La traslazione di Sant’Agostino dall’Africa a Cagliari
Luigi Cherchi

La traslazione di Sant’Agostino dall’Africa a Cagliari

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Questione storico-critica

 

Prima di rispondere a questi due quesiti bisogna ricordare una pagina storica che interessa in modo particolare la nostra Isola e la nostra città di Cagliari. Il re vandalo ed ariano Trasamondo dall’Africa del Nord esiliò in Sardegna, e a Cagliari in particolare, molti vescovi, monaci e cristiani con a capo S. Fulgenzio da Ruspe, consacrato vescovo nel 507 (Bibl. Sanct. vol. V, col. 1306). La deportazione dovette avvenire dunque non prima del 507-508. Il Baronio, nei suoi famosi "ANNALES" fissa la data al 504 (Tomo IX, col. 46) e così altri autori. Ma la critica attuale sta per la data 507-508. La fonte principale al riguardo è la "Vita Fulgentii" scritta dal diacono cartaginese Ferrando (PL. LXV, col. 117-150; ediz. critica di G. G. Lapeyre). Dal cap. XXIX, n. 64, apprendiamo che quando Fulgenzio morì a 65 anni di età il primo gennaio 532 (Bibl. SS. vol. V, col. 1308) era al suo XXV anno di episcopato. Da qui la data del 507 della sua consacrazione episcopale. Anche il Tola ha ottenuto gli stessi risultati (anno 507) basandosi sulla vita scritta da Ferrando (Tola, Codex, I, dissertazione a pag. 86/B). Con Fulgenzio, il più giovane di tutti come consacrazione, furono esiliati altri 120 vescovi: così scrive Vittore di Tunnuna nel suo "Chronicon": il re vandalo "catholicorum ecclesias claudit et in Sardiniam exilio ex omni africana Ecclesia CXX episcopos mittit. Eo tempore Fulgentius, Ruspensis civitatis episcopus, in nostro dogmate claruit" (PL. LXVIII, col. 948/49). Vittore mori dopo il 556. Paolo Diacono parla addirittura di 220 vescovi (Hist. Romana, XVI, in M.G.H. Auctores antiquissimi, XIII, III, pag. 217 cfr. Besta, I vol., pag. 7 e note). Per quanto riguarda il gruppo che era con Fulgenzio, Ferrando parla di "sexaginta et eo amplius" (cap. XX, n. 41). Penso si tratti, in questo caso, dei vescovi della provincia Bizacena. Ad ogni modo il numero non si consideri eccessivo. Nell’Africa settentrionale ogni piccola contrada aveva i suoi vescovi: i cosiddetti coreniscopi erano molto numerosi. Per esempio: nel 484 il re Unnerico indisse un concilio, o meglio una conferenza religiosa, per fare un dibattito coi vescovi cattolici. Vittore de Vita ci ricorda che vi intervennero 466 vescovi, di cui fa l’elenco nominativo, indicandone altresì la sede. Tra gli altri Lucifero II di Cagliari ed altri vescovi sardi. (Historia persecutionis africanae provinciae: MGH. III, pag. 63-71; PL. LVIII, col. 269-70). Ricordiamo che allora la Sardegna, civilmente, dipendeva dall’Africa.

Fulgenzio, accolto amabilmente dall’arcivescovo di Cagliari Brumasio (altri scrivono Primasio) ebbe la possibilità di far vita in comune con altri esiliati vescovi, monaci, ecclesiastici. Tra gli altri, il suo biografo, ricorda "Illustrem et Januarium, coepiscopos suos" (cap. XX, n. 43). Poi fu invitato in Africa dallo stesso re Trasamondo, che voleva conoscere per scritto il pensiero del giovane e dotto vescovo su alcune questioni religiose. Rimasto a Cartagine (Ferrando, cap. XXI, n. 45) per circa due anni, rientrò a Cagliari e fondò a sue spese, presso la basilica di S. Saturnino, un ampio cenobio "procul a strepitu civitatis", favorito ancora dall’arcivescovo Brumasio (Ferrando, Vita Fulgentii, PL. LXV, col. 138-143). In quel monastero conviveva con oltre 40 "fratelli" seguendo una regola cenobitica (cap. XXVII, n. 51). L’esilio finì nel 523 quando, morto Trasamondo, gli succedette nel trono Ilderico, che richiamò in patria gli esiliati (Bibl. Sanctorum, vol. V, col. 1307). Erano passati oltre 15 anni e non fu senza un influsso benefico di religiosità, di liturgia, di apostolato per Cagliari e per altri centri, più o meno vicini alla città. In quel tempo era Papa di Roma un sardo, S. Simmaco (Papa dal 498 al 514) e non mancò di consolare ed aiutare gli esiliati con scritti, con indumenti e viveri di ogni genere (Mansi, vol. VII, col. 217-218). Il "Liber Pontificalis" scrive al riguardo: "Hic omni anno per Africam vel Sardiniam ad episcopos, qui exilio erant retrusi, pecunias et vestes ministrabat" (MGH, ed. Theodorus Mommsen, 1898, p. 125). Questa è storia autentica, attinta dalla vita di Fulgenzio, scritta da Ferrando, suo discepolo e (pare) parente; e da altri autori antichi. E facile supporre che questi vescovi e monaci venendo dall’Africa avranno portato reliquie, immagini, libri, qualche piccola statua, ecc. Sono cose che noi pensiamo e che sono, del resto, naturali, ma la storia non ce io dice in modo esplicito. Portarono con loro anche le relique (ossia le ossa) di S. Agostino? Questa domanda, riguarda in particolare S. Fulgenzio, capo e guida degli esiliati a Cagliari. Ferrando, la fonte diretta che racconta la storia di quell’esilio, non ne fa alcun cenno. Anzi ci riporta due circostanze che rendono meno probabile la traslazione di dette relique. Per il primo esilio, Fulgenzio è a Ruspe, nella sua provincia, la Bizacena, allorché i ministri del re lo presero "repente" (all’improvviso) e io aggregarono agli altri esiliandi da deportare in Sardegna (cap. XX, n. 40). Egli "navim crucifixio corde et corpore nudus ascendit, habens secum plurimas divitias scientiae salutaris" (id. cap. XX, n. 40). La seconda volta, a Cartagine, fu strappato dalla sua abitazione "in Tempesta nocte, populo ignorante" (id. cap. XXV, n. 49): nel cuore della notte e all’insaputa del popolo. Come in tali contingenze, lontanissimo da Ippona, abbia potuto dare opera o, a dire meglio, abbia potuto dirigere il trasporto delle reliquie di Agostino, è un problema senza termini di soluzione. Anche la lettura dei capitoli XXV e XXVII della stessa vita ci persuadono di escludere tale asserita traslazione delle dette reliquie del grande santo ad opera di Fulgenzio. Eppure, come vedremo più innanzi, gli autori della storia sarda dal 1500 al 1900 attibuiscono a Fulgenzio la traslazione del corpo di S. Agostino a Cagliari.

Alcuni autori nostrani affermano direttamente che fu il vescovo di Ippona, città della Numidia superiore, a portare seco le preziose reliquie. La vita di S. Fulgenzio non ne fa il nome, nè fa cenno ad un vescovo di Ippona compreso tra gli esiliati. L’Enciclopedia Cattolica alla voce "Ippona" (vol. VII, col. 180-181, art. di Enrico Josi) ricorda alcuni vescovi prima di S. Agostino e conclude: "Ignoti sono i vescovi di Ippona dopo l’invasione vandalica e durante la dominazione bizantina". Non dimentichiamo che proprio mentre moriva S. Agostino, la città fu distrutta, saccheggiata e in parte incendiata! P. Agostino C. De Romanis dice che i vescovi ad Ippona sono di nuovo ricordati solo all’inizio del 600 (p. 409). Nonostante quello che ho già scritto, gli storici sardi, o gli storici che si interessano delle cose nostre, scrivono in modo sostanzialmente identico (tranne piccoli particolari). Vi cito due autori noti per valentia e critica: Enrico Besta, storico di fama internazionale, e mons. Damiano Filia, storico illustre della Sardegna cristiana. Nel 1908 il Besta dice: "v’era tra loro Fulgenzio, il neo eletto di Ruspe, e Feliciano di Cartagine e Illustre e Gianuario, vescovi di sede ignota, e il vescovo di Ippona, che esulando portava con sè i resti venerati di S. Agostino, l’immortale suo predecessore" (Sardegna Medioevale, vol. I, p. 7, Palermo 1908). Nel 1909 il Filia scrive a sua volta: "Fra gli esiliati erano il celebre teologo e monaco Fulgenzio, da poco eletto vescovo del piccolo porto di Ruspe, Feliciano di Cartagine, Illustre e Gianuario, di sede ignota, e il vescovo di Ippona. Questi confessori di Cristo portarono seco nell’esilio le reliquie venerate di S. Agostino, che stettero a Cagliari 200 anni (vol. I, p. 92). E cita Darras, Storia generale della Chiesa, Torino 1879, vol. II, p. 84. Come si vede il Filia ripete, più o meno, il testo del Besta.

A proposito di vescovi esiliati dobbiamo precisare alcuni equivoci (sic!). L’enciclopedia Treccani alla voce "Trasamondo" (senza firma dell’articolista) dice che il re vandalo ne esiliò molti in Sardegna: "Il più famoso fu Eugenio vescovo di Cartagine" (sic!). Di Eugenio sappiamo invece che morì nel 505, come scrive Vittore Tunnenense nel suo "Chronicon" (PL. LXXVIII, col. 950: anno 505): "Eugenius Cartaginensis episcopus confessor moritur". Morì in esilio nella Gallia, ad Alby. La sua sede rimase vacante sino a quando Ilderico (nel 523) concesse la libertà ai vescovi esiliati; allora fu consacrato il nuovo vescovo Bonifacio (vedi la voce "Cartagine" di Pietro Romanelli nell’Enciclopedia Cattolica, vol. III, col. 946). Si fa il nome di Feliciano, come vescovo di Cartagine (Filia, Besta). Abbiamo già detto che Cartagine, al tempo dei vescovi esiliati in Sardegna, era sede vacante. L’equivoco, a mio parere nasce dal fatto che Ferrando, nella vita di S. Fulgenzio, nomina Feliciano come successore di S. Fulgenzio di Ruspe; ed è proprio a lui che dedica il suo lavoro (PL. LXV, col. 117-118)! Eppure il racconto della traslazione delle reliquie del grande santo, avvenuta ad opera degli esiliati, si ripete nei nostri storici dal secolo XVI in poi, attribuita o a S. Fulgenzio o al vescovo di Ippona o agli esiliati in genere. Permettete che vi ricordi i nomi di questi autori:

1580: Mons. Giovanni Francesco Fara (1543-1591) nei suo De rebus Sardois, libro I, p. 156 (Fulgenzio).

1595: Giovanni Proto Arca: De Sanctis Sardiniae, libro III, p. 65 (Fulgenzio)

1624: Serafino Esquirro, Santuario de Caller, libro I, cap. I, pag. 1-5 (Fulgenzio)

1680: P. Giorgio Aleo, cappuccino, Successor generales, MS. VI, cap. 68, §. 412 pag. 283 (Fulgenzio).

1780: Giuseppe Cossu, Della città di Cagliari: Notizie compendiose, pag. 95 (Fulgenzio).

1826: Giuseppe Manno, Storia della Sardegna, vol. II, pag. 75-78 (Vescovo di Ippona).

1839: Pietro Martini, Storia ecclesiastica, vol. I, pag. 101 (Fulgenzio).

1861: Pasquale Tola, Codex Diplomaticus, I, pag. 87/A, e cita il Baronio, anno 504.

1861: Giovanni Spano, Guida della città e dintorni di Cagliari (vescovo di Ippona pag. 190-191).

1881: Padre Francesco Sulis, mercedario: Brevi cenni sulla istituzione, antichità ed eccellenza dell’archidiocesi di Cagliari (pag. 37 e 63), (esiliati).

1897: Efisio Serra, Una pagina d’oro della storia ecclesiastica di Sardegna, pag. 30 e 31 (Fulgenzio col vescovo di Ippona).

1908: Besta, citato (vescovo di Ippona).

1909: Filia, parimenti citato (plurale: i confessori di Cristo).

1935: Raimondo Carta Raspi, La Sardegna nell’alto medioevo, pag. 109: (vescovo di Ippona).

1964: Mons. Ottorini Pietro Alberti, La Sardegna nella storia dei Concili (pag. 26: "furono trasportate" e cita il Baronio.

1973: Camillo Bellieni, La Sardegna e i sardi nella civiltà dell’alto medioevo, vol. I, pag. 475 e 486 (vescovo di Ippona).

1978: Alberto Boscolo, La Sardegna bizantina e alto giudicale, (pag. 20-21: vescovo di Ippona).

Poiché il Boscolo è l’ultimo autore che cito, data la sua fama meritata di storico, mi permetto di citarlo letteralmente. Scrive dunque: "Giungevano così in Sardegna, nel 507, numerosi ecclesiastici esiliati; secondo alcuni erano centoventi, secondo altri duecentoventi. Erano fra questi il vescovo di Cartagine, Feliciano (svarione già rilevato!), quello di Ippona, che portava con sè i resti del suo predecessore S. Agostino, e quello di Ruspe, Fulgenzio, da poco eletto" (pag. 20-21).

1979: Kirova K. Tatiana, La Basilica di S. Saturnino in Cagliari (Fulgenzio, pag. 24).

Gentilissimi uditori, è tempo di chiederci: da dove nasce questa pacifica affermazione, seza citazioni di fonti, senza discussione critica, fatta anche da autori di rilievo, nella loro storia generale della Chiesa, come Joseph Darras e Renato Rohrbacher (vedi Bibliografia)?

Nel secolo XVI comparvero i famosi "Annales" di Card. Cesare Baronio (nato il 1538 e morto il 1607). Egli fa propria questa versione dei fatti e scrive: "Tunc plane accidisse perhibetur, ut Hipponensis episcopos et alii eius provinciae Numidiae sacerdotes, occulte (ut licuit) sacrum ferrent secum... corpus... Augustini": mitra, bacolo, vesti (Tomus IX, Lucae MDCCXLI, col. 46). "Perhibetur", dice. Parolina insinuante e traditrice. "Perhibetur" - lo sappiamo bene - vuol dire: "si racconta, si narra, viene riferito". Ma i nostri autori citati hanno giurato "in verbo magistri" e non sono andati a cercare su quali documenti storici si basava questa parola "si racconta, si narra". Si riferiscono al Baronio e, più spesso, lo citano in modo esplicito. Presero dunque per buona la sua narrazione. Non c’è troppo da rimproverarli. Solo più tardi i Bollandisti, nella vita di S. Agostino al 28 di agosto (Acta SS. vol. VI Augusti, pag. 363-365) riportarono quanto espose il Baronio e ne fecero ampia critica: Prima edizione 1643-1940 (Antverpiae - Anversa - MDCCXLIII).

Tuttavia se i nostri storici fossero stati attenti a quanto racconta il celebre annalista nell’anno 504 e a quanto riferisce nell’anno 725, sarebbero venuti ad incontrare la vera fonte, in cui in buona fede il Baronio credette fermamente (Annales, Tomo XI, col. 320-324). Si tratta di una lettera che Pietro Oldradi, arcivescovo di Milano, avrebbe indirizzata a Carlo Magno nel 796. In essa l’autore espone, per filo e per segno, tutte le vicende particolari della traslazione delle reliquie di S. Agostino dall’Africa in Sardegna e dalla Sardegna a Pavia, per opera del re Longobardo Liutprando verso il 725. La lettera fu pubblicata per la prima volta a Roma nel 1587 ad opera dell’agostiniano P. Agostino da Fivizzano, come appendice ad una breve biografia del Santo. L’intestazione esatta è la seguente: "Domino regum piissimo Carolo Magno Petrus Oldradus indignus mediolanensium archiepiscopus perennem in Christo coronam" - Datum in urbe Mediolani anno salutiferae incarnationis DCCLXXXXVI - (796). Gli storici e i critici l’hanno definita falsa, adulterina, suppositizia. Ludovico Antonio Muratori la esclude in modo assoluto (Ad annum 722: cfr. A. C. De Romanis,La duplice traslazione... pag. 396). Giuseppe Antonio Sassi (bibliografia "Saxii") già Prefetto della Biblioteca Ambrosiana, nella storia critica degli arcivescovi di Milano la condanna senza equivoci (pag. 266-268). Del resto noi stessi, senza essere storici e critici, sentiamo subito il senso della falsità esaminando soltanto il titolo della lettera in questione. I vescovi nel secolo ottavo, e per lungo tempo ancora, non firmavano mai col cognome del proprio casato, come ha fatto il supposto Pietro Oldradi; e a Milano il primo ad usurpare il titolo di "arcivescovo" fu proprio lui (Sassi, pag. 266)! Carlo fu detto "Magno" soltanto dopo la sua morte (+ 814). Siamo dunque di fronte a un documento falso! Tutti i nostri storici dunque, hanno attinto in buona fede. E non basta.

Pietro Martini, il grande innamorato delle "Pergamene di Arborea" vi ha attinto largamente. Basta leggere la sua opera, "Illustrazioni e aggiunte alla Storia ecclesiastica di Sardegna", Cagliari 1858, pag. 32; oppure leggere a pag. 190-191 la Guida di Cagliari dello Spano, che lo cita abbondantemente sul caso che trattiamo! E come se ciò non bastasse, vi dirò che anche il grande Besta, quando parla della traslazione delle reliquie di S. Agostino, nel testo da noi già riportato letteralmente, aggiunge in nota: "Anche a questo riguardo le pergamene arborensi, p. 336, valsero a accreditare notizie del tutto inattendibili".

Ora sappiamo che le pergamene di Arborea furono un clamoroso falso storico-letterario del secolo scorso (vedi Filia, vol. I, pag. 19-20).

A completare il quadro dei racconti e delle supposizione sulla traslazione delle ossa del grande vescovo devo citare un’opera recente: Tatiana K. Kirova, La Basilica di S. Saturnino in Cagliari, la sua storia e i suoi restauri, Cagliari 1979. A pagina 24 suppone che Fulgenzio "abbia potuto avere il permesso di portare con sè il corpo di S. Agostino" nel 519, quando Trasamondo lo rimandò per la seconda volta in esilio in Sardegna perché la prima partenza fu "forse affrettata". A questa supposizione abbiamo risposto precedentemente: nella prima partenza, da Ruspe, Fulgenzio fu associato "repente" (all’improvviso) agli altri esiliandi; nella seconda, da Cartagine, fu fatto partire "nocte in tempesta, ignorante populo, come dice Ferrando nella vita del Santo (cap. XXV, n. 49). A completare la supposizione, la Kirova (pag. 33) scrive addirittura: "è più attendibile supporre che Fulgenzio e i suoi compagni vescovi, fra cui quello di Ippona, città dov’erano conservate le spoglie di S. Agostino prima del suo (loro) trasferimento in Sardegna, si siano prodigati per edificare una degna dimora, atta ad ospitare i resti del S. Dottore della Chiesa "restaurando ed ampliando la basilica paleocristiana di S. Saturnino" (per lei è S. Saturnino di Tolosa!).

Come avete sentito, carissimi uditori, si tratta di supposizioni, una dietro l’altra; ma sappiamo che la storia critica aborrisce delle supposizioni ed esige, giustamente, documenti probanti! Lo studioso può, anzi deve avanzare delle supposizioni e ipotesi di lavoro; ma poi deve portare le prove! Fra tanti autori citati debbo dire che il Fara non fece in tempo a consultare il Baronio. Il primo volume degli Annales uscì infatti nel 1588 (Encicl. Cattolica, vol. II, voce "Baronio", col. 885). Egli, nel suo racconto, si ispira a Beda, a vari autori e, come egli stesso afferma, all’autore agostiniano Fra Giordano di Sassonia, provinciale di Germania e morto a Vienna nel 1380. Nella vita che egli scrisse di S. Agostino, parlando dell’esilio dei vescovi ad opera di Trasamondo, afferma genericamente: Allora il corpo di S. Agostino fu tolto da Ippona e portato in Sardegna "pridie Kalendas martii", ma non dice da chi. (Cfr. De Romanis, pag. 400, n. 32, pubblicata in Hommey: Supplementum Patrum, Parigi 1684, pag. 569ss). Fra Giordano è il primo autore che parli di questa traslazione.

Il Fara cita ancora quanche altro autore a noi ignoto e le lezioni del breviario agostiniano (De Rebus Sardois, pag. 33-34). Possiamo perciò affermare che il Fara è un autore documentato, come era possibile ai suoi tempi, e resta un testimone della tradizione agostiniana sarda, che ha saputo abbellire con particolari vari l’arrivo delle reliquie di S. Agostino (corpo, bacolo, mitra, vesti sacre): presenza del clero, scene commoventi, popolo plaudente.. (ivi)! Fantasia pia e devota, ben lontana da una storia critica e documentata! Dunque - concludendo - dobbiamo dire: non si può dimostrare criticamente che le spoglie mortali di S. Agostino siano state portate in Sardegna durante l’esilio del 507-508 ad opera degli esiliati africani. E allora - mi direte - le spoglie di S. Agostino sono state sì o no in Sardegna? La risposta è certissima: sì; tanto è vero che il re Liutprando le portò a Pavia, dove sono collocate nella celebre chiesa di San Pietro in Ciel d’oro, come subito diremo.

Dopo tutta la discussione critica che ho dovuto fare restano ancora in piedi i due quesiti propostici:

1) Le reliquie di S. Agostino quando furono trasferite dall’Africa in Sardegna?

2) Quando furono trasferite dalla Sardegna a Pavia?