Cleonice Baggini
scoperte l'anno 1695 nella Basilica di S. Pietro in Ciel d’Oro di Pavia
Regia Università di Pavia, Pavia
Capitolo II
Scoprimento delle ossa di S. Agostino avvenuto il 1° Ottobre 1695 nella Chiesa di S. Pietro in Ciel d'Oro e polemiche che ne derivarono intorno all'identità
L’anno 1695 per i restauri della Basilica alcuni muratori stavano lavorando nello scuruolo o Confessione della Chiesa di S. Pietro in Ciel d’Oro, quando rompendo un muro, si venne a scoprire un’urna in laterizio, tra l’altare e il porro (57). Caduto quell’involucro, apparve una cassa di marmo con scrittovi sopra AUGUSTINUS, racchiudente un’urnetta d’argento contenente ossa e polvere. L’apertura della cassa di marmo, sigillata ai quattro angoli con clavicole di ferro, venne fatta alla presenza di due superiori di S. Pietro e di S. Agostino, quindi venne chiamato Mons. Vicario ed il Cancelliere, e per aprirla si dovette rompere un pezzo di marmo ai quattro angoli (58). Si procedette poi ad altre visite successive e all’esame delle ossa fatto da Carlo Gualla, Chirurgo, eletto dal R. Vicario. In un baleno si diffuse la nuova che s’era trovato il corpo del grande Africano e un grido generale di gioia rispondeva a questo annuncio. Senonchè sorsero subito dubbi per non avere altri documenti importanti sull’identità del medesimo corpo. Intanto il preposito dei Canonici Regolari di S. Pietro in Ciel d’Oro ed il Priore degli Eremitani del convento di S. Agostino fecero istanza presso la Curia Vescovile, perchè desse un giudizio sull’identità del corpo del Santo Dottore. E per alcuni anni "si continuò la causa d’identità di quelle ossa con quelle di S. Agostino contro il fisco opponente con sommo valore, ed agivano a favore di essa identità unitamente le due religioni avendo perciò eletto di commune consenso per avocato a favore dell’identità il padre Michael Colli, barnabita" (59), come lessi in un documeato (presentato Idibus novembris 1704, firmato T.C. Zacchias papiensis) dove si perora dinanzi al tribunale che si prosegua la causa dell’identità, benchè il moderno preposito di S. Pietro si fosse ritirato dalla comunanza della causa. Intanto che questa causa veniva discussa davanti al tribunale, cominciarono a diluviar libri grossi e piccoli, in italiano ed in latino, eruditi e sciocchi, di buona e mala fede, e qualcuno non scevro di frizzi poco benevoli (60). Alcuni autori scrissero sotto il loro vero nome, altri si nascosero sotto pseudonimi. La questione della scoperta del corpo del grande Dottore africano infervorò talmente gli animi che anche illustri storici scesero nella lotta e ruppero qualche lancia a favore degli uni o degli altri. Per gli Agostiniani il Fontanini, e per i Lateranesi il Muratori (61). E accanto a questi due principali, numerosissimi altri polemisti (62), che pur mantenendosi quasi in tutto nell’orbita dei due capi-scuola, sostennero l’una o l’altra tesi. A por termine a tutte queste controversie intervenne la santa Sede (63). Papa Benedetto XIII incaricò il Vescovo di Pavia, Francesco Pertusati, di riassumere la lite e di finirla. Dopo sei mesi di accurato esame, dopo aver tenuto conto dei pro e dei contro, presentati nel processo e dopo aver sentito il parere favorevole di illustri uomini, il 19 luglio 1728 dichiarò "erser quello il corpo di S. Agostino, dottore della Chiesa", ed il Pontefice ratificò il 22 settembre siffatta sentenza (64). Nonostante la sentenza del Pontefice, favorevole all’identità, rimase ancora qualche dubbio intorno ad essa. A me spetta appunto esaminare le ragioni addotte dai sostenitori e dai detrattori a sostegno della propria tesi, e vedere quali di essi abbia ragione, o almeno per chi si potrebbe propendere, ed alla luce della critica di oggi, vagliare i documenti da essi portati, lumeggiarne alcuni trascurati, ed altri nuovi rintracciati. Esamino a tale scopo le ragioni addotte dai due principali polemisti: Muratori e Fontanini, per formarsi poi un giudizio esatto intorno a questa questione, non trascurando al tempo stesso, man mano che mi si presenterà l’occasione, di volgere lo sguardo anche agli altri polemisti e vedere se in qualche cosa si staccano dai due principali. Il Fontanini pubblicò la sua opera "De corpore sancti Augustini" (65) a Roma coi tipi di Rocco Barnabò l’anno 1728. Il libro del Muratori fu divulgato durante il dibattimento della causa e sparso in molte copie (66). Questo 1o ricavo da un manoscritto (Biblioteca Univ. pacco 428) "che i Canonici Regolari mandarono le opere del Fontanini e Gregorio di S. Elpidio a persona dottissima perché li facesse pronta risposta".
1° - Tanto il Muratori che il Fontanini si accordano nell’ammettere l’avvenuta traslazione delle ossa a Pavia per opera di Liutprando, e di questo fatto abbiamo concordi tutti gli storici che parlano di proposito o ne accennano (67).
2° - Il Fontanini scrive (68) che la basilica di S. Pietro in Ciel d’Oro fu costruita dal re Liutprando "ob unum Augustini corpus in eius confessione deponendum" (69) e in questo non mi sembra esatto, come noi abbiamo notato in principio. Infatti il Muratori cita la testimonianza di Paolo Diacono (70), il quale dice che, regnando re Agilulfo circa l’anno 605 "apud ticinum in basilica beati Petri Apostoli Petrus cantor flumine isctus est", e siccome non aggiunge "quae ad vincula dicitur", sembra appunto riferirsi alla chiesa di S. Pietro in Ciel d’Oro, la quale sarebbe stata edificata prima di Liutprando. E noi abbiamo visto al Capitolo I del nostro lavoro quale sia il parere dei dotti intorno a questa data.
3° - Riguardo al luogo dove furono deposte le ossa, il Fontanini cita la confessione (71), e porta come testimoni l’anonimo Strozziano, S. Rodobaldo e Vincenzo Belluacense. Ma il Muratori (72), fa osservare che di questi scrittori il primo scrisse dopo 500 anni dalla traslazione (la sua storia pare condotta fino al 1200), S. Rodobaldo scrisse la sua cronaca l’anno 1236 e Vincenzo Belluacense non fa che ripetere quanto ha detto l’anonimo Strozziano. Per noi queste testimonianze possono avere importanza, in quanto che ci attestano quale era l’opinione pubblica relativamente al sacro deposito all’epoca in cui scrissero i sunnominati scrittori, ed osserviamo che questo argomento del Muratori indebolisce troppo l’autorità che a questi scrittori spetta, mentre poi nel caso particolare, come risulta dal contesto, essi determinarono esattamente il luogo preciso ove nel 1695 venne scoperto il sacro Corpo. Il Muratori dice (73) che esiste la costante tradizione che le ossa di S. Agostino giacciano in S. Pietro in Ciel d’Oro, ma non "inter puteum et altare"; però il Fontaniai ed i sostenitori dell’identità (74) portano a loro appoggio la Bolla di Bonifacio IX del 1400, dove si dice "et quoniam per individum veniunt altare maius et altare inferius iuxta corpus beati Augustini" (75). Sebbene il Muratori obietti che questo "iuxta" è un’indicazione molto vaga, invece si ricava come questa indicazione sia esatta in quanto che dalla consultazione dei vocabolari "iuxta" significa: presso. Ed ancora 13 Sommi Pontefici, da Pasquale II a Urbano VIII, cioè dall’anno 1105 fino al 1635, hanno sempre parlato con un medesimo tenore sopra l’identità e notoria esistenza del corpo del Santo nel luogo stesso in cui fu trovato (76). Inoltre Giovanni XXII dichiara solennemente in un suo diploma dell’anno 1326, che in tale luogo era sepolto (77).
4° - Un argomento importante per i sostenitori dell’identità è quello della cassa d’argento in cui si trovarono racchiuse le ossa controverse, la quale secondo il Fontanini attesta la magnificenza di Liutprando; inoltre egli cita una lunga serie di casse d’argento fatte per le reliquie dei principali patroni delle chiese (78). Il Muratori di riscontro (79) oppone che le casse di argento servivano anche a venerare le reliquie non soltanto dei re, ma anche di vescovi, abati, ed altri fedeli. D’altra parte, dice, tale cassa è poco conveniente alla magnificenza di un re e al merito singolare dell’insigne Dottore della Chiesa: "E’ vero ch’essa è d’argento, ma di piccola mole e di rozza fattura". Il Fontanini (80) attribuisce la fabbrica della cassetta d’argento a Liutprando, dicendo che per testimonianza del padre Monfaucon e del Padre Romualdo al di fuori della cassa ORBICULARIS FERE POSITA ERAT SUPRA CRUCEM EX LAMULIS COMPACTAM, CUI CRUCI SIMILES TRES ALIAE VISAE CUM EFFIGIE SALVATORIS ET CUM LITERIS I. C. (IESUS CHRISTUS). Il Muratori (81) di riscontro osserva di non poter credere che il nome o il volto di Gesà Cristo fosse un distintivo di re Liutprando, quando esso è sempre stato comune a tutti i fedeli e comparisce in parecchi monumenti dell’antichità cristiana come osservano il Bosio, l’Aringhi e altri. A questo riguardo G.A. Sassi (82) dice: "compacta ex caelato argento arca, Crucibus et vultu Salvatoris munita, quod familiare signum erat Liutprando iconoclastis summopere infenso". Noi a nostra volta possiamo osservare riguardo alle dimensioni della cassetta: era di piccola mole, poiché le ossa non facevano uno scheletro, ma erano riunite in modo da occupare il piccolo volume di un recipiente che fosse atto al trasporto. D’altra parte se non mi sembra del tutto esatto quanto il Fontanini dice delle teche d’argento destinate ai patroni delle chiese e del loro speciale valore e preziosità, come delle insegne e monogrammi di Liutprando sulla cassa di S. Agostino, è però inesatto che una custodia d’argento poco conviene alla magnificenza di un re, e al merito singolare dell’insigne Dottore della Chiesa. Questa cassa d’argento, lunga m. 0,70, larga 0,37 e alta 0,27, pesa once 220. Tenuto conto del valore dell’argento e dell’oncia, si ha che il prezzo di detta cassa è di circa 1.100 lire, al tempo di Liutprando valeva almeno il decuplo. Adunque non era un valore tanto disprezzabile. Riguardo agli ornamenti esteriori e alla forma della cassetta, ch’io ho potuto vedere attraverso la grata dell’altare maggiore, dirò che, esaminando diligentemente la forma della cassetta rettangolare con coperchio a tetto di quattro pioventi, e specialmente se si considerano le crocette d’argento dorato infisse ai fianchi ed ornate ad impressione con rozze facce umane, il nostro pensiero è portato a un’arte poco elevata, quale poteva essere sensibile o nell’Africa settentrionale o anche nelle isole del Tirreno prima del dominio dei pirati Saraceni (83). Aggiungo poi un altro argomento, intendo cioè parlare della cassa di marmo racchiudente quella d’argento. Questa cassa da me visitata ed osservata al Museo Civico di Pavia, è una cassa robusta della lunghezza di metri 1,87, della larghezza di m. 0,64 e dell’altezza di m. 0,94. Essa è costruita in modo che serve a racchiudere appunto l’altra cassetta, quella d’argento. Ai quattro angoli si scorge la rottura che vi si fece per sollevare le chiavicole di ferro. Sul coperchio della tomba, in epoca posteriore, vi fu incisa l’immagine di S. Agostino in abito vescovile, figura che si ritiene della fine del secolo XV. A metà del coperchio vi è poi una croce longobardica, da nessuno notata sin qui, della medesima forma di quelle che si trovano sulla cassetta d’argento (84) e nelle collezioni dei Musei di Brescia, Pavia e Cividale, aventi cioè le braccia colle estremità che vanno leggermente allargandosi (85). Questa croce, secondo me, indicherebbe che la cassa di marmo è dell’epoca longobardica, al pari di quella d’argento; e questo mi sembra un valido argomento per l’identità delle ossa di S. Agostino.
5° - Il Fontanini parla poi del nome AUGUSTINUS scritto sulla calce al di sopra della cassa e ancora sul coperchio di essa (86). A questo proposito mentre prima il Muratori (87) dichiara di trovarsi anch’egli immerso in una gran notte, in seguito discute sul nome Augustinus e sulla più o meno leggibilità di queste lettere. Aggiunge inoltre che nella prima visita non s’era trovata alcuna iscrizione né memoria. E’ vero che il nome di Agostino non fu trovato dal Vicario Generale, perchè quando egli venne, già era stata tolta tutta la parte superiore di mattoni e di calce, ove queste lettere si erano ritrovate e sparite sotto i colpi di martello degli inesperti muratori, ma queste lettere furono vedute da parecchi, anche dal preposito dei Canonici Regolari (88), e dal Priore degli Agostiniani. Ed è per questo che essi indussero testimoni, che anche in presenza del promotore fiscale confermarono quanto avevano veduto e letto. Il Fontanini è esatto nell’asserire che le lettere non erano di carattere gotico, poiché come ho esaminato negli Atti autentici episcopali, questo aggettivo qualificativo di gotico i testimoni citati non l’hanno mai affermato (89); come pure il Muratori cita alcune frasi, ripetute dai testimoni inesattamente, poiché egli le ebbe dal Padre Bellini che io ho riscontrato non conforme agli atti (90).
6° - Il Fontanini (91) dice che i corpi dei Santi e di S. Agostino, secondo i riti della Chiesa, sono sepolti nella confessione sopra terra, fra la parete e l’altare, e porta esempi adatti a tale proposito. Il Muratori cita un passo dell’Anonimo Ticinese (92) in cui si dice "corpus beatissimi Augustini in profundo et secretissimo loco incluserunt ne sibi ab ullis regibus vel principibus auferretur". Ed inoltre la cronaca di S. Rodobaldo "in fundo confessoris". Il Muratori (93) fa notare come negli antichi tempi vigesse la pessima consuetudine di rubare le reliquie dei santi per arricchire le chiese o per venderle. Che i Longobardi furono avidissimi in questo, che i Tedeschi e i Francesi poi andavano continuamente cercando di ottenere simili sacri pegni dall’Italia, di qui avveniva per necessità che i servi di Dio e gli abitanti delle città per timore dei nemici trasportavano altrove questi sacri pegni e facevano questo occultamento, e cita egli pure esempi. L’Anonimo Ticinese citato, che anche secondo il Muratori è degno di fede, sia per la sua antichità, sia per l’esperienza delle cose di Pavia, scrive però parecchi secoli dopo avvenuto il fatto, quindi egli induce una leggenda che esprimeva il timore in cui si viveva durante le guerre, che veramente le reliquie dei santi fossero trasportate altrove; ma che quel "profundo" debba significare luogo al di sotto del pavimento e quel "secretissimo" luogo del tutto ignorato, non si potrebbe spiegare come mai si fosse stabilito che s’andasse a visitare il sepolcro del Santo una volta la settimana, come narra in seguito lo stesso Anonimo Ticinese (94). Riguardo alla cronaca di S. Roboaldo occorre vedere l’opera del Boni e del Maiocchi (95). In essa leggesi: "In confessore iacet corpus gloriosi doctoris ecclesie b. Augustini episcopi", non "in fundo confessoris", come appare nel codice del Robolini e presso alcuni altri polemisti. Il Fontanini al capo 29 sembra deridere coloro che ritenevano trovarsi i corpi dei Santi in luogo profondo e segretissimo. Al Muratori (96) sembra strano che un sepolcro isolato sopra terra e come abbandonato in una cripta che tutti i ladri avrebbero saputo trovare e toccare, possa convenirsi ad un Santo della grandezza di Agostino, tenendo inoltre presente che negli antichi tempi la Basilica dove si conserva un così gran tesoro era fuori della città e perciò senza difesa. Io che ho potuto visitare lo scurolo attuale e vedere il luogo dove giaceva il prezioso deposito, ritengo che non si possa dire che il sacro pegno fosse esposto ad ogni sorta di ladri o di predatori. Per accedere allo scurolo vi sono solidi cancelli di ferro e questi esistevano già ab antiquo, come appare dai disegni che lo rappresentano, dell’epoca dello scoprimento, ed anteriori ad esso; si vede inoltre come esistesse un’altra cancelleta pure di ferro, che separava l’altare dai fedeli. Come io ho veduto, vi è poi un’arca in mattoni, la quale ne conteneva un’altra di marmo molto pesante e solidissima, chiusa ai quattro angoli da chiavicole di ferro, la quale cassa di marmo non si sarebbe potuta aprire se non con grande sforzo e rumore, come avvenne nella prima visita fatta dal Vicario vescovile in cui si dovette lavorare molto per aprirla. All’apertura di detta cassa, avvenuta nel 1695, si dovette inoltre rompere il marmo medesimo (come appare ai quattro angoli della cassa di marmo da me pure osservata al Museo Civico di Pavia). Dentro a questa cassa finalmente si trovava la cassetta d’argento, la quale poteva dirsi, a mio parere, abbastanza ben protetta e salvaguardata. E che detto corpo fosse "sufficientemente custodito in quell’arca di marmo, chiusa non soltanto dal muro, ma anche legata con quattro cinghie di ferro coi sigilli impiombati" ce lo dice il De Collibus (97), eletto a difensore dell’autenticità delle reliquie nel processo del 1695 da entrambe le comunità religiose.
7° - Alcuni autori sia favorevoli che sfavorevoli alla identità, dalla cronaca di Brescia ricavano che per timore dei Galli, il corpo dal Santo fu levato dall’arca da due santi uomini, il beato Basilio e Fiorenzo e posto nello stesso oratorio sotto l’altare. Da quell’oratorio poi, secondo i medesimi autori (98), il corpo del Santo, dopo quarant’anni sarebbe stato riportato nella Confessione, dove venne scoperto nel 1695. E riguardo ad essi stiamo col Muratori, il quale dice che non sa con quale fondamento essi scrivessero di tempi tanto da loro lontani. D’altra parte essi cadono in contraddizioni non sapendo asserire con sicurezza l’epoca del trasferimento e della restituzione al luogo primitivo. La traslazione nell’oratorio di S. Appiano delle sacre reliquie sarebbe avvenuta sotto Carlo Magno per opera dei Canonici Regolari, i quali non esistevano in S. Pietro in Ciel d’Oro in quel tempo (99), e da questo risulterebbe che è falsa. Il Fontanini non vi da alcuna importanza. Noi a nostra volta dobbiamo asserire ch’essa è del tutto infondata, soprattutto perchè ricavata dalla cronaca di Brescia, della quale il Callini, ch’è appunto uno degli autori sfavorevoli all’identità dice (100): Questa cronaca o è quella di Guerrini Cerreto, o è la compilata da Bonifacio o Paolo Borelli, i quali scrittori sono per nulla degni di fede.
8° - Il Muratori (101) dice che nel secolo XVI si riteneva occulto il sepolcro del Santo, "Anzi perchè maggiormente s’intenda che la comune opinione della città era la stessa che quella dei sopra mentovati storici, sappiasi che nella sala del Collegio dei Padri della Compagnia di Gesù in Pavia si mira tuttavia una pittura, giudicata del medesimo secolo sesto decimo, che rappresenta l’occultazione del sacro corpo di S. Agostino, che si pretende fatta da Liutprando coll’iscrizione: Tumulos Divo Augustino in Basilica divi Petri extruxit tres ecc.". Questa pittura non fa altro che corrispondere alla leggenda di alcuni di questi scrittori, ma non è storica, ma fantastica, per questa ragione che i religiosi Agostiniani e Canonici Regolari colà dipinti presenzianti la sepoltura di S. Agostino, non esistevano in S. Pietro in Ciel d’Oro in quel tempo.
9° - Il Fontanini e gli altri sostenitori dell’identità (102) citano come prova la lampada accesa davanti all’altare dello scurolo e allegano per questo l’autorità del Padre Mabillon (103), il quale trovandosi nel 1686 in Pavia dice "Attamen in cripta sub altari, ubi corpora sanctorum olim solebant, mausoleum extat ex lapidibus coctis, et lampas ardens ante mausoleum". Il Muratori però fa osservare che trascurò il passo in cui si dice (104): "Liutprandus auctor fuit transferendi ex Sardinia Ticinum corporis sancti Augustini quod modo ibidem incerto loco latet". Secondo il Muratori (105)"quella lampada così solitaria altro lume non può spandere che contro le moderne pretensioni di chi scrive in favore dell’identità". Ma questa asserzione del Muratori è gratuita come risulta da documenti, poiché la lampada era tenuta per il corpo di S. Agostino. Ed il Mabillon allora non fa altro che ripetere quanto aveva udito dagli stessi Canonici Regolari e letto in quegli autori che riportano la leggenda, per alcuni libri comparsi nei quali si spargevano dubbi, per alcune iscrizioni inesatte o false lette nella basilica e per un supposto corpo di S. Agostino veduto altrove. Che la lampada servisse realmente per indicare la presenza colà del corpo di S. Agostino è confermato invece da molti altri argomenti (106).
10° - Il Muratori (107) dice che per testimonianza del Gualla, dell’Anfosso e di altri storici pavesi, Liutprando con le ossa di S. Agostino, riportò dalla Sardegna altri corpi di Santi, alcuni di questi vennero a Pavia e secondo lo stesso Muratori potrebbe darsi che alcuno di essi sia stato posto anch’esso nello scurolo. Ma queste sono semplici sue supposizioni, perché sappiamo i luoghi precisi dove sono sepolti tutti i corpi dei Santi ritrovantesi in S. Pietro in Ciel d’Oro, autenticamente riconosciuti dalla cronaca di S. Roboaldo.
11° - Il Muratori (108) fa osservare come sia strano che, dopo aver deposte le ossa di S. Agostino in un luogo, come egli dice, così inadatto alla sua grandezza, non si sia voluto neppure con un segno attestarne la presenza; inquantochè "un giudice saggio non deve certamente prestar fede alla parola "Agostino" disegnata con carbone" - ma a me sembra che il Muratori si contraddica, perchè altrove dice che il corpo del Santo venne sepolto in un luogo profondo e segretissimo, affinchè durante i tempi burrascosi a cui fu sottoposta Pavia, non cadesse in mano di ladri o di predatori; ora qui vorrebbe che in un sepolcro dozzinale (com’egli lo chiama) sopra terra, si ponesse un indizio il quale avrebbe potuto acuire maggiormente la cupidigia dei predatori.
12° - Il Muratori (109) parla della indecente incamiciatura di mattoni che non si conviene punto ad un tale Santo, e passando inoltre a trattare (110) della povertà della tomba, dice che "consiste essa in una semplice arca di marmo levigato, non riguardevole per ornamento od intaglio o segno veruno indicante un tantino quel memorando pegno che ivi si pretende rinchiuso". Ma non potrebbe essere stato questo un mezzo per poter distogliere l’attenzione dei più e far credere che si trattasse di una tomba comune, non di quella di un grande Santo?
13° - Secondo il Muratori (111) un altro fatto comprovante essere fino al 1695 incerto dove giacessero le sacre ossa di S. Agostino, è questo: che i Portoghesi per onorare un sì grande e prezioso deposito decretarono "Bis mille aureos ad duodecim lampadas perpetuo: fovendas coram altari inferioris Sacelli, ubi sacratissima magni Parentis nostri Augustini ossa condita sunt". In seguito però non più d’una lampada arse dinanzi al santo luogo, poiché informati del come stavano le cose, il loro zelo svanì. Ma questo fatto potrebbe essere, a mio parere, avvenuto per la non esecuzione del legato, oppure per altre ragioni ad esso referentisi.
14° - Il Fontanini (112) parla delle ampolle che si trovano nella cassetta d’argento e dice ch’erano "vacuas, nullum tincturae vestigium referentes, quodam oleo plenas fuisse", mentre alcuni difensori dell’identità (113) non negarono essere stati questi tinti di sangue. Questo, secondo il Muratori, indicherebbe che si tratta di un martire e non di un confessore. Il Fontanini (114) dice che esse, come risulta dagli atti, erano vuote, sebbene un tempo avessero contenuto dell’olio. Altri (115) sostengono che erano vuote, non tinte di sangue. Non si può negare che contenessero olio e neppure si può asserire che contenessero sangue, perché nelle visite non vi si accenna (116). Il Sacchi (117) dice che il vescovo di Pavia nel 1832 aprì la cassa ove stavano raccolte le ossa e le visitò, ed aggiunge: "quello che non mi pare doversi scordare è, che si trovarono in quella cassetta le due ampolle cause di tante controversie fra il Muratori e il Fontanini e gli altri. Esse sono due, una più piccola dell’altra. Monsignore le prese e le mostrò ai circostanti sperandole contro il lume. Da questa ispezione siamo persuasi che in quelle ampolle non è mai stato sangue, e pare che quelle si ponessero assieme a quelle sacre ossa con olio e credo con maggiore verosimiglianza con aromati o essenze odorose, come era costume degli antichi". In un altro libro (118) si dice: "il dodici ottobre 1842 si schiuse per la dodicesima volta, dopo il decreto di Benedetto XIII, il venerato sepolcro del Vescovo d’Ippona". E qui si fa l’esame delle ossa e si enumerano. Fra l’altro si dice: "avendo immerso le ossa del Santo nella soluzione di silicato di potassa calda, nel dì seguente la prima immersione, la camera in cui era chiuso il venerato deposito, manifestò la più gradita fragranza; il che dimostra che le sante reliquie avevano assorbito qualche sostanza aromatica e che probabilmente a contenere questa erano state ordinate le due ampolline che erano (e che sono tuttora) nell’urna, come primamente si sospettò". Da accurati studi risulta che l’archeologia (119) oggi non può asserire, come criterio generale, che le ampolle conservate accanto ai corpi santi o ritenuti come tali, siano indizio di martirio, perché non è certo che abbiano quelle contenuto sangue, a meno che non si provi chimicamente tale presenza. Questo sangue non fu trovato affatto nelle ampolle del sepolcro agostiniano. Fu giudicato invece dai periti esservi contenuta piuttosto qualche materia untuosa.
15° - Il Muratori (120) fa notare che come indizio contrario all’identità si deve tener conto anche delle rose, che insieme col volto del Salvatore, si mirano scolpite sulla cassetta d’argento, le quali rose furono prese fin dai primi tempi della chiesa come simbolo di martirio. Cita le parole di S. Cipriano: "ecclesiae floribus eius nec lilia nec rosae desunt". E anche S. Ambrogio il quale dice che negli orti della chiesa "rosae martyrum sunt". Il Fontanini non parla affatto di queste rose. In un’altra scrittura (121) si dice, dopo aver parlato delle croci che si trovano sulla cassetta "in dictis crucibus adsunt quatuor signa impressa in formam stellulae seu rosae". Si vede dunque che non si parla veramente di rose. Infatti, come ho potuto osservare, il disegno di queste rose si può prendere anche come la rappresentazione di altri fiori, perchè è indeterminato, come pure potrebbe essere un motivo geometrico.
16° - Un altro argomento che milita in favore dei sostenitori dell’identità è quello della mancanza del braccio, che si osservò appunto nella visita delle ossa, eseguita da Carlo Gualla, Chirurgo (122). Il Muratori non tratta questo argomento. Ne parlano invece altri sostenitori (123) e citano la testimonianza di Guillelmus Malmesburiensis e del Baronio, i quali attestano che Egelnoto nel 1022, tornando da Roma a Pavia, comperò od ebbe in dono per cento talenti d’argento e un talento d’oro un braccio del Santo. Gli avversari invece (124) disputano intorno al braccio, sostenendo che nell’esame delle ossa si trovò che mancava l’adiutorio, mentre invece i sunnominati scrittori lo chiamano "brachium". Perciò a torto si sostiene che sia quello scoperto il corpo di S. Agostino, poiché ad esso non manca un braccio che venne dato ad Egelnoto, ma l’adiutorio sinistro come risulta dall’esame. Riguardo a tale questione osserviamo che dal Vocabolario italiano del Fanfani abbiamo "braccio s. m. v. g. membro dell’uomo, che incomincia dalla spalla e termina alla mano […] in più stretto significato, braccio dicesi dagli anatomisti quel membro che va dalla spalla al gomito. La questione dunque cade. Come dissi innanzi, i vari polemisti, dei quali quasi tutti (125) scrissero prima di questi due esaminati, trattano in fondo le medesime questioni. Anzi si può dire che i primi due riassumono nelle loro opere tutto quanto era stato discusso in favore o contro l’identità. Ad ogni modo tra di essi meritano di essere ricordati a parte il Beretta e il Sassi; il Bellini ed il Gallini, che sostennero con grande forza le proprie ragioni. Passiamo ora alla terza parte del lavoro, nella quale intendo presentare tutta una tradizione favorevole all’identità, servendomi a tale scopo della testimonianza di scrittori autorevoli, di documenti pubblici e privati, i quali tutti varranno a sostenere la mia tesi.
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(57) Collectio actorum atque allegatorum quibus ossa sacra Ticini in Confessione S. Petri in Coelo aureo anno 1695 reperta esse S. Augustini Hipponensis Episcopi etc., Venezia 1729; TALINI P., Scritti di Storia e d’Arte, Milano 1881, pag. 156.
(58) Collectio actorum, cit., pag. 41, V. 1.
(59) Ms 428 (con busta B. Ticinensis), Biblioteca Univ. di Pavia.
(60) TALINI, o. c., pag. 157.
(61) Per quanto abbia esteso il campo delle mie ricerche su tutto l’epistolario del Muratori, per sapere quali furono le cause che indussero questo illustre storico a partecipare alla polemica, nulla di positivo m’è stato possibile di raccogliere, salvo la presente congettura: che il Muratori scendesse in lizza solo per rintuzzare l’ardore polemico del Fontanini, il quale già in altra occasione (i diritti della Chiesa sul possesso di Comacchio) si era misurato col grande storico di Vignola.
(62) V. Bibliografia speciale della polemica.
(63) TALINI, o. c., pag. 158.
(64) TALINI, o. c., pag. 158.
(65) FONTANINI, De corpore S. Augustini Ticini reperto in confessione aedis Sancti Petri in Coelo aureo, disquisitio, Romae 1728.
(66) Una copia manoscritta (V. Ticinensia, pacco 428) e l’altra "Motivi di credere tuttavia ascoso ecc.", senza data, colle parole "in risposta alle scritture pubblicate questo anno 1728, in favore dell’identità di esso corpo (trovasi in Arch.di Pavia) e un’altra ancora (B. U.), "Motivi di credereecc", Trento 1730 in Bibliot. Univers.
(67) Beda, Paolo Diacono, Mabillon ecc.
(68) FONTANINI, De corpore S. Augustini, o. c., cap. XVIII.
(69) FONTANINI, De corpore S. Augustini, o. c., pag. 25.
(70) P. DIACONUS, Historia Longobardorum, lib. IV, cap. 32, in MGH, cit.
(71) FONTANINI, De corpore S. Augustini, o. c., pagg. 24-25.
(72) MURATORI, Rerum Italic. Script., cit., pag. 16.
(73) Ibid. pag. 20.
(74) De Collibus, Beretta ecc.
(75) Biblioteca Univ., MS n. 428, cart. A, n. 36.
(76) Ragioni per l’identità del corpo di S. Agostino. Estratte dalla Disquisizione latina di Giusto Fontanini, Roma 1728.
(77) FONTANINI, De corpore S. Augustini, o. c., pag. 64. TORELLI, Secoli Agostiniani, V, pag. 412.
(78) FONTANINI, De corpore S. Augustini, o. c., pag. 52.
(79) MURATORI, Rerum Italic. Script., cit., pag. 5.
(80) FONTANINI, De corpore S. Augustini, o. c., pag. 42.
(81) MURATORI, Rerum Italic. Script., cit., pag. 8.
(82) Josephi Antonii Sassii Collegio ac Bibliothecae Ambrosianae Praefectus, Epistola apologetica, 1728, pag. 29.
(83) TARAMELLI V., Arte Sacra, Esposizione di Torino, 1898, n. 23, pag. 177.
(84) Dal calco a matita di una di esse su carta velina, che si trova al Museo Civico, ho potuto avare queste dimensioni: lunghezza cm. 14,49, larghezza 11,52, ampiezza dell’estremità delle braccia da 4,50 a 4.
(85) VENTURI A., Storia dell’Arte italiana, Milano 1901.
(86) FONTANINI, De corpore S. Augustini, o. c., pag. 41.
(87) MURATORI, Rerum Italic. Script., cit., pag. 14.
(88) Collectio actorum, vol. I, pagg. 63-67.
(89) Atti esistenti in Curia Vescovile di Pavia.
(90) BELLINI V., Dubia ecc., cap. XVI e Collectio actorum, da pag. 65 a 70.
(91) FONTANINI, De corpore S. Augustini, o. c., pag. 38.
(92) Anonymus Ticinensis, Liber de laudibus papiae, in MURATORI, Rerum Italic. Script., cit., I, XI parte, I, pag. 40.
(93) MURATORI, Rerum Italic. Script., cit., pag. 38.
(94) Anonymus Ticinensis, in MURATORI, Rerum Italic. Script., cit., vol. XI, pag. 41, 1-2. Riguardo al "profundo" notiamo che può significare: alto, sublime, oppure molto oscuro, impenetrabile.
(95) Il Catalogo Rodobaldino dei Corpi Santi di Pavia, Studi e Ricerche dei sacerdoti G. Boni e Maiocchi, Pavia 1901, pag. 25.
(96) MURATORI, Rerum Italic. Script., cit., pag. 44.
(97) DE COLLIBUS, Rationes et iura in causa identitatis sacrarum ossium D. Augustini, Agosto 1698.
(98) PENNOTUS, R. GHISONI ecc.
(99) V. test. pag. 13.
(100) CALLINI, Motivi di credere ecc., p. 244.
(101) MURATORI, Rerum Italic. Script., cit., pag. 50.
(102) DE COLLIBUS, BERETTA ecc.
(103) MABILLON, Iter italicus, p. 219.
(104) Ibid.
(105) MURATORI, Rerum Italic. Script., cit., pag. 70.
(106) Visita di privati ed anche di personaggi illustri, come si ricava dall’esame dei testimoni (Collectio act., I, pagg. 79-81); vi si va a cantare l’antifona.
(107) MURATORI, Rerum Italic. Script., cit., pag. 59.
(108) Ibid., pag. 62.
(109) Ibid., pag. 66.
(110) Ibid., pag. 68.
(111) Ibid., pag. 70.
(112) FONTANINI, De corpore S. Augustini, o. c., pag. 73.
(113) DE COLLIBUS, Identitatis reliquiarum corporis S. Augustini, 1697.
(114) FONTANINI, De corpore S. Augustini, o. c., pag. 65.
(115) Vedi alcune considerazioni sopra la causa ora pendente circa l’identità fatte da un religioso Agostiniano.
(116) Collectio act. I, pag. 470.
(117) SACCHI D., L’arca di S. Agostino, Pavia 1832, pag. 12.
(118) I tre venerabili sepolcri di S. Siro, S. Agostino e Severino Boezio nella cattedrale di Pavia, riconosciuti ed ordinati dal vescovo di Pavia, Pavia Fusi 1885, pagg. 64-69.
(119) MARUCCHI, I sepolcri dei martiri nelle catacombe romane; KRANC F., Die Blutampullen der romischen katakomben; MARTIGNY, Dictionnaire des antiquites chretiennes.
(120) MURATORI, Rerum Italic. Script., cit., pag. 84.
(121) De Sacris D. Augustini ecclesiae doctoris reliquiis Anno 1695 Papiae inventis, reperitur in actis tribunalis curiae episcopalis Papiae 1782.
(122) Collectio actorum, cit., vol. I, pag. 42.
(123) DE COLLIBUS, Dell’invenzione del sacro corpo di S. Agostino, e in altri suoi scritti; Ragioni per l’identità del corpo di S. Agostino estratte dalla Disquisizione latina di G. Fontanini, Roma 1728, senza nome dell’autore.
(124) CALLINI M. (Canonico Reg.), Motivi che sforzano a dubitare se le reliquie scoperte… siano identiche, ecc. Cremona 1703.
(125) BAUDINI G., Beretta, Bellini, Callini ecc.