Storia della polemica intorno all'identità delle ossa di Sant'Agostino Vescovo e Dottore della Chiesa
Cleonice Baggini

Storia della polemica intorno all'identità delle ossa di Sant'Agostino Vescovo e Dottore della Chiesa

scoperte l'anno 1695 nella Basilica di S. Pietro in Ciel d’Oro di Pavia

Regia Università di Pavia, Pavia
Capitolo I

La Basilica di S. Pietro in Ciel d'Oro e le comunità religiose che la abitarono fino al 1695

 

Gli annali di Pavia menzionano frequentemente la Chiesa di S. Pietro in Ciel d’Oro, l’importanza della quale sembra quasi aver eguagliata quella di S. Michele Maggiore (5). Data l’importanza di questa Basilica non deve far meraviglia che intorno alla sua storia si abbia una ricca letteratura, a cominciare dagli scarsi accenni degli scrittori e cronisti medievali fino alle dotte monografie di Storia e d’Arte apparse in questi ultimi anni. Gli antichi storici pavesi ritennero che la Chiesa di S. Pietro in Ciel d’Oro sia stata fondata ai tempi di S. Siro, vescovo della città. Il Bossi (6) dice: "La Chiesa di S. Pietro in Ciel d’Oro fu da S. Siro, nostro primo Vescovo, edificata circa l’anno 70 di nostra salute" e P. Romualdo (7) afferma: "Postquam Apostolorum Principes Neronis gladio Christi litaverunt divinitati, divus Syrus protoepiscopus Ticinensis divi Petri memoriae templum hoc construxit, anno salutis 70, quod ex eiusdem nomine nuncupavit". Però questa affermazione pare non abbia alcun serio fondamento. Infatti non solo nella vita di S. Siro non si trova alcun argomento che rafforzi l’accennata tradizione, ma è dubbio persino il tempo dell’episcopato di S. Siro, che da alcuni si vuole assegnare al secondo o terzo secolo, da altri alla seconda metà del sec. IV (8)S. Siro lo dicono trapassato nel 96 e gli assegnano 56 anni d’episcopato. Sulla data della fondazione di S. Pietro in Ciel d’Oro non si può dire nulla di preciso. Paolo Diacono sotto l’anno 604 dice "apud Ticinum quoque in Basilica beati Petri Apostoli Petrus Cantor fulmine ictus est" (9)Siccome esistevano in Pavia anticamente quattro chiese denominate S. Pietro, sembrerebbe difficile stabilire a quale di esse voglia alludere Paolo Diacono. Però si ritiene con nolta probabilità (10) che egli voglia alludere a S. Pietro in Ciel d’Oro. Così si può ammettere che la Basilica di S. Pietro in Ciel d’Oro esistesse già al principio del secolo VII. Secondo il Merkel (11), le origini di S. Pietro in Ciel d’Oro sono remote. Il Prof. Romano (12) dice a questo proposito: "Certo la Basilica esisteva prima che Liutprando vi aggiungesse il Monastero […] e non mancano buone ragioni per farne risalire la costruzione fino al VI secolo". Liutprando nel 722 (13) la riformava e l’adornava di pregi così meravigliosi d’esserne ritenuto dai posteri fondatore. Secondo Paolo Diacono il medesimo re fondò il monastero di S. Pietro in Ciel d’Oro: "Hic (Liutprandus) monasterium beati Petri quod foras muros Ticinensis civitatis situm est, et coelum aureum appellatur, instituit" (14). Il titolo di "coelum aureum" apparisce in questo momento per la prima volta, il che permette supporre che la chiesa dedicata a S. Pietro, fu allora, se non fondata, almeno ricostruita ed abbellita. Questa chiesa fu tra le più favorite da imperatori e da papi (15). Essa ci richiama alla memoria indirettamente un periodo glorioso della storia dei Comuni, quando questi, cominciato ad avere coscienza dei propri diritti, rintuzzano gagliardalente la prepotenza imperiale. Enrico II la sera del 14 maggio 1004 nella sommossa fra i suoi soldati e i cittadini, veduto incendiato il proprio palazzo e furente il popolo, riparava a stento in S. Pietro in Ciel d’Oro e nella fuga, buttandosi dalle mura, si rompeva una gamba, donde il nome di "zoppo" (16). Federico Barbarossa (1167), investito dalle armi lombarde, si fermava qualche istante a S. Pietro, e qui, a cavallo, si rifocillava, mentre ingiungeva alle sue soldatesche di passare nel territorio piacentino. La celebrità di questo tempio ci è espressa a chiare lettere da tre grandi scrittori, quali furono Dante, Petrarca e Boccaccio. Il Petrarca (17) lo chiama "devotum piumque consortium". Dante vi dedica una celebre terzina (18) del suo Paradiso, ed il Boccaccio ne fa menzione nel suo capolavoro "Il Decamerone" (19). Questa chiesa aveva anche larghi possessi. Il Pennotti (20) riporta una lettera di Pasquale II del 1105 ad Anselmo abate di S. Pietro in Ciel d’Oro, dove il Pontefice conferma tutti i beni che il monastero di S. Pietro aveva avuto in dono da Papi, Principi e privati, e questi possessi non sono soltanto in Diocesi di Pavia, ma anche in altre (21). Della prosperità e dei possessi di questa chiesa parla anche il Prof. G. Romano (22). La celebrità di questa basilica viene accresciuta da un altro avvenimento importantissimo per il regno di re Liutbrando: la traslazione delle reliquie del grande Vescovo di Ippona dalla Sardegna a Pavia. Paolo Diacono (23) ce la narra in questo modo: "Liutprand quoque audiens, quod Saraceni, depopulata Sardinia, etian loca illa, ubi ossa sancti Augustini Episcopi propter vastationem barbarorum olim translata et honorifice fuerant condita, foedarent, misit et, dato magno pretio, accepit et transtulit ea in urbem ticinensem, ibique cun debito tanto Patri honore recondidit" (24). Siccome però Paolo Diacono non ci tramandò l’anno preciso dell’avvenuta traslazione, è un po’ dubbia questa data. Non si può stabilire l’epoca esatta. Il Muratori dice: "La verità si è che l’anno è incerto ma certissima la traslazione." Questa traslazione accrebbe la fama della Basilica, alla quale volgeva uno sguardo riverente tutto il mondo cattolico, che invidiava a Pavia il privilegio di di possedere un così grande tesoro. E la città di Pavia ogni anno celebrava con gran festa il giorno della traslazione. Date queste brevi notizie sulla basilica, è bene parlare un poco delle comunità religiose che vi abitarono e che più o meno contribuirono ad accrescerne il lustro.

I primi abitatori di S. Pietro in Ciel d’Oro furono i nonaci Benedettini (25), i quali furono eziandio i primi custodi del corpo di S. Agostino. E durante questo tempo la basilica era così famosa, che papa Zaccaria, venuto alla capitale longobardica, vi sostava (2-3 giugno 743) a celebrare i sacri uffici prima d’entrare in città (26). L’anno 997 all’ombra di questo tempio riparava un papa fuggiasco da Roma, Gregorio V. Quivi sebbene profugo raccoglieva un Concilio, in cui promulgava decreti di vario genere sopra argomenti che riflettevano le chiese di Germania e di Francia, raffermava la supremazia papale, e riguardo alla sua cacciata con una calma piena di dignità richiese che i vescovi tedeschi confermassero la scomunica contro l’invasore e predatore della Chiesa (27). Nel 1049 S. Pietro in Ciel d’Oro ebbe l’onore di ospitare un altro sommo pontefice, Leone IX, che vi celebrò un concilio (28). Eugenio III nel 1148 visitò Pavia e sembra abbia onorato il monastero e la basilica con la sua presenza (29). Nel 1167 Federico Barbarossa si fermò a S. Pietro in Ciel d’Oro (30). Nel 1191 l’imperatore Enrico IV emanò un ordine in favore di S. Pietro in Ciel d’Oro (31). Ma ai tempi di Innocenzo III successero gravi disordini nel monastero. Per la cattiva amministrazione e la scarsa disciplina esso si trovò gravato di debiti; inoltre i monaci giunsero a tal segno d’indisciplinatezza, che non volendo sopportare le correzioni del loro abbate, a tradimento l’uccisero. In seguito a questi fatti il Pontefice Gregorio IX sciolse la comunità (1213) ed allontanò i monaci Benedettini da S. Pietro in Ciel d’Oro, affidando le sorti del convento ai Canonici Regolari di S. Crooe di Mortara dell’Ordine di S. Agostino, i quali si stabilirono in S. Pietro in Ciel d’Oro l’11 agosto 1221 (32). Il Pontefice Giovanni XXII con una sua Bolla da Avignone del 23 gennaio 1327 concede agli Erenitani dell’Ordine di S. Agostino di stabilirsi in S. Pietro in Ciel d’Oro. Ma soltanto nel 1331 questi monaci poterono fare ingresso in S. Pietro in Ciel d’Oro e iniziare la fabbrica del loro convento e partecipare all’ufficiatura della basilica. Contemporaneamente gli Eremitani stipulavano coi Canonici certi patti, tra cui si obbligavano a rispettare la giurisdizione e i possessi di questi e a non chiedere, nè accettare privilegi, che potessero in qualche modo ledere i diritti dell’Ordine preesistente (33). Questi religiosi si trovavano già in Pavia antecedentemente officiando nella chiesa di S. Mostiola, la quale mentre prima era povera e lasciata in abbandono, divenne per opera di questi monaci fiorente e ricca. Essi furono reputatissimi e in gran fama tenuti dai Pavesi; e colle loro virtù esercitarono un così gran fascino su ogni ceto di persone, che i membri di altri Ordini Religiosi si sentivano attratti ad abbracciare l’Istituto di S. Agostino; e questo entusiasmo fu tale, che il Vescovo di Pavia nel 1258 fu incaricato ad intervenire per moderare tale passaggio (34). Entrati in S. Pietro in Ciel d’Oro gli Agostiniani, non vennero meno nè le loro virtù, nè la loro fama. Anche i principi mostrarono la loro benevolenza verso il Monastero degli Eremitani; fra questi ricordiamo il Marchese di Monferrato, il quale nel 1358 fa generose offerte per la fabbrica del convento (35), Galeazzo II Visconti conferma le offerte del Comune a S. Agostino e fa altre concessioni ai Religiosi (36); la moglie di lui, Bianca di Savoia, nel suo testamento destina un ricco legato al convento degli Agostiniani (37); e lo stesso Gian Galeazzo fa al convento annualmente una offerta nella festa di S.Agostino (38). Gli Agostiniani, mercè la generosità di questi principi e signori, poterono abbellire con opere pregevolissime S. Pietro in Ciel d’Oro, la più insigne delle quali fu l’arca monumentale che costò 4.000 fiorini d’oro, pari a un quarto di milione delle nostre lire italiane. Ed all’Ordine Agostiniano appartennero anche uomini illustri per santità, dottrina ed amor di patria. Fra i molti basti ricordare Giacomo Bussolaro al quale Pavia nel maggio del 1356, più che al Beccaria e al Marchese di Monferrato dovettela sua liberazione (39). Narra infatti il Villani che è lui, il quale concepisce il disegno di assalire il nemico, lui che conforta il popolo a prendere le armi, divide le squadre, distribuisce gli uffici e prepara ogni cosa per la vittoria; e Bonifacio Bottigella di nobilissima famiglia pavese, consigliere e confessore di Bianca di Savoia, professore di Teologia e Filosofia morale nella nostra Università, il quale fu l’iniziatore dell’Arca (40). In quel secolo XIV tutto l’Ordine Eremitano vive e palpita per S. Pietro in Ciel d’Oro, ed anche per tutto il secolo XV le glorie agostiniane pavesi continuano (41). Il Collegio Teologico dell’Università pavese annovera più di 66 Eremitani, i quali nel corso di poco più di cento anni, recarono uno splendido contributo dell’attività scientifica dell’Ordine Agostiniano all’Università di Pavia (42). Ed essi si segnalarono non soltanto nel campo degli studi, ma anche in quello della pietà. Da ciò ne seguì la grande stima con cui i cittadini si strinsero a loro, ne risultò un gran numero di donazioni, offerte, legati e testamenti fatti a favore degli Agostiniani. Un’altra dimostrazione onorifica verso di loro la troviamo nella premura e sollecitudine con cui ogni classe di cittadini si procurava sepoltura nella chiesa e nel Chiostro di S. Agostino. Anzi alcuni disponevano anche d’essere sepolti vestiti dell’abito dei Religiosi Eremitani. Così il nobile Giov. Antonio Strada (43), la nobile Elisabetta Moruzzi (44). Continuando nella nostra successione, nel 1509 cessarono di appartenere alla basilica di S. Pietro i Canonici Regolari della Congregazione di Mortara, e ad essi succedettero i Lateranensi, i quali vi rimasero fino al 1781 (45). Non bisogna però credere che fra le due comunità religiose, officianti nella medesima chiesa, non sorgessero contese ed attriti. Essi infatti s’iniziarono colla venuta dei Religiosi Eremitani nel 1331. Gli Eremitani si adoperarono grandemente per abbellire la chiesa e promuovere opere spettanti al sacro culto, tanto più che in quel tempo il convento di S. Agostino ci si presenta molto ricco (46). In complesso si può dire che possedeva circa una dozzina di case in Pavia e le sue terre nel contado raggiungevano l’estensione di circa 2.000 pertiche, apportando al convento una rendita annua di circa 60 sacchi di frumento, oltre il vino, e circa 1.000 fiorini d’oro in denaro, senza contare tutto quello che al convento proveniva per elemosine, funzioni, offerte e legati testamentari. Ma sorsero tra Canonici ed Eremitani attriti che andarono sempre più inasprendosi. Gli Agostiniani avevano avuto incarico dalla Bolla di Giovanni XXII del 1327, di onorare in particolar modo il santo fondatore, inoltre avevano il diritto di fondarsi un convento presso S. Pietro in Ciel d’Oro ed anche quello di comprarsi il terreno dai Canonici Regolari. Per alcuni contrasti sorti relativamente al prezzo, i Canonici Regolari ricorsero al Pontefice Urbano VI (47) e si ebbe il famoso processo del 1385, che si prolungò sino alla fine del secolo. La sentenza del 1392 di condanna per gli Eremitani fu in seguito riformata dal Tribunale superiore. Bonifacio IX nel 1394 cassò la parte più gravosa della sentenza del Vescovo di Pavia e l’altra parte non cassata fu dal Papa rimessa all’arbitrio del Card. Cosimo Migliorati, il quale temperò ancora di più la sentenza del 1392 (48). Nel 1509 s’introdussero i Canonici Regolari Lateranensi (49), i quali stabilirono patti e convenzioni con gli Eremitani, e allora si hanno liti ancora più clamorose. I Canonici Regolari ottengono che il senato si interessi in loro favore e stabiliscono nuovi patti cogli Eremitani; nonostante questo, scoppiano nuove liti, il che era da prevedersi, in quanto che è impossibile che fra due comunità religiose, officianti nella stessa chiesa, non sorgano delle contestazioni, sia pure in casi di lieve momento. Del resto, questo è sempre avvenuto anche altrove. All’Archivio di Stato di Milano vi è tutta una serie di pergamene riguardanti le controversie che per secoli si svolsero tra i Religiosi ed i Canonici offìcianti insieme in S. Ambrogio di Milano. Il Talini dice che quello era il secolo dei litigi (50). Cita quello chiassoso tra Bollandisti e Carmelitani. Fra i due Istituti religiosi esistevano già ab antiquo, controversie riguardanti la precedenza d’origine da S. Agostino, volendo l’uno dimostrarsi più agostiniano dell’altro (51). Sorge poi la questione per l’ubicazione del corpo di S. Agostino, ed i malumori e le discordie fra le due corporazioni, facendosi sempre più aspre, dovettero provocare all’uopo Bolle pontificie. Gregorio XIII nel 1580 spedì lettere ad Ippolito Rossi, le quali inibivano qualunque ricerca intorno al corpo di S. Agostino, sotto pena d’una maggiore scomunica (52). Nel 1600 comparve il Libro Rosso di Giovanni Imperatore, il quale metteva dubbi sull’esistenza del corpo di S. Agostino nella cripta della detta Chiesa (53). Uscirono poi opuscoli diretti appunto a scalzare la generale credenza che S. Agostino esistesse nella cripta, vennero fuori iscrizioni (54); si ebbero anche scrittori, i quali finirono col piegarsi dinanzi a tanti dubbi come il Breventano, Bernardo Sacco, il Pennotti (Canonico Regolare), e negarono che il Corpo scoperto l’anno 1695 fosse quello di S. Agostino. I Canonici Regolari per far trionfare la loro opinione ricorsero anche ad altri mezzi. Glicerio Landriano, preposito nell’anno 1627, cercò un altro S. Agostino nel sotterraneo di S. Pietro in Ciel d’Oro, sotto un sasso segnato in conformità del famoso Libro Rosso (55): "sotto l’altare di S. Appiano e sotto il luogo segnato dalla bianca pietra si trovò un’arca di mattoni ed entro ad essa si trovarono alcune ceneri ed ossa di morto…, ma perchè non si trovò scrittura alcuna, si lasciarono così nel suddetto luogo per alcuni giorni, ma considerando che stando così in quel luogo aperto e conosciuto avrebbero potuto patire qualche danno, comandai che le dette ossa e ceneri fossero levate da quel luogo e consegnate a me alla mia camera" ecc. Dice poi che fece fare una cassetta di legno dentro alla quale in uno "scatolino di piombo ho fatto riponere una carta pergamena per memoria del fatto con le infrascritte parole: "Ossa et Cineres in sacello sancti Appiani sub lapide signata reperta sunt, ubi fama fert, opinio suadet reliquias fuisse magni Patris Augustini ubi manet sepulcrum, pignora novissimae, hic sunt translata ad laudem dei, qui gloriosus in omnibus sanctis suis". E questo fece a suo arbitrio, contro ogni disciplina ecclesiastica e canoni pontifici. In seguito a questi fatti, l’urto che già da tempo esisteva fra i due Ordini si inasprì sempre più, e Urbano VIII nel 1635 (56) intervenne per sedare le discordie e stabilì l’ufficiatura alterna dei due Ordini. Dati adunque tutti questi antecedenti si può immaginare quale sia stata la condizione degli animi degli uni e degli altri contendenti all’epoca dello scoprimento delle ossa di S. Agostino. Ed ora veniano e trattare appunto di questo scoprimento.

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(5) DE DARTEIN F.Étude sur l’architecture Lombarde, Paris 1865-1882, pag. 26.

(6) Biblioteca Univer., Ms Tic. n. 182 - Chiese, pag. 626 (Ms Ticin.).

(7) GHISONI P.R.Flavia Papia sacra, part. I, p. 77.

(8) MAIOCCHI R., Le tradizioni sull’apostolicità di S. Siro, Pavia, Fusi, 1901; MAGNICronotassi dei Vescovi di Pavia, 1894, pag. 898.

(9) P. DIACONUSHistoria Longobardorum, lib. IV, n. 31 in MGH, Ed. Waitz et Bethmann - Scriptores, pag. 12 e segg.

(10) CAPSONI S.Memorie storiche di Pavia, t. III, CLXXX.

(11) MERKELEpitaffio d’Ennodio, 1876, p. 99.

(12) ROMANO G.Carlo IV di Lussemburgo a Pavia, in Bollettino della Soc. Pav. di Storia Patria, 1905, pag. 380.

(13) TALINI P., Scritti di Storia e d’Arte, Milano 1881, p. 150.

(14) P. DIACONUSHistoria Longobardorum, lib. VI, cap. 58, in MGH, Ed. Waitz et Bethmann - Scriptores, pag. 12 e segg.

(15) Vedi o.c., LANZANI A.Le concessioni immunitarie a favore di monasteri pavesi nell’alto Medio Evo, in Bollettino della Soc. Pav. di Storia Patria, fasc. I - II, 1910, pag. 22 e segg.

(16) QUINTAVALLE F.La sommossa e l’incendio di Pavia nell’anno 1004, in Bollettino della Soc. Pav. di Storia Patria, fasc. IV, 1901, pag. 12.

(17) De rebus senilibus, 1, V, Ep. 1.

(18) DANTE A.Divina Commedia, Par. X.

(19) Gior. decima, n. X.

(20) PENNOTUSHistoria tripartita, pag. 202.

(21) Nel vescovado pavese a Villarasca aveva possessi, così pure a Lardirago; nel vescovado milanese, in quello di Como, di Lodi, di Piacenza, di Tortona, di Vercelli, di Parma, ad Alpeplana e perfine a Firenze.

(22) ROMANO G.Archivio Storico Lombardo, 1895, ser. III, vol. IV.

(23) P. DIACONUSHistoria Longobardorum, lib. VI, n. 48, in MGH, Ed. Waitz et Bethmann - Scriptores, pag. 12 e segg.

(24) Le parole di Paolo Diacono sono desunte dal Ven. BEDAChronicon sive de sex aetatibus huius saeculi, 4680 - in Mon. Hist. Britannica, vol. I, pag. 101.

(25) MAIOCCHI R. – CASACCA N., Codex diplomaticus Ord. S. Augustini, vol. I, Introd., pag. XV.

(26) Liber Pontificalis, Ed. Duchesne, vol. I, pag. 430.

(27) GREGOROVIUSStoria della Città di Roma nel Medio Evo, trad. ital., vol. 3, p. 511

(28) JAFFE-LOEWENFELD, Regesta pontificorum romanorum, vol. I, p. 531.

(29) ROBOLINI, Notizie, vol. III, pag. 111; JAFFE-LOEWENFELD, Regesta pontificorum romanorum, vol. II, p. 58, n. 9274.

(30) OTTONE M.Anonymus de rebus laudensibus, in MGH, vol. 18, pag. 608.

(31) Manosc. Bossi, Chiese, fol. 634 Biblioteca Univ. di Pavia.

(32) Dalla Bolla di Onorio III, 13 giugno 1221, in PENNOTTIGen. Can. Reg. Historia tripartita, lib. I, cap. 62, n. 1.

(33) ROMANO G.Eremitani e Canonici Regolari in Pavia nel sec. XIV, in Archivio Storico Lombardo, cit., 1895, p. 11; Ms Bossi, Chiese, Biblioteca Univ.

(34) Doc. in Arch. di Stato di Milano, Sez. Storica, Autografi, Vescovi di Pavia.

(35) TORELLI L., Secoli Agostiniani, vol. VI, p. 39.

(36) Arch. Museo Civico, Atti di provvisione, pacoo 28.

(37) DELL’ACQUA S.Bianca Visconti di Savoia, Pavia 1893, pp. 101-107.

(38) Museo Civico di Storia Patria, Pavia, Arch., pacco 208.

(39) ROMANO G.Eremitani e Canonici Regolari, cit. , in Archivio Storico Lombardo, cit., 1895, p. 20.

(40) Ms Bossi, Chiese, Biblioteca Univ.

(41) Codex diplomaticus, cit., vol. II, Introd., pag. V.

(42) Ms Bossi, Studio, Biblioteca Univ.

(43) Arch. Notarile di Pavia, Atti di Giov. Ant. Strada.

(44) Arch. Notarile di Pavia, Atti di Agostino Gravanago.

(45) TALINI, o.c., pp. 136-137; Manosc. Bossi, Chiese, Biblioteca Univ. di Pavia.

(46) Codex diplomaticus, cit., vol. II, Introd., pag. XXIV.

(47) ROMANO G.Archivio Storico Lombardo, 1895, Eremitani e Canonici, pag. 33.

(48) Archivio di Stato di Milano, S. Pietro in Ciel d’OroLibro Rosso, fol. 133v – 139r.

(49) Ms Bossi, Chiese, Biblioteca Univ.

(50) TALINI, o. c., pag. 137.

(51) Codex diplomaticus, cit., vol. V, VI, doc. 1018.

(52) Ms Bossi, Chiese, Biblioteca Univ.

(53) Riguardo a questo libro, che si trova nella Bibl. Univ. fra i manoscritti n. 32, osservo come non sia degno di molta fede, in quanto che narra la traslazione Basiliana che è falsa, poiché i Canonici Regolari non esistevano ai tempi di Carlo Magno (774). Inoltre infine vi è una memoria la quale fa notare come un diploma del 918 sia falso.

(54) Ms Bossi, n. 190.

(55) Ms n. 428 Bibliot. Univ. , Del S. CorpoChiesa ed altare di S. Agostino, cartella senza busta A. n. 15.

(56) Ms Del Corpo di S. Agostino, Bibliot. Univ., n. 428, con busta A.