondazione di una casa di studi a Parigi[xxix] e un centro di Teologia, esso mostra lo zelo con cui egli cercò di dare ai giovani dell’Ordine la migliore educazione possibile. Pochi anni prima della sua morte[xxx] egli mandò Egidio Romano a quella casa da poco fondata, dando al suo Ordine il teologo più famoso che esso abbia mai prodotto.

 

LE DIFFICOLTA’ DOPO L’UNIONE

1. La secessione dei Guglielmiti.

La decisione del Capitolo Generale del 1256 privò i Guglielmiti non solo del loro precedente modo di vivere, ma anche del loro nome ed abito, segno sicuro che essi formavano una piccola minoranza in questa unione e Giordano di Sassonia era giustificato, almeno nel caso dei Guglielmiti, nel voler cambiare il testo della Licet Ecclesiae da “universas domos et congregationes vestras in unam ordinis Eremitarum Sancti Augustini professionem counivit” a “Ordini Eremitarum Sancti Augustini concorporavit et univit[xxxi]. Gli elementi Agostiniani certamente prevalsero. I Guglielmiti risentirono fortemente dei cambiamenti loro imposti e, sebbene il Cardinale Riccardo riferisse al papa dell’unanime consenso del Capitolo[xxxii], i Gugliemiti reclamarono che essi non erano d’accordo all’unione, ma che anzi l’avrebbero avversata[xxxiii]. Non appena i loro delegati ritornarono, decisero di fare di tutto per riacquistare la loro precedente indipendenza e ci riuscirono nello stesso anno[xxxiv]. Essi basarono la loro protesta sul vecchio ed approvato principio che un monaco può passare dal proprio Ordine solo ad un altro di più rigida osservanza, e non ad uno di vita più moderata[xxxv]. Mentre questa ragione legale non sembrava decisiva nel loro caso, poiché Papa Gregorio IX aveva grandemente mitigato la loro austerità, la sua correttezza generale non poteva essere negata. Si dovettero fare alcuni compromessi alla Grande Unione in maniera di soddisfare tutti i gruppi. Un altro motivo per la separazione sembra essere stata la questione della povertà. I Gugliemiti abituati alla forma di automantenimento dei Benedettini, e pertanto contrari a chiedere elemosine, erano minacciati da serie perdite poiché la Licet Ecclesiae richiedeva assoluta povertà concordemente all’ideale dei Francescani. Così il Duca Ulrico III di Carinzia, nell’ottobre del 1256, ritirò i suoi precedenti lasciti ai Gugliemiti a Windischgraetz, “perché attraverso la loro trasformazione nell’Ordine Agostiniano, ad essi non era più permesso di avere tali possedimenti[xxxvi]. Poiché l’unione era stata in vigore soltanto per sei mesi, sembrò fosse compito facile ristablire la precedente indipendenza, ma non fu questo il caso, per il fatto che in diverse località i Guglielmiti avevano eremi vicino alle stesse città dove vivevano gli Agostiniani. Subito dopo la Grande Unione gli eremi di entrambi i gruppi furono venduti ed i frati uniti si spostarono nella città dove essi costruirono un nuovo monastero. In simili casi i Gugliemiti furono sempre perdenti, sebbene tali perdite in Italia fossero limitate. Tuttavia le cose andarono in maniera diversa dove il problema era la presenza di una sola casa guglielmita, ma anche in questo caso potevano nascere grosse difficoltà quando essa era stata trasferita o costruita ex novo con denaro agostiniano e in simili casi si poteva a mala pena parlare di fondazione gugliemita. Questo fu il caso particolare della Germania e Boemia, dove nessuna delle case gugliemite si era stabilita prima del 1250 ed erano perciò solo nel loro periodo formativo.  Il primo provinciale tedesco, Guido Salano, non era disposto a rinunziare ai frutti del suo duro lavoro, poiché era il legittimo proprietario e, quando i priori delle precedenti case gugliemite di Schonthal e Seemannshausen cercarono di tornare all’ovile gugliemita, egli resistette loro con tutte le sue energie. Il caso fu portato davanti a Leo Thundorfer, vescovo di Ratisbona, che decise in favore di Guido, ma i due priori si conformarono alla sua decisione solo quando egli interpellò i priori dei Domenicani e dei Francescani perché testimoniassero che essi non avevano agito di loro spontanea volontà, ma che avevano ceduto solo ad una più alta autorità[xxxvii]. Il generale dei Gugliemiti fece ricorso a Roma e dopo molti negoziati Stefano d’Ungheria, cardinale protettore dei Gugliemiti, decise, “secondo la volontà del Cardinale Riccardo[xxxviii], che tutte le case dei Gugliemiti dovessero ritornare al loro stato precedente con l’eccezione di quelle del regno di Germania e Ungheria, ma che tuttavia in quel regno potevano rimanere in loro possesso quelle di Porta Coeli a Weissenborn in Turingia[xxxix] e di Mariakron vicino a Tubinga[xl]. Gli Agostiniani di Weissenborn non vollero credere a questo documento e rifiutarono di abbandonarla, fino a che non furono costretti a farlo sotto la minaccia della scomunica[xli]. Quando il polverone della battaglia si dileguò, gli Agostiniani si trovarono in possesso di Pivonia (Stockau) e Insula Marie in Boemia, Lixtin nella diocesi di Kamin, Mindelheim nella diocesi di Augsburg, Seemannshausen e Schönthal nella diocesi di Regensburg e “alcune altre”. Tra queste ultime possiamo trovare solo Saros in Ungheria, che fu chiamata fino al 1278 “conventus fratrum Gyllermitarum Ordinis Sancti Augustini de Saros”, Windischgrätz e Völkermarkt in Austria[xlii], ma Himmelspforte vicino a Helmstadt apparteneva agli Agostiniani prima del 1253 e non c’è indicazione che fosse una fondazione Gugliemita. In pratica di tutte queste fondazioni, precedentemente Guglielmite, possiamo provare che gli Agostiniani le avevano trasferite nelle città oppure le avevano ricostruite e questa è la sola ragione per cui furono assegnate a loro; ed è  la semplice soluzione dell’enigma che aveva infastidito i vecchi storici dell’Ordine e fatto sì che essi distinguessero tra Guglielmiti con la regola agostiniana, che erano affiliati, e Gugliemiti senza di essa, che rimanevano indipendenti, soluzione che è contraria a tutti i fatti storici conosciuti, come è dimostrato nella storia dell’Ordine. A partire da questa decisione papale gli Agostiniani e i Gugliemiti andarono per strade separate. E’ comunque evidente che le poche case che i Guglielmiti persero in Germania e in Ungheria, nessuna delle quali aveva superato il primo stadio di sviluppo, non potevano essere considerate il colpo paralizzante dal quale l’Ordine non si riprese più[xliii]. Essi fiorirono in Olanda, e in Italia verso la fine del XIII secolo trovarono un grande sostegno papale, ma quando la Riforma si prese la maggior parte delle case e la Germania e la Congregazione di St. Maur li privò delle loro importanti case a Parigi[xliv], essi condussero una esistenza inconcludente e scomparvero durante la secolarizzazione all’inizio del XIX secolo. Anche i Guglielmiti di Monte Favale lasciarono l’unione, dal momento che essi non sono più menzionati come membri dell’Ordine Agostiniano dopo la Grande Unione.  I Bollandisti supposero che essi si fossero uniti nuovamente a Malavalle, ma noi ne dubitiamo, dal momento che nel 1390 Monte Favale era membro dell’Ordine Cistercense[xlv]. Oggi rimane una sola traccia dell’unione tra i due Ordini: la liturgia degli Agostiniani tiene  viva la memoria di S. Guglielmo[xlvi]. E’ stato detto anche che i Brettinesi calarono enormemente[xlvii], perché due papi avevano ordinato loro di rimanere nel posto dove si trovavano, ma uno studio più profondo della loro storia mostra che questo comando non riguardava l’intera Congregazione ma solo la casa di Brettino, dove erano sorte grandi difficoltà quando gli Agostiniani volevano spostarsi verso la vicina città di Fano, ma ne furono aspramente contrastati da alcuni avversari di quella operazione, i quali trovarono i loro migliori soccorritori in alcuni dei più vecchi confratelli che volevano continuare la loro precedente vita penitenziale.

 

2. I “Pauperes Catholici”

Il successo della “rivoluzione” dei Guglielmiti pose fine al piano lungimirante del Cardinale Riccardo Annibaldi di unire tutti i gruppi di Eremiti in un Ordine grande ed attivo. Il linguaggio del documento papale su questo argomento è chiaro: “Richardus... qui auctoritate nostra omnes heremitas cuiuscumque ordinis uniens[xlviii]. Esso mostra che Riccardo non aveva pianificato di unire solo gli Agostiniani, come è stata la costante tradizione dell’Ordine, ma di unire tutti gli eremiti senza preoccuparsi se essi appartenessero ad un tipo di Ordine o ad un altro. Egli fallì e questo fallimento fu inevitabile perché solo gruppi omogenei potevano essere saldati in un corpo che fosse uniforme nelle sue prospettive ed azioni. Prima di riconoscere questa verità, il cardinale cercò di compensare le perdite sofferte a causa della secessione dei Gugliemiti con l’aggregazione dei Pauperes Catholici di Milano, ciò che rimaneva di un Ordine mendicante molto incompreso e calunniato. I Pauperes Catholici di Milano[xlix],  erano un gruppo di Valdesi convertiti dopo la grande disputa tenutasi a Pamiers nel 1207 davanti al vescovo Diego di Osma, che era assistito da San Domenico. Dopo una minuziosa professione di fede ed un incontro personale col papa Innocenzo III, il leader di questi convertiti, Durando Huesca, ricevette il permesso per se stesso ed i suoi seguaci di continuare esteriormente il loro precedente modo di vita, che consisteva nella accettazione completa della vita apostolica con la pratica della povertà e l’osservanza dei consigli evangelici senza vincolarsi ad alcuna delle vecchie regole monastiche. Il loro compito principale consisteva nella predicazione del Vangelo di Penitenza ed una attenta educazione religiosa della popolazione attraverso le loro cosidette “scholae” che potrebbero essere paragonate ai clubs di studio o ai “movimenti” dei nostri giorni, ma molto più efficaci poiché gli uomini e le donne che si univano alle “scholae” si sottomettevano in tutto alla direzione dei loro maestri. Qualche volta i membri di queste  “scholae” vivevano in comune, davano i loro averi ai poveri, facevano voto di castità ed obbedienza, facevano penitenza e praticavano la carità; essi erano senza dubbio infiammati da un vitale ed attivo cristianesimo. Papa Innocenzo III, volendo preservare i grandi valori religiosi di questo movimento ed avendolo purificato da elementi eretici, cercò di rompere il potere dei valdesi usando contro di loro le loro stesse armi. Questo lungimirante Papa non fu capito, poiché l’uomo medio non poteva comprendere come potesse essere approvata una comunità religiosa che usava gli stessi vestiti dei Valdesi, che usava gli stessi metodi di predicazione ed istruzione e che, come questi eretici condannati, combatteva contro l’avidità verso il denaro di laici e chierici. Lamentele piovvero a Roma sul fatto che i Pauperes Catholici ammettessero i Valdesi non convertiti al loro servizio e accettassero nei loro ranghi monaci fuggiti dai loro Ordini; che impedissero a molti i servizi regolari nelle loro parrocchie e dimostrassero le loro inclinazioni eretiche negando ai poteri secolari il diritto di dare la pena capitale. Innocenzo III rispose che gli accusatori cacciavano in questo modo dalla chiesa religiosi e religiose con false accuse di eresia ed impedivano ad altri di accostarsi alla chiesa con severi ed antiquati metodi di conversione. Presto, comunque, non ci fu più necessità di ulteriori litigi. I nuovi Ordini di Frati Mendicanti con la loro predicazione per le strade, la loro povertà, lo zelo apostolico ed i Terz’Ordini combatterono gli eretici molto efficacemente; e quando nel 1247 i Vescovi di Narbonne e di Elne si lamentarono a Roma perché i Pauperes Catholici predicavano senza permesso e diffondevano false dottrine, Papa Innocenzo IV proibì loro di predicare e pretese che entrassero in uno degli Ordini approvati. Come conseguenza la loro provincia di Lombardia, con il monastero agostiniano di Milano quale casa madre, si unirono agli eremiti Agostiniani nel 1257 per ordine di Riccardo Annibaldi[l]. Se questa forte inclinazione verso la vita attiva e le idee moderne di cura religiosa delle anime sia stato un elemento completamente nuovo che abbia incitato il ri-organizzato Ordine degli Agostiniani ad una più efficace realizzazione dei suoi nuovi compiti, potrebbe essere una parte interessante di ricerca, qualora il materiale per farla fosse disponibile; attualmente però non si sa niente del numero delle case e dei frati che erano affiliati . Come i Guglielmiti che erano stati uniti contro la loro volontà, anche i Pauperes Catholici di Milano cercarono di riguadagnare la loro indipendenza. Secondo Giulini[li], il famoso storico di Milano, i membri del convento di Sant’Agostino erano stati trasferiti in quello di San Marco ed alcuni Agostiniani erano subentrati nella conduzione della loro chiesa e convento. Quando i Pauperes Catholici divennero insoddisfatti della loro nuova sistemazione, ritornaro nel mezzo della notte nel convento di Sant’Agostino, ne cacciarono gli Eremiti con la forza delle armi e a causa delle condizioni instabili dell’archidiocesi e della città, riuscirono a conservare la loro indipendenza fino al 1272, quando si sottomisero di nuovo agli Agostiniani. Tuttavia non si sottomisero per un riconoscimento della loro colpa, come credeva Torelli, ma i 10 membri rimasti del convento di Sant’Agostino si dovettero piegare alla forza dei governatori di Milano[lii]. Per evitare ulteriori scandali il convento fu distrutto, probabilmente nello stesso anno, ma la chiesa di Sant’Agostino continuò ad esistere per un certo tempo e cadde vittima di altre circostanze durante il XIV secolo.

 

3. Difficoltà interne

La secessione dei Guglielmiti e le sue conseguenze stavano ancora agitando le loro menti e i loro cuori quando tra i frati rimasti sorsero nuovi problemi originati dalle necessità dei nuovi doveri apostolici, dalla pratica della povertà e dal trasferimento dentro le città. Il miglior resoconto delle prime difficoltà fu espresso da Giordano di Sassonia[liii]: “Papa Alessandro comandò che i frati dovessero spostarsi nelle città per aiutare la gente a dare buoni frutti con la loro predicazione, con l’insegnamento, con l’ascolto delle confessioni e con l’esempio di una vita virtuosa. Ma alcuni frati ebbero difficoltà. Essi preferivano continuare la loro vita di solitudine piuttosto che esporsi ai pericoli del mondo ... Il Papa voleva soddisfarli e allo stesso tempo coinvolgere l’Ordine nella vita attiva. Perciò ordinò che coloro i quali avevano una forte inclinazione alla vita eremitica potessero, col permesso dei loro superiori, rimanere nei loro precedenti eremi; ma coloro che erano in grado di partecipare alla vita attiva, avrebbero dovuto vivere nelle città, predicare al popolo ed ascoltare le confessioni dei fedeli”. Il voto di povertà fu un’altra fonte di disputa. Prima del 1256 alcuni degli Ordini riuniti, probabilmente seguendo l’esempio dei primi Francescani, avevano fatto il voto di assoluta povertà e questo alto ideale era stato garantito nella Licet Ecclesiae. Mentre la sua osservanza era relativamente facile per coloro che abitavano nelle città, era invece piuttosto gravoso, e in alcuni casi pressochè impossibile, nei luoghi isolati, dove ciò che necessitava quotidianamente lo si poteva avere solo col possesso di fattorie o orti[liv]. Tuttavia l’uniformità dell’Ordine richiedeva da parte di tutti i membri le stesse attività per cui, con una decisione importante, il Cardinale Riccardo dette all’Ordine il diritto di possedere le proprietà che erano necessarie; diritto che fu confermato da Alessandro IV il 13 giugno 1257 nella costituzione Iis quae nostri auctoritate[lv] e così la questione, che aveva causato tanti grandi disagi tra i Francescani, fu definita per gli Agostiniani prima che potessero insorgere altre agitazioni. Una terza difficoltà, ed una delle ragioni dell’unione, non menzionata neppure dalla Licet Ecclesiae o da Giordano di Sassonia, ma piuttosto evidente negli eventi successivi, fu il moltiplicarsi di fondazioni eremitiche nella stessa città o nelle vicinanze. Ciò fu velocemente risolto con l’ordine di Papa Alessandro IV, che in tutti i luoghi dove i diversi gruppi avevano precedentemente una casa, solo una di queste dovesse essere mantenuta e le altre dovevano essere vendute[lvi]. Questa decisione promosse la mescolanza dei frati e dette al solo convento rimasto più membri, una maggiore influenza ed i fondi necessari per erigere od allargare il nuovo monastero comune. Un tipico caso è Faenza, dove i Zanbonini avevano S. Alberto in Tagliavera, i Brettinesi S. Maria Maddalena in Bondiolo e i Toscani S. Agostino della Malta. Nel 1256 queste tre case, che erano situate fuori città, furono disciolte ed i loro membri furono riuniti in S. Giovanni in Sclavo vicino a Porta Montanara[lvii]. I trasferimenti richiesero grandi somme di danaro all’Ordine fino ad esaurire tutte le sue risorse. I documenti del periodo parlano frequentemente della estrema povertà dei religiosi e della necessità  di dare loro assistenza. Per alleviare i loro bisogni papi e vescovi incoraggiarono i fedeli ad una grande generosità verso di loro concedendo molte indulgenze a chi li avesse aiutati. Quando gli Agostiniani incrementarono i loro sforzi nella raccolta delle elemosine, sentirono che la resistenza, sempre più crescente contro tutti gli Ordini Mendicanti, veniva rivolta anche contro di loro, ma, quando fu loro rifiutato l’ingresso in città, perché il loro stesso nome indicava appunto che dovevano vivere nei loro eremi, Papa Clemente IV inviò lettere[lviii] ai vescovi di Germania, Aquitania (Sud della Francia) e Spagna con l’ordine di non impedire agli Agostiniani di entrare nelle città, ma di dare loro pieno sostegno. Se ciò pose fine alla opposizione ufficiale, non servì tuttavia a proteggere l’Ordine da individui irresponsabili che distrussero le loro case a Vienna, Erfurt, Norimberga ed altri luoghi[lix], e nemmeno li liberò dalla necessità di venire ad un accordo con le parrocchie o i Capitoli delle Cattedrali nei cui territori essi si spostarono e che giustamente temevano non solo la loro competizione, ma anche la perdita di entrate a causa della loro esenzione da tasse e diritti di sepoltura nelle loro chiese. Furono prese le precauzioni più minuziose per salvaguardare i precedenti diritti, i contratti furono solennemente firmati e qualche volta furono persino sottoposti a Roma a garanzia della loro applicazione[lx].

 

4. Il lavoro del Cardinale Riccardo

Quando si parla del papa e dei suoi decreti, si deve sempre tener presente che la maggior parte delle costituzioni papali veniva preparata dal Cardinale Riccardo. A lui erano state affidate “la cura, i provvedimenti e il governo dell’Ordine senza restrizioni” e questo controllo assoluto combinato con la sua posizione, essendo egli uno dei cardinali leader della Curia, rese il suo governo più efficace, se non proprio dittatoriale. Papa Alessandro IV si compiacque del suo lavoro e perciò lo nominò nuovamente cardinale protettore degli Agostiniani nel 1257, posizione che detenne fino alla sua morte. Il papa dichiarò inoltre che la giurisdizione di Riccardo fosse la stessa di quella goduta dal cardinale protettore dei Francescani[lxi]. Il Cardinale Riccardo considerò uno dei suoi principali doveri “una costante attenzione alla spiegazione punto per punto di ciò che nel decreto Apostolico della Grande Unione rimaneva difficile da comprendere e in certe condizioni difficile da applicare”. Questa spiegazione poteva prendere la forma di una legislazione completamente nuova, come nel caso dell’osservanza della povertà, ma sfociò anche nella concessione di molti benefici che affermarono  l’Ordine come una forte organizzazione internazionale. Alessandro IV da solo pubblicò oltre settanta bolle in favore dell’Ordine, facendone grandi elogi[lxii]. Tale stima da parte della Santa Sede fu una importante raccomandazione per la fondazione di nuove case e l’ottenimento di altri favori. Questi elogi, ripetuti più e più volte in documenti contemporanei[lxiii] non furono adulazione, ma un giusto e meritato riconoscimento della santità dei suoi membri. Circa nell’anno 1256 S. Nicola da Tolentino entrò nell’Ordine[lxiv] e nei primi 50 anni della sua esistenza l’Ordine contò non meno di 60 santi e beati, dei quali due terzi ancora attendono l’approvazione ufficiale della chiesa. Fu questa santità di vita e lo zelo per le anime che dette all’Ordine il suo enorme impulso. Il Cardinale Riccardo aiutò l’effettiva espansione dell’Ordine. Abbiamo notato diverse volte nel Capitolo I come molte fondazioni fossero dovute alla sua influenza e relazioni politiche. Inoltre dette agli Agostiniani il Monastero Benedettino di S. Bartolomeo “de Gestinga in monte Fulconii” nella Diocesi di Arezzo[lxv], ottenne per loro S. Nicola a Spoleto nel 1265[lxvi] e li sistemò nel suo castello di Molaria nel 1274[lxvii]. D’altra parte egli mantenne saldamente nelle sue mani il governo dell’Ordine. Nel 1270 comandò al provinciale di Pisa di comporre i dissidi tra il convento di Prato e il Capitolo di quella città[lxviii]. Egli presiedette non solo i capitoli generali di Molaria nel 1274 e 1275, ma anche il capitolo provinciale di Corneto nel 1274[lxix]. In questi capitoli egli nominò il provinciale della provincia Romana, nominò Matteo da Viterbo primo priore di Molaria e Padre Simone priore di Corneto. Poiché non abbiamo registrazioni di capitoli prima del 1274 questi pochi ultimi atti della sua direzione rivelano come egli facesse pieno uso della sua potestà anche in casi in cui non era apparentemente necessaria e in cui avrebbero dovuto prevalere i metodi democratici delle Costituzioni. Il suo comportamento dovette essere piuttosto irritante anche quando domandava la stretta osservanza di accordi che non erano più in armonia con le nuove leggi dell’Ordine come nel caso di Aldobrandino, priore dell’eremo di S. Matteo di Lepori vicino Firenze, che aveva aderito all’unione degli eremiti Toscani del 1244 a condizione di poter rimanere priore e ricevere un vitalizio personale. Questo accordo era stato ratificato da un capitolo generale, probabilmente quello del 1244. Quando l’accordo fu rotto, Aldobrandino e il suo compagno fra Agostino, si appellarono al cardinale protettore, che scrisse a fra Aiuto, provinciale di Pisa: “Ora per l’ultima volta noi ti ordiniamo rigorosamente in forza del voto di obbedienza che l’ordine sopra menzionato sia fermamente mantenuto ed effettivamente eseguito”. Nella stessa lettera egli pretese la restituzione dell’introito di cui questi due frati erano stati privati, e dichiarò che non voleva che questi due anziani tornassero nuovamente da lui piangendo sulle loro difficoltà, perché questa sarebbe stata “una cosa che avrebbe provocato in lui una grande collera[lxx].Tale interferenza costante nel governo dell’Ordine, tali decisioni che derivavano da un pensiero puramente canonico piuttosto che dalla necessità di mantenere la disciplina e di lottare per raggiungere la perfezione religiosa furono senza dubbio le principali ragioni che portarono all’abdicazione del terzo generale dell’Ordine, il Beato Clemente da Osimo, dopo che era stato in carica per un solo mandato. Egli non potè sviluppare la sua grande leadership finchè il cardinale fu in vita e pensò fosse più saggio dare le dimissioni piuttosto che resistere. Il suo predecessore Guido Salano sentì ugualmente la mano pesante di Riccardo, come quando dovette mantenere un completo silenzio in merito alla controversia dei Guglielmiti se non voleva pagare una multa di 1000 marchi d’argento[lxxi].

 

5. Il secondo Generale: Guido di Stagia o Salanus 1265-1271[lxxii]

C’è una strana incertezza circa questo secondo generale tra gli storici dell’Ordine. Essi pensavano che Guido Salano, il primo provinciale della Germania e Guido di Stagia, il priore generale, fossero due persone differenti e perciò non osarono mettere insieme certi fatti ben conosciuti. La verità è che essi non sono due persone diverse, ma una sola, lo stesso uomo, come è evidente dal sigillo di Guido che egli usava come priore provinciale di Germania nel 1264 e in cui si legge: “Sigillum Fratris Guidonis de Stagia Ordinis Heremitarum[lxxiii]. Guido era originario o della città di Stagia o dell’antico eremo di S. Antonio del Bosco situato lì vicino, e talvolta conosciuto col nome di Stagia. Il nome Salano probabilmente indica la sua famiglia. La maggior parte degli storici lo indentificano con quel Guido, priore dei SS. Giorgio e Galgano di Vallebuona in Garfagnana negli anni 1243-1250[lxxiv]. Questi mostrò grande energia nei progressi materiali della sua casa e questa eccellente conduzione dovette essere causa della sua nomina a primo provinciale di Germania, dove combattè con successo contro i Gugliemiti e fondò nuovi monasteri in più di trenta città[lxxv]. In nessun altro luogo l’Ordine ebbe tanto successo ed avanzò così rapidamente e ciò focalizzò l’attenzione di tutti su di lui come il migliore candidato a ricoprire il posto lasciato vacante dalla morte di Lanfranco nel 1264. Prima di partire per il capitolo generale che si tenne l’anno successivo a Perugia[lxxvi], egli introdusse un nuovo elemento nell’Ordine quando il 27 maggio 1264, con un atto ufficiale del capitolo provinciale tenuto a Seemannshausen, egli prese sotto la protezione dell’Ordine le suore di clausura di Oberndorf nel Württemberg e le fece partecipi di tutte le grazie spirituali e i privilegi dell’Ordine[lxxvii]. Fino a poco tempo fa si è creduto che il monastero femminile di S. Maria Maddalena a Viterbo, che il Beato Clemente ricevette nell’Ordine nel 1291, fosse stata la prima comunità di suore sotto la giurisdizione degli Agostiniani[lxxviii]. Devono invece esserci state diverse altre case oltre Oberndorf e Viterbo, perché nel 1291 il Papa Nicola IV liberò tutti i conventi di suore che erano affidati alla cura degli Eremiti Agostiniani dai tributi dei delegati papali[lxxix], documento che sembra essere stato sconosciuto ai precedenti scrittori dell’Ordine. Nei secoli seguenti la cura e l’affiliazione di comunità di suore si sviluppò principalmente in Spagna e in Italia e diede grande lustro all’Ordine attraverso sante come S. Chiara da Montefalco e S. Rita da Cascia e molte Beate, ma una storia dettagliata in questo campo non è stata ancora scritta. Guido continuò la politica del suo predecessore per una sana educazione della gioventù dell’Ordine e nel 1268 fondò una casa a Oxford[lxxx] che divenne intimamente unita alla vita dell’università ed ospitò per più di duecento anni le scuole di Grammatica e Teologia. Il Re Enrico III è generalmente considerato come suo fondatore, ma la sua generosità verso questa casa era dovuta non solo al suo noto amore per i Mendicanti e al debito di gratitudine verso il Cardinale Riccardo, ma anche al suo desiderio di ottenere più spazio per la veloce espansione dell’università che durante il XIV secolo doveva oscurare persino la fama di Parigi. Enrico di Friemar descrisse Guido come “vir utique strenuus et discretus”, un uomo di energia e prudenza, una descrizione che è in piena armonia con i pochi fatti conosciuti. Precedentemente si pensava che egli fosse morto nel 1269, ma documenti da poco scoperti lo mostrano ancora in vita il 25 aprile 1270[lxxxi] ed è perciò probabile che egli fosse quel frate agostiniano Guido, che fu fatto patriarca di Grado il 7 agosto 1278[lxxxii] e che morì dieci anni dopo. Un agostiniano sconosciuto difficilmente sarebbe stato nominato a così alta dignità, ma un ex generale, che aveva mostrato grande abilità in circostanze difficili, poteva essere ritenuto l’uomo giusto per raddrizzare le difficoltà che erano sorte tra i canonici del Capitolo di Grado, che non riuscivano ad accordarsi su un successore del loro vescovo e che avevano lasciato la nomina al papa.

 

6. Il terzo Generale: il Beato Clemente da Osimo[lxxxiii](primo periodo 1271-1274)

A causa della mancanza del cognome divenne d’uso comune tra i religiosi del XIII secolo aggiungere il nome della loro città o del monastero al loro nome di battesimo, per poter distinguere un membro da un altro. Nel caso del Beato Clemente entrambi i nomi sono stati usati fino ad oggi. Dalla sua città natale derivò l’aggiunta di “di S. Elpidio” e dal suo monastero quella di “di Osimo”. Questo monastero era situato nella Marca di Ancona, dove i Brettinesi avevano la maggior parte delle loro case. Nella scelta del nuovo generale pensiamo abbia giocato un ruolo significativo il fatto che dopo i Zanbonini e i Toscani anche questa importante Congregazione dovesse essere tenuta in considerazione. Non sappiamo nulla circa i primi anni del Beato Clemente e la sua grandezza come generale può essere testimoniata solo nel secondo periodo (1284-1291) poiché sono arrivati a noi pochissimi documenti riguardanti il suo primo periodo di generalato. Quando si tenne il capitolo generale al castello di Molaria nel 1274, Clemente si dimise e non c’è una singola indicazione che fosse stato fatto alcun sforzo per trattenerlo. Abbiamo menzionato la sua naturale opposizione alla maniera dittatoriale con cui Riccardo diresse l’Ordine, ma ci devono essere state anche ragioni di opportunità politica, che gli fecero considerare più saggio il ritirarsi e sopportare silenziosamente la colpa di altri per evitare un danno più grave al suo amato Ordine. Desumiamo questo dai resoconti di due cronisti Francescani: il primo racconta che gli Agostiniani arrivarono in gran numero al Concilio Generale di Lione in Francia ma con ogni tipo di abito, al che Papa Gregorio X delegò il Cardinale Bonaventura a porre decisamente fine a questo problema, ma il santo morì prima di poter portare a termine il compito assegnatogli[lxxxiv]. L’altro resoconto viene dalla penna del contemporaneo Salimbene Adami, il cronista più vivace, ma non sempre attendibile, del XIII secolo. Questi racconta che il Papa voleva sciogliere gli Agostiniani assieme ai Carmelitani, così come aveva fatto con altri gruppi minori di mendicanti, ma che il Cardinale Riccardo gli si oppose con tale forza che egli desistette[lxxxv]. Ma il Cardinale Riccardo non era neppure al Concilio[lxxxvi]; come aveva allora potuto resistere al Papa? Inoltre Salimbene aveva affermato che Riccardo era caduto in disgrazia e che era stato privato del cappello cardinalizio da Papa Gregorio X; poteva un cardinale in disgrazia avere una tale influenza? Tuttavia è anche certo che una durissima battaglia fu intrapresa contro i vari Ordini e che i vescovi riuniti insistevano che venisse rispettato il canone del Concilio Laterano del 1215 che aveva proibito la fondazione di nuovi Ordini e prescritto che, se qualcuno avesse contravvenuto a questa legge, la sua fondazione doveva essere soppressa. Alcuni delegati episcopali potevano aver incluso nella loro richiesta gli Agostiniani, poiché nella loro forma moderna essi avevano certamente avuto origine dopo il Concilio Laterano, ma i rappresentanti dell’Ordine poterono rivendicare che la loro fondazione era precedente all’anno 1215 e pertanto che il canone non poteva essere applicato al loro caso. Il racconto di Salimbene contiene alcune verità, ma è una combinazione di notizie separate come appare da due documenti degli statuti conciliari: uno è una bozza, l’altro la pubblicazione ufficiale; uno letto ai padri al Concilio, l’altro pubblicato a Roma. Nella bozza si legge: “Ceterum Carmelitarum et heremitarum S.ti Augustini ordines qui se asserunt ante dictum concilium institutos in suo statu remanere concedimus, donec de ipsis fuerit aliter ordinatum[lxxxvii]. La pubblicazione ufficiale, molto più positiva, dice: “Ceterum Carmelitarum et Eremitarum S. Augustini Ordines quorum institutio dictum concilium generale praecessit, in suo statu manere concedimus, donec de ipsis aliter fuerit ordinatum[lxxxviii]. E’ molto probabile che il Cardinale Riccardo fosse responsabile di questo cambiamento a favore dei due Ordini, dal momento che riuscì a convincere il papa che egli personalmente aveva conosciuto molte case Agostiniane esistenti prima del 1215. Così si riuscì a superare in modo sicuro un punto molto pericoloso e gli Agostiniani dovono ringraziare per sempre il loro protettore se la nave del loro Ordine ha potuto proseguire la navigazione senza far naufragio, ma il Beato Clemente dovette rimanere profondamente sconvolto ed umiliato al pensiero di come era stato evitato di poco il disastro e di come principalmente i membri della sua precedente congregazione, che più a lungo aveva resistito al cambiamento dell’abito, fossero stati uno dei fattori principali dell’atteggiamento sfavorevole del papa. Non è una semplice coincidenza che Friemar sottolineasse la sua gentilezza: “Il nome e il carattere erano identici[lxxxix].  Pensava il Beato Clemente di essere tanto indulgente al punto che la sua debolezza gli impedisse di mettere in riga gli elementi recalcitranti? Una cosa egli imparò da questa amara esperienza: l’Ordine necessitava di unità e quando fu rieletto nel 1284 egli fece dell’unità il suo principale scopo. La legge che un generale degli Agostiniani non poteva accettare un ufficio inferiore al termine del suo generalato, non esisteva ancora e così troviamo Clemente e Giacomo da Perugia come visitatori generali della Provincia Romana nel 1277[xc]. Il successore del Beato Clemente, Francesco da Reggio (1274-1283) ha un ruolo poco importante nel nostro trattato poiché il Cardinale Riccardo morì due anni dopo che egli ebbe l’incarico. Friemar lo chiamò “vir magnae reverentiae et mirae facundiae ac honestatis eximiae[xci], ma egli non portò alcun esempio di queste virtù. Alla fine della sua vita il Cardinale Riccardo vide l’Ordine degli Eremiti di S. Agostino ben stabilito in ogni parte d’Europa. Le sue trasformazioni interne avevano attecchito e il nome di eremiti poteva essere loro riferito come nome poiché essi erano attivi in tutte le attività della chiesa. Le leggi che li dovevano governare per più di 300 anni ricevettero la loro forma finale nel 1274 sotto la guida esperta del Cardinale Riccardo e per mezzo degli sforzi del Beato Clemente da Osimo e del Beato Agostino Novello[xcii]. Egli prevedeva un brillante futuro per l’Ordine al quale aveva prestato molta attenzione personale, in brillanti teologi come Egidio di Roma e Giacomo da Viterbo, nella splendida disciplina e nella grande santità che fioriva in tutte le Provincie. Il trasferimento nelle città non era ancora completo, ma era sulla buona strada ed erano state fondate molte nuove case. Nel 1276, l’anno della morte di Riccardo, l’Ordine contava 16 case in Inghilterra, 14 in Francia, 7 in Olanda e Belgio, 28 in Germania, 5 in Spagna, 4 in Portogallo, 2 (4?) in Austria, 3 in Svizzera, 4 in Cecoslovacchia e 5 in Ungheria, per un totale di 88 in territorio ultramontano. Il numero esatto di fondazioni in Italia non può essere accertato con sicurezza, perché così poco si sa circa il destino dei precedenti eremi, ma sembra essere garantita l’esistenza di almeno 130 fondazioni in tutta Italia. L’Ordine pertanto era cresciuto da 200 a 300 case tra gli anni 1256 e 1278. Il lavoro di Riccardo Annibaldi è continuato fino a questa data. Senza la sua influenza, guida e controllo l’unione del 1256 avrebbe potuto sfociare in un fallimento. Egli può essere giustamente riconosciuto come il padre del riorganizzato Ordine di S. Agostino.

 

7. IL CARDINALE RICCARDO: Sua influenza e carattere

Nessun cardinale del XIII secolo ricoprì per un così lungo periodo l’ufficio di Riccardo e pochi lo sorpassarono per l’importanza politica. La sua insistenza portò la venuta del conte d’Angiò, il quale stabilì il dominio Francese in Italia e questo a sua volta condusse alla cattività Avignonese dei papi con tutti i danni per la chiesa in generale; ma nessuno avrebbe potuto prevedere questo sviluppo. Il Cardinale Riccardo voleva solo salvare la libertà politica sia della chiesa che di Roma. Il suo ruolo come cardinale protettore dell’Ordine Agostiniano è più conosciuto; questa sua opera ha mantenuto viva la sua memoria attraverso i secoli; soprattutto a causa dei suoi sforzi ebbe luogo, prese forma e fu salvaguardata la Grande Unione del 1256. Riccardo non trascurò mai il compito di promuovere il benessere del “suo” Ordine con amore paterno e con ogni mezzo a sua disposizione. Nessuno dei cardinali protettori dei secoli seguenti ebbe più il controllo completo dell’Ordine come Riccardo[xciii], e nemmeno fecero così tanto per il suo benessere. Potremmo solamente indicare il suo terzo grande scopo: stabilire il casato degli Annibaldi tra i più potenti di Roma. Praticamente alla sua morte aveva ottenuto questo scopo; ma Bonifacio VIII disfò il suo lavoro costringendo gli Annibaldi a vendere i loro possedimenti più importanti e di valore alla sua casata, quella dei Gaetani. Quattrocento anni dopo la morte di Riccardo il suo blasone - due leoni e cinque anelli- era ancora usato dagli Annibaldi come loro proprio[xciv]. Questo era un chiaro riconoscimento che gli Annibaldi lo consideravano come il loro più grande rappresentante. L’amore per la sua famiglia e l’orgoglio per il loro potere erano ben conosciuti[xcv]; e furono la causa del suo solo alterco con un papa (Clemente IV) e di una moltitudine di prove come membro della cerchia più intima dei papi che egli servì. L’amore per la sua famiglia lo rese cieco nel caso del suo nipote Saullus Surdu, un buono a nulla che diventò un assassino[xcvi]. La forte volontà di Riccardo è evidente in numerosi documenti che registrano che una decisione era stata raggiunta “in accordo alla volontà del Cardinale” e anche per l’insistenza con cui i suoi comandi erano portati avanti. Questo desiderio di potere, ricchezze e influenze, unito alla sua indole facilmente eccitabile lo potevano facilmente caratterizzare come una personalità collerica. L’asprezza inerente a tale carattere fu nel caso di Riccardo mitigata dal calore di una reale amicizia con uomini come S. Tommaso D’Aquino. Questo santo sembre amasse visitare il cardinale nel suo castello di Molaria, dove convertì nel Natale 1254 alcuni eminenti ebrei che ogni anno erano soliti passare questo giorno col cardinale e dove nel 1272 egli ottenne improvvisa salute per mezzo di una reliquia di S. Agnese[xcvii]. Se un uomo lo si conosce dai suoi amici[xcviii], allora il Cardinale Riccardo fu uno dei veri grandi uomini del secolo.

 


[i] Cum quaedam salubria, AA. IV, 297; Vfr. 451, n. 10; P. 15928.

[ii] Edizione critica in AA. V, 1-4; traduzione in The Tagastan VII (1943), 55-88.

[iii] Vedi l’eccellente discussione in Vfr. 450, n. 9. Quando nel 1272 Guadalosti (vescovo di Pistoia 1251-57), dette agli eremiti di Vallebuona il permesso di entrare nella sua città, scrisse: “Mire devotionis propositum, vestris studiis non, ut credimus, humanis, immo potius celestibus revelationibus iudicatum, de costruenda ecclesia nova infra muros circlarum pistoriensium...” AA. XVII, 366. Guadalosti fu un Canonico Agostiniano: EUBEL, Hierarchia I, 246.

[iv]Episcopo Foroliviensi scribit de quaestione quae inter heremitas Ordinis Sancti Guilelmi et fratrem Johannem tunc priorem generalem ipsorum, super ipsius prioris insufficientia exorta est, in qua Hugo tituli Sanctae Sabinae presbyter cardinalis, partibus auditor datus est. Innocentius post cessione, voluntriam eiusdem Joannis, episcopo mandat, ut ‘Gunbertum’ dicti ordinis fratrem ab ordine electum, si canonica fuerit electio, confirmat”: Bolla Dilecti filii fratres, 18 agosto 1254; BERGER 7964.

[v] Monumenta Boica XXVI, n. 2, 15 ottobre 1250.

[vi] Litteras nostras, 17 giugno 1256 (P. 16425), contiene la bolla Recordamur liquido, ma si limita ad alcune frasi  introduttive alle nuove regole della Licet Ecclesie. Vedi note 262 e 273 concernenti la Recordamur liquido.

[vii] “...atque inter se discrepantes circa habutum exteriorem ad conciluim accurisse”: WADDING, Annales Min. IV, 452; CRUSENIUS I, 22.

[viii]Diffinimus et ordinamus quod nullus frater portet pro cingulo cordulam ad modum Minorum fratrum, aut cingulum cum mappis aut cingulum de serico, aut Bursam, aut cirothecas (sic) aut muscum aut pater noster de ambra vel cristallo. Quod si quis contrafecerit, per priorem suum talia auferantur, et imponant ei poenitentia, trium dierum in gravioribus culpis”: AA. II, 300.

[ix] Enrico di Friemar iniziò questa moda basando il suo assunto su un sermone Pseudo-Ambrosiano: AA. IV, 300; Vfr. 452, n.11. In seguito interi libri apparvero sull’argomento come T. BARILARI OSA, Speculum carissimum verissimumque utriusque habitus nigri et albi heremiti Augustiniani (Rimini 1620). La questione dell’abito divenne oggetto di animate argomentazioni nelle controversie con gli Agostiniani Scalzi; per es. MAURITIUS A MATRE DEI, Sacra eremus Augustiniana (Chambery 1658). Friemar non conosce la leggenda dell’apparizione della Beata Vergine a S. Monica alla quale viene mostrato l’abito di vedovanza, che la Madonna stessa aveva indossato e che era, naturalmente, come l’abito delle monache Agostiniane.

[x] SALIMBENE scrisse (MGH-SS XXXII , 254): “... cum prius omnes Heremitae in quinque diversitatibus discrepantibus partirentur, ut oculis meis vidi. Nam erant Heremite qui dicebantur Sancti Augustini et Heremite qui decabantur Sancti Guilelmi et illi de Favali et Britti et Jambonitani. Fuit enim quidam Hoannes Bonus qui fuit tempore beati Francisci, qui congregatione, Heremitarum fecit: cuius corpus diebus meis Mantue est sepultum, et cujus filium vidi et cognovi fratrem Mateum Mutinensem et pinguem. Ad congregatione, istius ultimi omnes alie sunt reducte, ut in illa unione primitus caput esset. Verumtamen impleta est scriptura que dicit Jere, XV ‘ferrum numquid federabitur ferro ab aquilone et es?’. Nam quod nova testa capit inveterata sapit”. Il passaggio è tipicamente di Salimbene. La sua penna sarcastica trova facilmente parole sprezzanti per coloro che non gli piacciono e dà una ragione per la sua personale antipatia verso gli Agostiniani a p. 400: “Caput vero Helysei habere non potui quia Heremitani sine licentia abstulerunt et asportaverunt illud”. Malgrado questi limiti, la cronaca di Salimbene ha un considerevole importanza per comprendere l’opinione popolare del suo tempo e senza dubbio esprime il pensiero del popolo circa Mantova, dove i frati di Giovanni Bono molto probabilmente incoraggiarono questa opinione. Gli Agostiniani non furono del tutto innocenti nella creazione della animosità così chiaramente espressa da Salimbene. L. KORTH, in Mitteilungen Stadtarchiv Köln XVI (1889), n. 23 pubblicò per la prima volta la bolla A vestra sollicite del 30 marzo 1259 nella quale Alessandro IV ammoniva gli Agostiniani perchè evitassero qualunque cosa che potesse irritare i Francescani, e si mostrava sorpreso che essi, per eludere il suo comando di non accettare Francescani nel loro Ordine, prima di riceverli facessero far loro la professione secondo la Regola di S. Benedetto o una simile.

[xi]propter magnam famam et personae reverentiam”: AA. IV, 425. Dal momento che Enrico di Friemar conosceva personalmente Lanfranco, la sua testimonianza è preziosa.

[xii] La precedente iscrizione “Hic sunt ossa B. Lanfranchi Septala Mediolanensis...” come riportata in vari testi storici (ad es. TORELL IV, 690-694) è stata sfortunatamente cambiata da qualche persona ben itenzionata che non era familiare con le leggi della chiesa in merito alla venerazione dei Beati. HERRERA II, 4: dice che dal 1466 esisteva un quadro di Lanfranco nella chiesa di S. Maria della Cella, con l’aureola e la scritta: “B. Lanfranchus de Mediolano”.

[xiii] TORELLI IV, 694.

[xiv] Circa la famiglia Settala e il suo monumento in S. Marco vedi Archivio Storico Lombardico, ser. 3, XVI, 61 e le opere letterarie ivi citate.

[xv] ASS 22 ottobre, n. 109-111 e 259.

[xvi] Nota 220 sopra. Potrebbe anche essere che Lanfranco, quando entrò nell’Ordine, fosse più vecchio rispetto alla media dei candidati.

[xvii]Quadam turpi et horribili aegritudine, quae diebatur morphea, quae quidem infirmitas membrum seu principium leprae erat. Discurrebat enim ipsa infirmitas per totum corpus ipsius a genibus supra, excoriando cutem superioris corporis dum scalpebat, et faciendo sibi carnem rubicundam etiam cum sudebat” (Proces.  n. 109).

[xviii]Obsecre te, pater mi, quod si maior honor Dei est, et melius animae meae intercedere digneris pro me ad Dominum, ut si precibus et meritis liberet me ab infirmitate mea; credens firmiter, quod si dictus fr. Johannes Bonus rogaret pro eo, quod ipse liberaretur ab infirmitate praedicta. Et dixit testis, quod post novem dies antequam ipsa arca obturata foret, perpendit et vidit sanitatem sibi redditam et integre restitutam, ita vere quod nulla vestigia seu stigmata infirmitatis praedictae in eius corpore videbantur: qod quidem verum est prout ego notarius et D.A. episcopus venerabilis Mutinensis et prior S. Marci vidimus manifeste aliqua non esse signa in corpore ipsius testis occasione praedicta, cum idem nobis suum corpus honeste nudatum plenius demonstrasset” (Proces.  n. 109).

[xix] V. ADAMI, Spigolature di archivio sulla chiesa e convento di S. Marco in Milano, Archivio Stor. Lombard., ser. 7, vol. III (1938), 436-447.

[xx] Apostolicae sedis provisio del 9 aprile 1256 (P. 16335), che ordina a tutti i  provinciali, priori e frati di obbedire al nuovo generale. Dalla timbratura di questa bolla è evidente che la Licet Ecclesiae fu pubblicata il 9 aprile e non il 4 maggio come molti editori hanno affermato: AA. IV 441-443.

[xxi]Certum etiam est ad externas nationes statim Italos fuisse dimissos, viros zelo ac pietate ferventes, qui ibidem tunc monasteria erecta dirigerent, nova conquirerent, unita realiter possiderent...”: CRUSENIUS I, 8.

[xxii] S. LOPEZ, Cenni Storici sulla provincia Agostiniana dell’Umbria, Libretto giubilare per il molto Rev. Costanzo Marcelloni (1933), 18: “...d’inviare là dei frati italiani, probabilissimamente ignoranti di quelle lingue ed usi e costumi?”. Lopez dice che l’affermazione del Crusenio non può essere provata da documenti contemporanei o posteriori, ed Herrera, che scrisse pochi anni dopo di lui, si lamentò di non poter trovare la fonte della storia di Crusenius.

[xxiii]Sunt tamen qui Augustinianis fratribus istum in primo eorum ad Angliam accessu, se mox adiunxisse ferant... Porro Lanfrancus Mediolanensis primus eorum praeses generalis, illos fratres A. D. 1252 ad Angliam pro quaerendis illic sedibus misit, antequam essent ab Alexndro IV, Romano Pontifice, post sui Augustini apparitione, ecstaticam admissi, ut ex eius bulla claret...”: BALE, Scriptorum Illustrium Brytaniae pp. 302-3 basa la sua opera su Collectanea scritta da Thomas Colby’ attorno al 1400. Colby potrebbe aver raccolto le sue note dal Registrum theologorum Ordinis Eremitarum Divi Augustini nella libreria degli Agostiniani a Londra che pare contenesse dati biografici: J. BALE, Index Britanniae Scriptores, ed. POOLE-BATESON, Oxford, 1902, pp. 186-7. Il miglior resoconto dei lavori di Sengham in J COX RUSSEL, Dictionary of Writers of 13 century England (London, 1936) in London Bulletin of the Institute of Historical Research, suppl. 3. Sospettiamo che il Liber Historiarum venerabilis fratris Willelmi de Clare, che il frate Thomas di Tyfford prese in prestito dagli Agostiniani di Clare nel 1299 fu scritto da SENGHAM: Chartulary of Clare, Brit. Mus. Harl. 4835, fol. 41r.

[xxiv] AA. VI, 53-58.

[xxv] CRUSENIUS 1,8.

[xxvi] v. nota 205.

[xxvii] AA. VII, 18ss dove sono raccolte notizie di tulle le provincie

[xxviii] AA. XII, 158.

[xxix] Una storia dettagliata del grande Convento di S. Anna a Parigi e le due fondazioni a Montmartre (1259) e a Chardonnet (1285) non è stata ancora scritta. Il suo carteggio (LL 1471 negli Archives Nationales) fu usato per la prima volta da E. RAUNIÈ, Epitaphier du vieux Paris 1 (ibid., 1890), 151-219, ma era sconosciuto a BERTY-TISSERANT, Topographie historique du vieux Paris (ibid., 1887), 241-262. Questi due scrittori forniscono un resoconto migliore della maggior parte delle storie su Parigi. Un dettaglio della vita del Beato Angelo da Furci è stato trascurato da tutti i biografi di Egidio: “Qui (Egidius) sibi mox eum (Angelum) recepit in socium et in suum pariter hospitium; erat enim domus ipsius ordinis (Montmartre) in ipsa Parisiensi civitate nimis distans a contrata seu parte civitatis ubi studium regebatur; qua de re cuncti tunc temporis pro studio accedentes per conducta hospitia propriis in omnibus sumtibus permanebant”: ASS Febr. 1, p. 936. Materiale di valore per la storia della casa Parigina può anche essere trovato nella Biblioteca Angelica di Roma: Cod. 1416, nella Biblioteca Pubblica di Lione: Mss. 199, 841 e a Tolosa: Catalogue de l’histoire de France V, Paris 1858, cap. V.

[xxx] Egidio andò a Parigi probabilmente all’età di sedici anni, il che indicherebbe l’anno 1261. Vedi la cronologia della sua vita di G. BRUNI in Collezione di testi Filosofici inediti e rari XIII (Napoli, 1935); MOE’, Recherches, 290 e 307, n. 3. Dal momento che molte notizie fino al 1274, specialmente di capitoli generali e provinciali, sono andate perdute, non possiamo dare un resoconto dettagliato dell’educazione all’interno dell’Ordine in questo periodo. Per un eccellente trattato sulla formazione nell’Ordine agli inizi del XIV secolo vedi A. ZUMKELLER, OSA, Hugolin von Orvieto und seine theologische Erkenntinislehre (Würzburg 1941), 47-72.

[xxxi] Vfr. 47. I contemporanei non hanno dubbi sul fatto che l’opinione di Giordano fosse corretta. Vedi nota 329 infra .

[xxxii]de communi capituli assensu... unanimes consenserunt”: Licet Ecclesie.

[xxxiii]quod unioni non consenserunt imo contradixerunt”: Ea quae iudicio del 29 agosto 1266: P. 19807.

[xxxiv] Licet olim pro, 22 agosto 1256: P. 16528, RONCIÈRE 1452.

[xxxv] Vestre religionis meritis (19 febbraio 1263: ASS 10 febbraio, appendice 26) ripete le accuse del superiore dei Gugliemiti: “Nonnulli tamen ex vobis, assumpta audacia, quod sub leviori pugna de antiqui hostis versutiis facilius triumphabunt, humanae fragilitatis seducti consilio ad mitioris ordinis observatiam aspirantes, ad Ordinem Fratrum Eremitarum Sancti Augustini proprio motu se trasferre praesumpserunt”.

[xxxvi]Hinc est quod, cum dilectis nobis fratribus ordinis sancti Guilelmi quasdam possessiones apud Grez donassemus pro nostre anime remedio incolendas et cum propter transumtatione, in ordinem sancti Augustini factam in capitulo generali per dominum papam talibus possessionibus non liceat eis uti...”: A. VON JAKSCH, Monumenta historica Ducatus Carinthiae (Klagenfurt, 1906), n. 2639.

[xxxvii] Monumenta Boica XXVI, n. 14: AA. XIII, 520.

[xxxviii]De voluntate dicti domini Richardi sancti Angeli diaconi cardinalis, cui curam predicti ordinis Eremitarum Sancti Augustini eadem Sedes commisit, tamquam in arbitrum abitratorem, et amicabilem compositorem super causis litibus et questionibus ejusdem, que erant, vel esse possent super predictis”. Questo lungo documento papale Ea que iudicio è datato 29 agosto 1266. Fonte in Vfr. 452. Il testo è pubblicato anche in FÈJER, Cod. dipl. Hungariae IV, 3, 347-358 e in M. FELIBIEN, Histoire de la ville de Paris (Parigi, 1725), III, 234-238, ma non è stato prodotto dall’Empoli.

[xxxix] Questa di Porta Coeli è differente da quella di Himmelspforte vicino a Helmstadt nel Brunswick, e da Porta Coeli, De Hemelsche Poort, in Belgio, che fu anche chiamata Baseldonck ed i suoi membri Baselaars, e che fu la più antica casa dei Gugliemiti nei paesi ultramontani, fondata nel 1205: Analectes XXXII (1906), 46.

[xl] La maggior parte degli editori della Ea quae judicio hanno letto “Corona Marie de Fuvisene, Constantiensis Diocesis”, ma, dopo un accurato esame dell’originale del registro papale, Bernouilli potè chiaramente leggere Tuwingene, cioè Tübingen: Württembregisches Urjundenbuch (Stuttgart, 1833ss) VI, 508. Il monastero di Mariakron in Oberried, la cui storia è stata scritta da F. GIESLER, Die Geschischte del Wilhelmiten-klosters in Oberried (Freiburg, 1912), non offre nulla per quanto riguarda questo periodo. A. Neuscheler della Biblioteca Universitaria di Tubinga gentilmente richiamò la mia attenzione sul domumento della sua fondazione, il 25 marzo 1252, stampato in M. GERBERT, Historia Magana Silvae Ordinis sancti Benedicti coloniae (St. Blasius, 1788) III, 157 e la letteratura fino al 1904 in F. X. KRAUS, Die Kunstdenkmäler des Grossherzogtums Baden (Freiburg, 1904) VI, 1, p. 316. Gli Agostiniani entrarono nella città di Tubinga nel gennaio 1262: “Quod nos ad ampliandum divini nominis cultum et remedium animarum nostrarum viros religiosos fratres ordinis eremitarum Sancti Augustini locavimus infra muros nostre civitatis”: Württemb. UB VI, 45.

[xli] O. DOBENECKER, Regesta diplomatica necnon epistolaria historie Thuringiae (Jena, 1925) III, n. 3518. La fondazione del monastero è collocata di regola nell’anno 1253: W. REIN, Burg Scharfenberg und Kloster Wissenborn, in Zeitschrift des Vereins für Thüringische Geschichte und Altertumskunde VI (1865), 285-300, con una registrazione dei documenti disponibili. L’archivista della Thüringisches Landeshauptarchiv, Weimar, richiamò la mia attenzione su alcuni documenti a Gotha. Il monastero si disciolse al tempo della Riforma.

[xlii] Vedi appendice.

[xliii]Die Zahl der zurückgebliebenen Klöster war im Verhältnis zu denen, die den Augustinern blieben nur klein und niemals konnte sich der Orden von diesem Schlage erholen “: REIN in: Archiv für sächsische Geschichte III (1865), 202.

[xliv] Il capitolo di Wallincourt tenuto il 10 novembre 1619 impose una tassa su tutti i monasteri per recuperare il convento di Parigi che era stato perduto “per simplicitatem aliquorum fratrum et fraudem quorundam Benedictinorum”: JUTEN, Analectes 46. “Hodie (1623) in tota Germania vix duo reperiuntur Guillermitarum coenobia, in Belgio circiter sex supersunt, in Gallia totidem, ac in his paucissimi religiosi”: CRUSENIUS 1, 17. Per ironia della storia la casa madre di Malavalle  fu data agli Agostiniani: Histoire des ordres monastiques religieux et militaires (Paris, 1721) VI, 142.

[xlv]Mons Fabuli, Faballo (de Monte Fabuli) monasterium sancti Benedicti, Cisterc. Ordinis, Pensauriensis diocesis”: P. KROFTA, Acta Urbani VI et Bonifatii IX (Prague, 1905), n. 365.

[xlvi] ASS 10 febbraio, paragrafo 8 dice che Gregorio XIII concesse la festa di S. Guglielmo agli Agostiniani il 25 luglio 1556, ma che era da loro celebrata già dal 1291: AA. V, 77, anche VIII, 192 e XVI, 167.

[xlvii] Così KOLDE, Deutsche Aug. Kongreg. 13; LITTLE in Cambr. Med. Hist. VI, 760 e MONAGHAN in The Tagastan XIV (1951), 27.

[xlviii] Justis petentium, 23 ottobre 1257: LOYE- CENIVAL 2299.

[xlix] J. B. PIERRON, Die Katholischen Armen (Freiburg, 1911); H. GRUNDMANN, Religiöse Bewegungen des Mittelalters (Berlin 1935).

[l] LOYE- CENIVAL 2299.

[li] Memorie spettanti alla storia...di Milano (ibid., 1764-1774) VIII, 134-135.

[lii] Odo Visconti, arcivescovo di Milano il 24 novembre 1272 dette al vicario Aliprando Visconti il comando “ut fratres de S. Marco Mediolani in possessionem inducat loci Sancti Augustini alias fratrum pauperum Catholicorum”: E. LATTES, Repertorio diplomatico Visconteo (Milano 1911) 1, n. 13; L. ZANONI, Valdesi a Milano nel secolo XIII, in Archivio Storico Lombardo 39 (1912); Torelli IV, 545, 607.

[liii] Vfr. 57-58.

[liv] Vfr. 342-344.

[lv] AA.  III, 29-31.

[lvi]Nos attendentes quod in eodem loco plures domos vestri ordinis habere non congruat... indulgemus, ut... uno locorum ipsorum qui commodior fuerit reservato, reliquum vendere seu commutare, distrahere aut alias etiam alienare libere valeatis”: Cum sicut vestra, 12 aprile 1256, RONCIERE 1314; AA. IV, 441.

[lvii] BSA IV, 55.

[lviii] Iis qui relictis, 30 giugno 1268: in Germania (Württ. UB. VI, n. 1978), in Aquitania (AA. V, 354), in Spagna (Gratia conditoris, 9 giugno 1268; AA. V, 423). Persino più severa è la Rem in oculis del 4 aprile 1268 (TORELLI IV, 741-2), che fu diretta a tutte le autorità ecclesiastiche, nella quale il papa usa l’espressione “gravamen indebitum tolerare non intendimus et debemus... auctoritate praesentium districtius prohibemus”. In aggiunta il Papa protesse gli Agostiniani a Reggio (TORELLI IV, 711), a Pisa (Ib. 720), Lovanio (ib. 330), Treviso (HERRERA II, 466-7) e appoggiò il loro programma di costruzione a Verona (TORELLI IV, 675-6), Bologna, (ib. 735-6), Teramo (ib. 745), Perugia (ib. 676), Treviso (HERRERA II, 466-7) e Rosia (REPETTI II, 274).

[lix]Otho dictus de foro, Otho judex et quidam alii maligno incitati spiritu nostram domum (Vienna) damnabili praesumptione destruxerunt anno 1266”, SCHIER, De monasteriis Austriae notitia 60. - “Anno Domini 1273 consules et iudices Erfordi cum universitate confregerunt domum fratrum Augustiniensium non permittentes ipsos in Erfordia habitare”: Chronica S.ti Petri Erforensis, MGH SS. XXX (I), 406. - “Destructa fuit domus Sancti Augustini in Nulenberc (Nurenberc) a populo, rege minime prohibente”, Annales Basileenses, MGH SS. XVII, 198.

[lx] Come nel caso di Ypres del 22 aprile 1265: E. FEYS e E. NELIS, Les cartulaires de la prèvôtè de Saint-Martin à Ypres (Bruges, 1880) II, 238; e per Lovanio l’11 maggio 1268, Archiv. Conv. Gand., Ms. J. Rivii, fol. 36; Oxford sotto Gregorio X: LITTLE  in Vict. Co Hist. Oxford, II, 143.

[lxi] Inter alias solicitudines, 28 marzo 1257: LOYE CENIVAL 1874. La lettera del cardinale è acclusa. Il Bullarium Franciscanum non da documenti concernenti il cardinale protettore fino al maggio 1263, quando Giovanni Gaetano Orsini seguì Gregorio IX ed Alessandro IV  in questo incarico. La nomina papale dette a Gaetano “gubernationem et correctionem dicti ordinis” con il diritto “ordinandi, statuendi, et faciendi omnia per te vel alium seu alios, tam in spiritualibus quam temporalibus, quae ad salubrem statum memorati ordinis generaliter et specialiter expedire videris... et alia execere quae dicti fratres eorumdem predecessorum gerebant” (l’ultima parte dell’originale è mutilata), SBRALEA, Bull. Franc. II (Roma, 1761), 467-8.

[lxii]Sic ordo fratrum heremitarum Sti Augustini a suis primordiis gratia cooperante divina de virtute in virtutem successive profecit, quod velut lignum fructiferum in ellesie agro plantatum flores proferens copiosuis honestatis et producens uberius fructum vite, precelsa regularis observantie sanctimonia et preclaris virtutum operibus specialiter extitit insignitum”: Sic Ordo fratrum del 10 aprile 1258: EMPOLI 30, LOYE-CENIVAL 2505, POTTHAST 17232. Vedi anche Caelestis amor patriae del 14 giugno 1255, POTTHAST 15922 e Vobis assidue del 27 aprile 1256, POTTHAST 16346, EMPOLI 17.

[lxiii]Per es. il Vescovo Enrico di Basilea scrisse il 18 settembre 1269: “In generalem Christi fidelium notitiam jam devenit quod dilecti filii prior et fratres domus Mulnhusensis ordinis sancti Augustini, nostre diocesis, pro innocentia sue vite ac religionis sacre meritis occurrant gratissimi oculis maiestatis... ipsorumque adhuc ferventer expirat affectio, ut per eorum ministerium  salus deo gratissime proveniat animarum”: X. MOSSMANN, Cartulaire de Mulhouse (Strassburg 1883) 1, n. 84; o “Per quorum doctrinam, vitam ac conversatione, non solum nostra civitas immo tota terra recipit salutis aucmentum”: Documento della fondazione di Gmünd A. D. 1284: Württ. UB. VIII, n. 3300.

[lxiv] N. CONCETTI, Vita di S. Nicola da Tolentino (ib. 1932) ha fatto uso del Processo Apostolico di Canonizzazione appena riscoperto; i suoi tre volumi sono stati preparati per la pubblicazione.

[lxv] Sic ordo fratrum del 10 aprile 1258: P. 17232. Il monastero era meglio conosciuto come S. Bartholomeo de Sestinga e più tardi come badia vecchia di Colonna (di Buriano, Massa Marittima); esso fu fondato prima del 1055, data del suo primo documento conosciuto: SCHNEIDER F., Regestum Senese (Roma, 1911), n. 51 (anche 67, 75, 141, 289, 301). REPETTI, Dizionario... Toscana I, 192 e 785, fece diversi errori. Fu nelle mani dell’Ordine fino alla sua soppressione da parte di Leopoldo I.

[lxvi] Il Vescovo Bartholomeus Voratus di Spoleto dette agli Agostiniani la chiesa di S. Nicola su richiesta del Cardinale Riccardo: TORELLI IV, 714.

[lxvii]In loco novo in Castro Molarie tunc accepto”: AA. II, 225. Uno studium vi fu immediatamente istituito come appare dagli atti dei capitoli provinciali tenuti a Civitavecchia nel 1275: “Diffinimus quod frater Leonardus de Viterbio legat in conventu de Molaria”: l. c. 227. Nel 1427 Martino V costrinse gli Annibaldi a vendere Molaria ai Colonna e nella guerra del 1431 tra i Colonna ed Eugenio IV, Molaria fu completamente distrutta e non riscostruita. Pio II la chiamò "deserta" nel 1463: Archivio IX, 396, e RE in Enciclopedia Italiana VII (1929), 394. Con il castello anche il monastero fu distrutto, e da quel momento non se ne sa più nulla: CRUSENIUS I, 299.

[lxviii] AA. VIII, 286; XVIII, 404 e appendice.

[lxix] AA. II, 225-6.

[lxx] AA. XII, 100. Il Cardinale Riccardo autorizzò la vendita e il trasferimento di S. Matteo in S. Spirito a Firenze: ib. 107. S. Matteo esisteva prima del 1233: DAVIDSSOHN, Forschungen... Florenz IV, 491.

[lxxi] Ea quae iudicio, vedi nota 331 supra.

[lxxii] Biografie in TORELLI IV, 453 e BSA II, 47.

[lxxiii] Württ. UB VII, 487.

[lxxiv] D. PACHI, Ricerche istoriche...della Garfagnana (Modena, 1785), 95.

[lxxv] La Provincia tedesca include anche tutti i paesi dell’est, come Polonia, Boemia, Austria ecc., vedi appendice.

[lxxvi] Il primo documento conosciuto di Guido come priore generale fu scritto al capitolo generale di Perugia l’8 maggio 1265 e confermò l’accordo tra il Capitolo di St. Martin di Ypres e Giovanni da Gubbio, priore provinciale di Francia: FEYS-NELIS, Les cartulaires II, n. 240.

[lxxvii] Württ, UB VI, N 1748; VII, p. 483; The Tagastan X (1946), 25.

[lxxviii] AA. I, 372.

[lxxix] J. KRUDEWIG, Das Archiv der Universität und des Jesuitenkollegiums, in Mitteilungen Stadtarchiv Köln XXXI (1911), 79.

[lxxx] Documento della fondazione in Charter Roll 52 Henry III (C 53/57 m 7). LITTLE in Victoria County History-Oxford II (London, 1907), 143-148.

[lxxxi]AA. VIII, 284.

[lxxxii] Ad universalis ecclesie regimen: GAY 119.

[lxxxiii] BSA II, 47.

[lxxxiv] WADDING, Annales Minorum V, 452.

[lxxxv]Voluit etiam (Gregorius) cassare et ad nihilum redigere Heremitarum ordinem; sed interventu domni Ricardi, Romane curie cardinalis, qui erat eorum ordinis gubernator, abstinuit se, ne facere, quod volebat”: MGH-SS XXXII, 253-255.

[lxxxvi] Nota 138 supra.

[lxxxvii] S. KUTTNER, Conciliar Law in the making (La legge conciliare in formazione), in Miscellanea Paschini II (Roma, 1949), 74.

[lxxxviii] P. 20950.

[lxxxix]qui utique a re nomen accepit”: AA. IV, 325.

[xc] AA. II, 228.

[xci] AA. IV, 325.

[xcii] AA. I, 109-117; Vfr. 466.

[xciii] MOE’, Recherches 297-8. Il successore conosciuto del nostro cardinale fu Bernard de Languissel, cardinale vescovo di Porto, che Nicola IV nominò il 30 giugno 1288; LANGLOIS 170. “Dovuto al fatto che ogni tanto i Cardinali Protettori si intromettevano troppo nel governo interno degli affari dell’Ordine, Gregorio XI nel 1375 proibì loro di sospendere o dispensare dagli Statuti dell’Ordine o di loro iniziativa di insediare o deporre superiori... Gregorio XI, Sisto IV e Giulio II furono costretti a inculcare di nuovo l’osservanza di queste sagge precauzioni dei loro predecessori”: HUBER, History Francisc. Order 666.

[xciv] Decisione della Romana Rota del 12 giugno1651: MAYDEN, Famiglie Romane I, 67.

[xcv]Scitur enim quod polletis prosapia, generis potentia prominetis, multisque facultatibus habundatis et ut concludam breviter potentes estis et magni”: BATZER, Pofi 133. La lettera naturalmente sottolineava i punti che interessavano la maggior parte dei cardinali. Vedi nota 105 supra.

[xcvi]Fuerat quippe sub multae lubricae delectationis libertate nutritus et ex eo maxime, quod nepos erat Domini Richardi de Aniballis, Sancti Angeli Diaconi Cardinalis, cuius industria pene in Urbe sibi vendicaverat inter omnes nobiles primitiam. Luxuriabat excessibus et ex avunculi potentia sumpto vigore vitam agebat protinus dissolutam”: MALASPINA in Muratori VIII, 797.

[xcvii] A. WALZ, S. Tommaso 128-9; 161-2.

[xcviii] CIACCONIUS, Vitae et res gestae Pontificum Romanorum et S.R.E. Cardinalium (Roma, 1630) II, 88, non poteva aver dato elogio più alto di questo: “Jucundissima enim erat illi amicitia quam morum similitudo coniungeret”.